Quando in laguna le “fie” navigano “a manetta”
Intervista a Marta Canino, fondatrice dell'associazione "Fie a manetta" che insegna a navigare a motore nelle acque veneziane. Ma fa anche molto altro.

Intervista a Marta Canino, fondatrice dell'associazione "Fie a manetta" che insegna a navigare a motore nelle acque veneziane. Ma fa anche molto altro.
In una Venezia assediata dal traffico acqueo, Marta Canino ha avuto un’idea semplice e rivoluzionaria: insegnare alle donne (e non solo) a condurre una barca a motore in laguna. Era il 2020, nel pieno del lockdown, e da quella intuizione è nata l’associazione “Fie a manetta” – un nome che gioca tra femminile e accelerazione, tra emancipazione e tecnica.
Oggi è un progetto riconosciuto dal Ministero dello Sport, affiliato UISP, e punto di riferimento per chi vuole imparare a navigare in sicurezza in uno dei contesti più difficili d’Italia. L’abbiamo incontrata per farci raccontare come è nata questa avventura e cosa vuol dire, davvero, creare uno spazio libero e condiviso in acqua.
Canin, come nasce l’idea di “Fie a manetta”?
«Era il periodo del lockdown. Avevo un bimbo piccolo, tutto stava cambiando e mi sono chiesta cosa potessi fare che mi rendesse davvero felice. Venivo dalla vela, ho praticato per anni a livello agonistico, e ho sempre sentito forte il desiderio di lavorare con il femminile. Mi sono detta: voglio strutturare qualcosa di serio, organizzato, e così ho iniziato a informarmi. Ho scoperto che non esisteva nulla del genere: nessuno aveva mai pensato a un progetto per insegnare la guida del natante da diporto in laguna. Era riconosciuta dal CONI come disciplina sportiva, e da lì siamo partiti, affiliandoci alla UISP.»
Perché Venezia, e perché proprio la laguna?
«La laguna è un territorio unico e delicato, ma anche molto complesso: ci sono decine di migliaia di barche, turismo, traffico, logistica. È un po’ come imparare a guidare a Napoli. È considerata acque interne, quindi non serve la patente nautica, ma servono comunque tecnica, attenzione, competenza. Eppure le patenti si basano sulla navigazione in mare, non in laguna. Nessuno ti insegna davvero a muoverti qui. Noi sì.»
All’inizio era un progetto solo per donne?
«In origine sì, volevo creare uno spazio pensato per il femminile, che fosse accogliente, non giudicante. Ma poi si è naturalmente allargato. Oggi abbiamo molti uomini tra i nostri allievi, anche giovanissimi. Chiunque voglia imparare con rispetto, con consapevolezza, è il benvenuto. Il nome “Fie a manetta” gioca su più livelli: “fie” è femmine, ma anche “fioi”, ragazzi. “A manetta” è l’acceleratore, ma anche l’idea di andare a tutta, con energia, con determinazione. È un progetto inclusivo, anche se il focus resta sull’empowerment femminile.»
C’è anche una forte dimensione comunitaria.
«Assolutamente. Abbiamo persone che vengono ogni anno da Verona, da fuori regione. Si creano legami veri, perché sulla barca condividiamo tutto: momenti tecnici, sfide emotive, crescita. Non chiediamo che lavoro fai, né da dove vieni. In quello spazio ristretto si costruisce fiducia, ci si conosce davvero. E poi organizziamo uscite, gite, serate a guardare le stelle. È una comunità simile a quelle che gravitano attorno ai circoli remieri o velici. Solo che qui il motore è la condivisione.»
Quali sono le difficoltà maggiori che incontrate?
«Non abbiamo nessun tipo di agevolazione. Siamo una ASD no profit, facciamo tutto con le nostre forze. Sarebbe importante avere almeno un posto barca assegnato, per esempio. E che il Comune riconoscesse l’utilità di ciò che facciamo. Per ora, l’unica forza che abbiamo è quella delle persone che ci scelgono e ci sostengono. Non vogliamo transatlantici: solo continuare così, tracciando una strada che prima non esisteva.»
Partecipate anche a progetti come Poveglia per tutti, giusto?
«Sì, siamo tra le associazioni che hanno aderito alla seconda fase del progetto. Crediamo nell’uso civico degli spazi, anche in acqua. E puntiamo a non escludere nessuno: i ragazzini col barchino non sono cittadini di serie B. Hanno diritto anche loro a stare in laguna, e vanno educati, non scacciati. A noi interessa sfidarli sulla tecnica, sull’intelligenza, dargli strumenti. La logica dei “luoghi VIP” non ci appartiene.»
In definitiva, cos’è per lei oggi “Fie a manetta”?
«È un luogo dove si cresce, si impara, si sta insieme. Un progetto che sta segnando una strada nuova, dove non c’era nulla. Non ci arricchiremo, ma possiamo vivere a Venezia facendo ciò che amiamo e creando qualcosa di utile. È un privilegio, e ce lo teniamo stretto.»
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