Vincitore il 18 febbraio del premio come miglior documentario alla 77esima edizione dei British Academy Film Awards, “20 Days in Mariupol” arriva anche a Verona in chiusura di Mondovisioni.

L’appuntamento è questa sera alle 21 nel teatro di Fucina Culturale Machiavelli (via Madonna del Terraglio, 10), dove si concluderà la rassegna di sei docufilm di Internazionale, che aveva preso il via lo scorso 22 gennaio, realizzata in collaborazione con CineAgenzia e con Heraldo.

Dalla politica statunitense e i legami con il cristianesimo evangelico di “Praying for Armageddon”, seguito da “The lost souls of Syria”, sui detenuti civili torturati a morte dal regime siriano, al sistema di controllo del governo cinese rafforzato dalle tecnologie digitali in “Total trust”, i documentari proposti quest’anno hanno parlato anche di Iran e diritti delle donne (“Seven winters in Teheran”), e di Uganda con la vicenda di un giovane rapito e arruolato nella Lord’s Resistance Army del leader ribelle Joseph Kony (Theatre of violence”). 

Una guerra ritenuta improbabile

La chiusura con “20 days in Mariupol” segue di due giorni il secondo anniversario dall’aggressione russa al territorio ucraino: due anni fa, alla vigilia dell’invasione, alcuni giornalisti di Associated Press entrano a Mariupol, città portuale che venne poco dopo posta sotto assedio. La squadra di reporter restò sul posto, sotto ai bombardamenti, mentre la popolazione cercava vie di fuga e l’accesso ad acqua, cibo, elettricità venne interrotto. Un ospedale divenne per loro prima rifugio e poi trappola, circondati dai soldati russi: ma grazie alle immagini raccolte e diffuse dai giornalisti furono fondamentali per smentire la disinformazione russa.

La locandina di “2o days in Mariupol”, questa sera a Verona alla Fucina culturale Machiavelli.

“Nei primi giorni di guerra, i russi hanno bombardato l’enorme Piazza della Libertà di Kharkiv, dove avevo passato i miei vent’anni. Sapevo che le forze russe avrebbero considerato la città portuale orientale di Mariupol come una conquista strategica, per la sua posizione sul Mar d’Azov. Così la sera del 23 febbraio mi sono diretto lì insieme al mio collega Evgeniy Maloletka, fotografo ucraino dell’Associated Press, con il suo furgone Volkswagen bianco. Durante il tragitto, ci siamo preoccupati di non avere abbastanza ruote di scorta, e abbiamo trovato online un uomo nelle vicinanze, disposto a vendercele. Abbiamo spiegato a lui e al cassiere del negozio di alimentari aperto tutta la notte che ci stavamo preparando alla guerra. Ci hanno guardato come se fossimo pazzi. Arrivammo a Mariupol alle 3:30. La guerra iniziò un’ora dopo.”

In questa nota del regista Mstyslav Chernov si legge non solo la tensione che precedette l’attacco, ma anche l’incredulità dei connazionali nei confronti di un evento, considerato da molti come l’ultima delle opzioni sensate (tra le testimonianze di quei giorni che precedettero lo scoppio della guerra, c’è anche questa storia raccolta da Julia Demidova per Heraldo, ndr).

Da subito i civili nel mirino

Ed è infatti la normalità di Mariupol, ripresa il 24 febbraio 2022, ad essere subito straziante: su questa città che ancora vive normalmente si abbattono in poco tempo i colpi sparati dai carri armati contro qualsiasi obiettivo, facendo strage di civili. Grazie alle immagini del docufilm, ci si cala dentro la guerra senza alcun filtro, con tutte le conseguenze più strazianti e brutali.

I reporter sono lì e filmano, testimoniano, restituiscono al mondo, che ancora oggi stenta a voler riconoscere non solo la gratuità di questo conflitto, ma anche da quale sistema ideologico sia animato, quello che gli ucraini stanno continuando ad affrontare.

Candidato all’Oscar come miglior documentario

Il regista Chernov è giornalista e reporter, membro dal 2014 di Associated Press e presidente dell’Associazione ucraina dei fotografi professionisti. Ha coperto per AP Iraq, Afghanistan e Nagorno Karabakh; nominato giovane talento del 2015 e cameraman dell’anno 2016 dalla Royal Television Society inglese, ha ripreso l’assedio di Mariupol insieme al collega Evgeniy Maloletka, per il quale ha ricevuto il Pulitzer Prize for Public Service 2023.

Ora si trova a Los Angeles per promuovere il documentario candidato agli Oscar, che si terranno il 10 marzo prossimo.

L’attenzione che il mondo cinematografico sta rivolgendo a “20 days in Mariupol” sembra contrastare la progressiva sparizione delle notizie dalla guerra in Ucraina; paradossalmente, anche il decesso di Alexei Navalny sembra favorire l’interesse per il film di Chernov. Non è secondario che proprio il documentario, diretto dal regista canadese Daniel Roher, sul dissidente russo abbia vinto l’Oscar lo scorso anno: la speranza è che la giuria assegni la statuetta anche al lavoro del giornalista ucraino, per continuare a dare voce a un conflitto che non retrocede ed è necessario a un progetto geopolitico più grande.

Non dimenticare la gente di Mariupol

La squadra dell’Associated Press riuscì poi a fuggire grazie ai soldati ucraini, poco prima che i russi bombardassero il teatro di Mariupol, in cui avevano trovato rifugio centinaia di civili. “Ci siamo sentiti in colpa – ha dichiarato Chernov -. Per questo sento di dover fare tutto il possibile per garantire che la storia della gente di Mariupol, che ci ha aiutato a sopravvivere e ha perso tutto, compresa la vita, non venga dimenticata. È per questo che il film esiste.”

Di seguito alla proiezione, ci sarà un dialogo, a cura della redazione di Heraldo, con due ospiti, Marina Sorina per l’associazione Malve di Ucraina, e Stefano Aloe, docente di slavistica all’università di Verona e rappresentante locale per Memorial Italia, per parlare di informazione, resistenza e dissidenza. Biglietto unico di 7 euro in vendita alla Fucina culturale Machiavelli.

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