Un anno fa, erano vivi. Un anno fa, era viva la loro fiducia nell’umanità. Sapevano già che la guerra in corso era crudele, ma credevano ancora nell’esistenza dei luoghi sacri, che nessuno avrebbe osato bombardare. Come il Teatro d’arte drammatica di Mariupol, una istituzione amatissima.

Un teatro voluto e amato

Fortemente voluto, nonostante le regole sovietiche non prevedessero la presenza di un teatro in una città che non è un capoluogo regionale, quando venne inaugurato nel 1960, i primi spettatori furono gli operai edili che l’avevano costruito. Il teatro ha quindi continuato a mettere in scena uno spettacolo dopo l’altro, e non ci si è fermati nemmeno negli anni Novanta, nonostante le difficoltà finanziarie: gli stessi spettatori contribuivano, portando gli oggetti di scena, le sarte venivano a cucire i costumi gratis. A febbraio del 2022, il cartellone contava 23 spettacoli, incluso uno di Anton Čechov.

Un rifugio di tante anime

L’edificio divenne il centro della città, non solo in senso strettamente culturale. Proprio lì gli abitanti di Mariupol hanno infatti cercato rifugio un anno fa, allo scoppio del conflitto. Quel palazzo dalle ampie sale e profondi sotterranei sembrava perfetto. I sedili sono stati staccati e trasformati in giacigli,le parti in legno sono diventate combustibile per cucinare. Sui piazzali, di fronte e sul retro dell’edificio, fu anche scritto in russo дети, Bambini. Un messaggio chiaro, che denunciava la presenza solo di civili, riparati in un luogo dedicato alla cultura.

Ma i russi hanno bombardato lo stesso, e la carica che hanno buttato sopra fu talmente forte da far tremare la città intera. La parte posteriore del teatro crollò, seppellendo chi vi era nascosto. La parte frontale rimase in piedi, permettendo a chi si trovava lì di sopravvivere e documentare.

Demolizione della memoria

Le stime danno cifre che vanno dalle 600 alle 2400 vittime. Ma non potremo saperlo di preciso. Perché nessuno è stato identificato, nessuno è stato sepolto. I russi hanno lasciato i vivi, i morti, i feriti sotto le macerie, perché la città era bombardata costantemente e nessun soccorritore poteva avvicinarsi.

Quando gli invasori sono entrati, occupando la città, hanno scelto la via più semplice e disumana: demolire le macerie insieme ai resti dei corpi schiacciati e dilaniati. Hanno nascosto i lavori dietro un alto recinto. Per decorarlo, hanno scelto i ritratti degli scrittori russi più famosi, che furono usati come scudo alle loro nefandezze. Alle spalle dei luminari della letteratura russa, le ruspe spazzavano via i resti delle vittime.

Testimonianza di Oksana Stomina

Come si fa ad assistere a una tragedia di questa portata? Ce lo racconta Oksana Stomina, poeta ucraina contemporanea, venuta a Verona per un tour in autunno. Lei, che prima dello scoppio della guerra si dedicava alla poesia, ora aspetta il ritorno dalla prigionia di suo marito, che era fra i difensori di Azovstal.

Ecco la sua testimonianza di quel 16 marzo 2022.

La poeta ucraina Oksana Stomina, testimone dei fatti di Mariupol.

«Oggi è l’anniversario della distruzione del teatro drammatico di Mariupol, perpetuata dai dis-umani russi. La cosa più spaventosa è che durante l’attacco nell’edificio del teatro c’erano diverse centinaia di civili. Non conosco il numero esatto, ma posso dire con precisione che un paio di giorni prima abbiamo ricevuto la richiesta di preparare pacchi viveri con cibo, medicine e prodotti igienici per chi si era riparato dentro.

Secondo quella richiesta, quel palazzo, costruito per tutt’altro scopo, ospitava 1200 persone, rifugiate nei corridoi, camerini, foyer, sulle balconate e addirittura nella sala principale del teatro. Fra loro, gli anziani, i malati, le donne incinte e tantissimi bambini. Gli occupanti, in particolare la persona che ha dato l’ordine del bombardamento mirato, e colui che l’ha eseguito, lo sapevano senz’altro».

«Alle 7.43 del mattino sono uscita dal rifugio antiaereo, sono salita di corsa nel mio appartamento e mi sono affacciata sul balcone. Era una giornata di sole, di quelle che fanno venire voglia di andare al mare. Ma non era il caso di andare a spasso. Era il caso di cercare di sopravvivere.

Accanto al teatro si affaccendavano le persone che hanno azzardato di uscire per cucinare o procurare dell’acqua. Ma il palazzo bello e solenne del teatro, che ho sempre associato a una nave bianca, tanto da scriverci una poesia, era ancora quello di sempre. Mi era balenato un pensiero: “Ora non è una semplice nave, ma un’arca che cerca di salvare almeno qualcuno.” Sullo sfondo del fumo nero questa “arca” pareva più grande e maestosa che mai.

La bianca nave della speranza

«Cercando di rintracciare mia figlia al telefono mi sono trattenuta in casa più del solito. Chissà, forse presagivo una lunga separazione? Alle 9.13 sono uscita sul balcone di nuovo. Era l’ultima volta che vedevo il nostro teatro. Ho provato una tristezza indescrivibile, osservando le auto incolonnate in strada, in attesa di un “corridoio umanitario”. Chi non era automunito correva tra le macchine supplicando di permettergli di salire per andare via. In quel momento ho sentito il rumore di un aereo in avvicinamento e mi sono precipitata giù per le scale.

Mentre correvo, ho sentito un’esplosione potentissima. Non sapevo dove avessero colpito in quel momento, ma era vicino. Invece di rientrare al nostro centro umanitario, ho preferito aspettare nel sotterraneo di casa mia.

Alle ore 10.05 in punto il mio rifugio antiaereo, profondo dieci metri sottoterra, è stato scosso da un’esplosione di una potenza inimmaginabile. La forza fu tale che la gente del rifugio era convinta che avessero centrato il nostro palazzo. Più tardi ho saputo, che invece era il teatro.

Il teatro era.

Il teatro non c’è più.

Qui sotto, la mia ultima foto dell’amato teatro».

Teatro di Mariupol a pochi minuti dal bombardamento. 16 marzo 2022, foto di Oksana Stomina.