Si sa che Dante morì nel settembre del 1321. Si sa che Dante morì, poco dopo aver terminato la stesura anche dell’ultima cantica. Fosse morto prima, chissà, saremmo ora orfani della preghiera a Maria (“Vergine madre, figlia del tuo figlio”) e del finale sfavillante e cosmico (“l’amor che move il sole e l’altre stelle”).

Ma se le cose non fossero andate così? Se in realtà ci avessero tutti gabbati? Se Dante fosse morto veramente prima di aver concluso il Paradiso? Chi avrebbe quindi terminato l’opera?

Queste cose a scuola mica ve le dicono. I dantisti tengono ben celate queste notizie. Sono disposti a tutto pur di nascondere la verità. Per fortuna che ci sono i matematici a scoprire gli altarini. Il matematico in questione è Piergiorgio Odifreddi, che oltre ad avere grande familiarità e competenza coi numeri, mostra di essere un intellettuale ad ampia gittata.

In fondo ad un articolo del 30 marzo 2021, praticamente in zona Dantedì, ma un Dantedì in pieno settecentenario (il non plus ultra quindi come cornice simbolica), articolo dal titolo “Dante non è poi così sommo. Ma non ditelo ai dantisti[1] (che non è proprio una bella partenza per un settecentenario), Odifreddi veniva presentato così: “Ha insegnato per 40 anni logica matematica presso le Università di Torino e Cornell. Negli ultimi 25 anni ha pubblicato due dozzine di libri di divulgazione, collaborato con La Stampa e Repubblica, e diretto tre Festival di Matematica a Roma. Il presidente Ciampi l’ha insignito del titolo di commendatore, e Benedetto XVI ha dialogato con lui in Caro papa teologo, caro matematico ateo.”

E volete che uno studioso di tale prestigio non dica la sua su Dante, in virtù di essere matematico logico, ateo e divulgatore prolifico? Per dire nel 2015, in un suo libro “Il giro del mondo in 80 pensieri” (Rizzoli), Odifreddi aveva dedicato uno dei suoi “pensieri” proprio a Dante, dal titolo “La quarta cantica”. In quel testo il matematico Odifreddi esponeva la sua teoria “rivoluzionaria” sulla Commedia, affermando, che il finale non era scritto dal Sommo Poeta, ma dai figli Pietro e Iacopo.

Galeotto fu Giovanni Boccaccio, il quale nel suo Trattatello in laude, vera e propria biografia dantesca d’autore, raccontò un gustoso aneddoto:

E in così fatta maniera avendogliele tutti fuori che gli ultimi tredici canti, mandati, e quegli avendo fatti, né ancora mandatigli; avvenne che egli, senza avere alcuna memoria di lasciargli, si morì. E, cercato da que’ che rimasero, e figliuoli e discepoli, più volte e in più mesi, fra ogni sua scrittura, se alla sua opera avesse fatta alcuna fine, né trovandosi per alcun modo li canti residui, essendone generalmente ogni suo amico cruccioso, che Iddio non l’aveva almeno tanto prestato al mondo ch’egli il picciolo rimanente della sua opera avesse potuto compiere, dal più cercare, non trovandogli, s’erano, disperati, rimasi.

In altre parole: una volta morto Dante, nessuno era in grado di recuperare gli ultimi 13 canti del Paradiso:

Eransi Iacopo e Piero, figliuoli di Dante, de’ quali ciascuno era dicitore in rima, per persuasioni d’alcuni loro amici, messi a volere, in quanto per loro si potesse, supplire la paterna opera, acciò che imperfetta non procedesse; quando a Iacopo, il quale in ciò era molto più che l’altro fervente, apparve una mirabile visione, la quale non solamente dalla stolta presunzione il tolse, ma gli mostrò dove fossero li tredici canti, li quali alla divina Comedia mancavano, e da loro non saputi trovare.

Pietro e Iacopo, i figli residenti con lui a Ravenna, essendo “dicitori in rima”, ovvero poeti in lingua volgare, tentarono di supplire ai canti mancanti di mano propria, ma poi – e qui sta la gustosità dell’aneddoto – il figlio Iacopo ebbe una visione, vide il padre in sogno, e recuperò i canti perduti in una sorta di ripostiglio segreto. Fine dell’aneddoto.

Il senso è chiaro: ribadire una sorta di ortodossia e santità del poema dantesco e mostrare la maestria di un’opera così poderosa e complessa, conclusa in limine mortis, quasi senza revisioni o “brutte copie”, buona la prima, vera e propria opera ispirata da Dio. Forse anche aggiungere un po’ di colore alla vicenda per renderla più appetibile (e in questo Boccaccio reporter è maestro). Né più né meno che affermare che l’opera venne conclusa e divulgata prima a Ravenna e poi in Italia, come opera postuma a cura delle mani amorevoli e devote dei figli.

Ma questo non convince il matematico filologo, il quale così – di botto e senza senso – afferma che i canti sono stati scritti dai figli, poeti anch’essi appunto – e che quindi l’opera diventa un’opera collettiva a più mani della famiglia Alighieri.

Ovviamente i dantisti risposero con rigore alla tesi del “Paradiso taroccato”,[2] facendo intendere che le cose non funzionano proprio così nel mondo della critica letteraria e della filologia. Un po’ a dire, “noi mica andiamo a parlare delle equazioni di secondo grado, ognuno stia nel proprio campo”.

Odifreddi rispose alle critiche, un po’ spiazzando e sbaragliando le carte in tavola. Rispose che aveva scherzato e che i dantisti non sono persone in grado di cogliere l’ironia. Era un gioco. Un gioco mattacchione di un matematico burlone: “e mi stupisco che un ‘dantista’ non si sia nemmeno accorto che il mio articolo era una parodia della critica letteraria (…) ma lei pensa veramente che a me (o a qualunque altro lettore non professionista) possa importare se Dante abbia scritto o no gli ultimi canti della Divina Commedia? Io mi sono semplicemente divertito, leggendo il Boccaccio, nel vedere che lui cita come fatti sia la mancanza degli ultimi canti alla morte del poeta”.

Odifreddi si stupì. Dantisti barbogi che manco ci arrivano. Adesso non si può nemmeno fare più una battuta. Divertimento. Puro divertimento. E lasciamoli divertire questi matematici!

Il divertimento fu tale (e tale l’ingenuità dei dantisti che non si accorsero nemmeno di “una parodia della critica letteraria”) che Odifreddi ritornò a parlare di Dante in pubblico, nel 2018 (e noi leggiamo la recensione[3] a cura di Adriano Ercolani), dicendo tra le varie cose che “siccome scrivere come Dante era facile, gli ultimi canti li hanno scritti i figli”.

Ancora divertimento? Battutona? O ancora una volta ce l’aveva fatta? Diavolo di un Odifreddi! Perché se questa battuta non la capiscono i dantisti, quando la trovano in un libro, se questa battuta non la coglie un giornalista ad uno spettacolo/conferenza/performance, come fa a coglierla uno spettatore medio, che va a sentire il matematico Odifreddi, nella convinzione di sentire cose che in qualche modo lo nutriranno dal punto di vista culturale?

Odifreddi scrisse un altro libro, “Dizionario della stupidità” e giusto per mettere alla prova le nostre capacità interpretative a pagina 79 scrisse: “Nel Trattatello in laude di Dante (1360 circa) il Boccaccio racconta che, quando il poeta morì, la Commedia era incompiuta. Mancavano gli ultimi tredici canti, e i figli Iacopo e Pietro furono convinti dagli amici a completarla. Otto mesi dopo la morte il padre apparve però al primo in sogno, lo condusse per mano in una camera e gli indicò una stuoia sul muro, sotto la quale il giorno dopo furono miracolosamente ritrovati gli ammuffiti canti mancanti. Che cos’è più stupido pensare? Che i figli abbiano completato l’incompiuta opera del padre? O che egli avesse nascosto gli ultimi canti, invece di spedirli a Cangrande della Scala come faceva regolarmente man mano che li finiva, e che essi siano stati ritrovati in seguito a un sogno?”

E qui mi pongo la questione su quale sia la responsabilità di un intellettuale in ambito divulgativo. Un giorno, una persona qualsiasi, potrebbe benissimo sostenere che la Commedia sia un’opera terminata dai figli, tanto facile è scrivere come l’Alighieri (sic!), in virtù della sana, corretta, pregevole opera di promozione culturale compiuta dal matematico Odifreddi.

Perché è indubbio, il modo in cui arriva una notizia attraverso i libri o le conferenze di Odifreddi, a fronte della sua popolarità e fama, è assolutamente impari rispetto alle vane repliche del dantista di turno che tenta di rimettere i puntini sulle i. Senza trascurare che ci va ad una serata di Odifreddi, o chi legge una sua opera, forse, dal punto di vista delle conoscenze è molto più vulnerabile (e manipolabile) perché si fida, rispetto agli specialisti che hanno già chiari i termini della questione.

Ma perché Odifreddi, (il quale sostiene aver scherzato), continua, in più occasioni, affidando anche il proprio pensiero alla pagina scritta, a portare avanti questa sua teoria su Dante? Perché invade il campo entrando in argomenti sui quali non ha competenza, per far pesare il proprio nome e il proprio credito, a scapito di Dante e di tutti coloro che Dante lo studiano e lo amano?

Dire che i canti finali del Paradiso non sono opera di Dante, giova a Dante? È operazione intellettualmente valida? Legittima? Se in diverse occasioni Odifreddi sostiene che Dante non abbia concluso la Commedia qual è l’effetto, qual è la motivazione, qual è il rispetto nei confronti di suoi pari, accademici, che queste cose per lavoro le fanno da anni?

Avevo menzionato l’articolo del 2021, in piene celebrazioni dantesche. Tra le varie opinioni personali (non documentate) su Dante, il suo pensiero, la sua poesia, Odifreddi torna a parlare del “problemino” degli ultimi canti e ripropone la tesi del completamento da parte dei figli, giusto per far arrabbiare i dantisti seriosi e musoni che non sanno nemmeno capire le battute

“Ovviamente, la cosa non ha nessuna importanza per chi si interessa solo al poema, chiunque l’abbia scritto, ma provate a suggerirla a un dantista, per il quale il poeta è un essere divino! Otterrete la stessa reazione isterica che avrebbe un cristiano fondamentalista”.

Studiare Dante con serietà, approccio critico, storico e filologico, è alla pari del fondamentalismo. Non è espressione di libertà di pensiero. Il punto è che Odifreddi si pone come un pensatore libero, ma pensatore libero non significa essere un pensatore assoluto?

Confesso che quando ho letto i vari interventi di Odifreddi, da persona che ama, legge e studia Dante da più di vent’anni, la mia reazione sia stata andare in libreria e prendere cinque o sei volumi e capire se per qualche motivo Odifreddi potesse anche avere ragione.

Al momento per me non ce l’ha. Ma per arrivare a questo ho dedicato studio, tempo e pazienza, perché il sapere è fragile, complesso, e per farsi un’idea su una cosa occorre studio, pazienza, tempo. Presumo il tempo che Odifreddi abbia dedicato a Dante per scrivere i suoi libri o fare le sue serate dove parla di Dante. Ma una persona che Dante non lo conosce o lo conosce poco? Dopo aver letto un articolo o un libro di Odifreddi, dopo essere tornato a casa da una sua conferenza, che idea si farà su Dante e su quali basi?

Perché qui sta il punto: non tanto che Odifreddi la pensi in modo diverso, è che Odifreddi sostiene dei pregiudizi suoi personali senza nessun metodo o rigore. O forse, parlare di letteratura è meno serio che parlare di matematica? E quindi l’approccio può essere più sbarazzino e improvvisato? Quali sono i confini etici di una buona e corretta divulgazione?

Odifreddi, in un video su Youtube, dal titolo “Odifreddi legge Dante[4] (e ci mancherebbe, a ‘sto punto), pone l’Alighieri tra gli autori per lui più importanti. Lui la Commedia l’ha letta integralmente almeno sei volte. La Commedia è un testo al quale “infinite volte” ricorre (che detto da un matematico… ).

Io penso anche che Odifreddi sia in buonafede, che creda veramente a quello che dice. Però non ci sono dubbi, Odifreddi l’avrà anche letta e riletta non so quante volte la Commedia, ma Odifreddi è uno studioso che ha i suoi pesanti pregiudizi sul pensiero di un autore cristiano e questi pregiudizi penso abbiano creato tutta una sequela di bias cognitivi che della Commedia a Odifreddi hanno restituito un’immagine stereotipata e superficiale. E il “problemino” dei canti conclusivi è solo la punta dell’iceberg. Quando Odifreddi si addentra a parlare di Dante uomo il ritratto che restituisce è davvero impietoso.

Ma appunto, quali sono i limiti nei quali un intellettuale, solo in virtù di essere un intellettuale, può e deve stare? Odifreddi confessa che a lui piace molto l’Ulisse di Dante. E Ulisse, si sa, non ama i confini. E chiaramente nemmeno Odifreddi li ama. Ma la misura non è qualità della modernità. È una virtù antica.

Dopo che Odifreddi si è scusato con i dantisti, dicendo che lui scherzava e che non pensava veramente a quello che diceva su Dante in un suo libro, perché poi ha continuato a sostenere la propria tesi divertimento, prendendo di mira i dantisti, come se fossero studiosi di serie B? Quando Odifreddi ha letto le contestazioni a lui mosse, ha dedicato un attimo in più della sua vita, prima di scrivere altri libri o altri articoli in cui parlava di Dante, per verificare se per caso quel punto di vista potesse essere o meno un punto di vista da prendere in considerazione?

Perché questo fa un intellettuale, quando dialoga con altri intellettuali. Odifreddi che servizio rende a quel Dante che ha scritto un libro per lui così fondamentale.

Io non so riconoscere i meriti di Odifreddi come matematico logico e non so nemmeno riconoscere i suoi meriti quando parla di Russell, Einstein, Sartre, Borges.[5] Mi chiedo quali siano i meriti del matematico per addentrarsi a parlare di questo e quello. Non lo so. Non ho gli strumenti per capirlo. Io ho gli strumenti, forse, per capirlo quando parla di Dante. Forse con Dante gli è andata male, ma sicuramente sono io – lo so – che non capisco le battute.


[1][1] https://www.editorialedomani.it/idee/cultura/dante-alighieri-danted%C3%AC-poeta-non-cosi-sommo-dantisti-jy89ptz4?fbclid=IwAR1wVliks4JHzhRRHN4z5Sbi9HBOFL_nN49Gyyj2g6JnEmgl79yDyQfCuT8

[2] https://www.leparoleelecose.it/il-paradiso-taroccato-piergiorgio-odifreddi-dantista/

[3] https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/12/05/esotericarte-ho-apprezzato-lo-spettacolo-ma-non-il-discorso-finale-di-odifreddi-su-dante/4813101/

[4] https://www.youtube.com/watch?v=DzFiyAcwxEs

[5] https://www.youtube.com/watch?v=aiwsc6IkX-U

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