Dei nerd di mezz’età si muovono scoordinati su di un palco. L’asfalto di un’assolata strada francese, una casa nei sobborghi di Seattle e un’ex località termale nel cuore dei Balcani. Trent’anni fa il mondo è cambiato, e forse non ce ne siamo nemmeno accorti. Il 1995 ci ha cambiati. Io sono cambiato. E l’ho capito solamente oggi.

Certo, ogni anno nel corso della storia ha consegnato all’umanità mutamenti, invenzioni e tragedie che ne hanno, in qualche modo, segnato il percorso. È però singolare notare come alcune delle novità che hanno visto la luce nel ’95 abbiano camminato fino a plasmare, oggi, la nostra quotidianità. Come gli avvenimenti, sportivi e non, di quei mesi abbiano modificato percezioni e comportamenti di molti. Non sempre in meglio.

La locandina di Forrest Gump

Eppure il 1995 è iniziato con delle certezze granitiche. Sanremo ha, come di consueto, catalizzato l’interesse di milioni di italiani e, per una volta, ha pure messo d’accordo tutti. Una smagliante Giorgia porta a casa la vittoria con Come Saprei, davanti a Gianni Morandi e Ivana Spagna. Più o meno nelle stesse settimane Alberto Tomba, sempre più sex symbol italico, conquista la Coppa del Mondo generale, oltre a quelle di slalom gigante e slalom speciale. L’alba e le ultime luci, rispettivamente, di due carriere uniche.

Dall’altra parte dell’oceano Robert Zemeckis, che esattamente dieci anni prima ha sbancato i botteghini con Ritorno al futuro, vince l’Oscar per miglior film e miglior regia con Forrest Gump. Tom Hanks, dal canto suo, entra nella ristrettissima cerchia degli attori in grado di vincere due statuette, bissando il successo dell’anno precedente con Philadelphia.

Questione di palcoscenici. Il mondo cambia veramente qualche mese dopo, più di mille miglia a nord di Los Angeles. Bill Gates, Steve Ballmer e gli altri soci sono sul palco del Campus Microsoft a Redmond (Washington). Danzano sulle note di Start me up dei Rolling Stones mentre presentano al mondo la prima versione di Windows 95. Nelle prime cinque settimane il sistema operativo vende sette milioni di copie e rivoluziona completamente il rapporto dell’uomo col computer. La società digitale e interconnessa in cui viviamo nasce quel giorno.

Un mesetto prima, sempre nei dintorni di Seattle, è stata posata un’altra pietra miliare in tema di digitalizzazione. Nella sua casa di Bellevue Jeff Bezos lancia una libreria online. Si chiama Cadabra, ma a breve diventerà Amazon. Vende libri online, oggi ha stravolto l’economia globale e manda uomini e donne nello spazio. Continua a vendere, tanto.

Bill Gates e i dirigenti Microsoft ballano sul palco a Redmond

Io mi diverto ad avere trent’anni, io me li bevo come un liquore i trent’anni” scriveva Orianna Fallaci. Forse perché, quando li vivi, nemmeno te li senti addosso. Nel 1995 Oriana di anni ne ha sessantasei, io solo nove. Guardo stupefatto lo strapotere fisico di George Weah, arrivato in estate al Milan, mentre cerco la Liberia sul mappamondo. Migliaia di coetanei, in tutta Italia, comprano scarpette da calcio rosse.

Restando a Milano, in una serata d’agosto ogni tifoso rossonero del globo si commuove per l’addio al calcio giocato di Marco Van Basten, dopo un calvario di due anni dall’ultimo match disputato. La terrificante giacca di renna con cui sta facendo il giro di campo è l’unico peccato di stile che il Cigno di Utrecht abbia mai compiuto sull’erba di San Siro.

A nove anni di sport capisci poco, figurati della vita. Eppure c’è un’istantanea di quell’estate che mi porto dentro da allora. È il 18 luglio, fa caldo e si sta correndo la 15esima tappa del Tour de France. Un gruppo di corridori scende a circa 80 km/h dal Colle di Portet-d’Aspet. Si innesca una caduta collettiva. Fabio Casartelli, campione olimpico a Barcellona nel ’92, sbatte violentemente la testa contro uno dei paracarri in pietra che delimitano la strada.

La lapide sul luogo della caduta di Casartelli

È un frame, pochi secondi a favore di telecamera. Il corpo di Fabio raggomitolato a terra, quasi in posizione fetale, le bici sparse qua e là e una scia di sangue che luccica sotto il sole. Il dottore prova a sostenergli la testa in attesa dell’arrivo di altri soccorsi. L’anno prima se n’era andato Senna, ma era sembrato tutto così asettico dalla tv. Quel giorno, probabilmente, associo per la prima volta lo sport all’idea della morte. Con tutto lo spaesamento che un ragazzino può avere di fronte a un argomento del genere.

Quell’edizione della Grande Boucle la vince per il quinto anno consecutivo Miguel Indurain e, dopo la tragedia, il ciclismo italiano prova a ritrova il sorriso con Marco Pantani che ottiene la sua prima vittoria in terra francese, sulle rampe dell’Alpe d’Huez. Un’altra storia d’amore smisurato e morte insensata, quella del Pirata, per più di una generazione di appassionati.

Nelle stesse settimane in cui gli occhi dell’Europa sportiva sono rivolti verso le strade francesi, le truppe serbo-bosniache comandate da Ratko Mladić entrano nell’enclave di Srebrenica. In capo a pochi giorni deportano e trucidano circa 7.000 bosniaci musulmani. Quelli riconosciuti. L’orrore è ancora nel cuore del vecchio continente. Ed è un abisso che atterrisce se provi a sporgerti per guardarci dentro.

Gli anni Novanta sono una corsa senza freni. Il nuovo millennio è dietro l’angolo e nessuno vuole arrivarci col fardello di vecchie piaghe purulente. Per una ferita che continua a sanguinare, quindi, ce n’è un’altra che devi raccontare come suturata. Servono storie positive, come quella del Mondiale di Rugby in Sudafrica. Contro ogni pronostico gli Springbooks conquistano il titolo sconfiggendo gli All Blacks di Jonah Lomu. Il presidente Nelson Mandela consegna la coppa nelle mani di François Pienaar. Dicono che l’apartheid sia ormai un ricordo.

Mandela premia Pienaar (frame World Rugby TV)

Il brutto di certe ferite è che magari, sul momento, sei convinto di averle curate. Loro, invece, restano sempre lì. Pronte a trasformarsi in cicatrici impossibili da cancellare. I network tv negli USA interrompono le trasmissioni, mostrano in diretta un denso fumo nero salire verso il cielo terso di Oklahoma City. Un gruppo neo-nazista statunitense ha devastato la sede dell’FBI con un camion bomba. I morti sono 168, il più grave atto di terrorismo interno che gli States abbiano dovuto affrontare.

Per la prima volta l’America è costretta a cercare il nemico nel giardino di casa. Emergono le crepe che, arrivate fino ad oggi, ne stanno dilaniando la società. Robert Francis Prevost nel 1995 è impegnato nell’arcidiocesi di Trujillo, in Perù. Forse dalla sua finestra vede l’immensità dell’oceano Pacifico e nemmeno ci pensa a Roma. A proposito di ferite e cicatrici indelebili: il 4 novembre, a Tel Aviv, il premier israeliano Yitzhak Rabin viene assassinato da un estremista di destra contrario al processo di pace israelo-palestinese.

Toy Story

L’ultimo grande balzo nel futuro che il 1995 ci regala, arriva alla fine di novembre, quando Pixar e Disney rilasciano Toy Story. Il primo lungometraggio realizzato interamente in computer grafica. Woody e Buzz dimostrano che la CGI può essere utilizzata non solo negli effetti speciali, ma per creare intere narrazioni. Buona parte del cinema di oggi inizia in quel momento.

In Italia rispondiamo con un altro film iconico. I fratelli Vanzina e la Medusa ci regalano Selvaggi. Antonello Fassari, recentemente scomparso, è il postino e tifoso romanista Mario Nardone, che divulga il verbo della rivoluzione proletaria sulle spiagge dei Caraibi. Tra modelle in costume, stereotipi regionali, Scatman come colonna sonora e battute di bassa leva. La ricetta perfetta per farsi vedere e rivedere, anche a distanza di anni. Cosa che faccio, regolarmente.

Alla fine, Oriana Fallaci aveva ragione. Cosa sono trent’anni. Non “una precoce vecchiaia ciclostilata su carta carbone”, piuttosto l’atterraggio dopo un breve salto. Giusto il tempo per guardarci indietro. Capire che siamo tutti figli della stessa stagione. Lo spazio di un pensiero, e poi via. Pronti a fiondarci nei prossimi trenta.

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