Cinquant’anni di ricerca e collezionismo, in viaggio attraverso le città, le gallerie e le fiere nazionali e internazionali, per scoprire il mondo dell’arte emergente e i suoi protagonisti. Giorgio Fasol, classe 1938, insieme alla moglie Anna, ha dedicato la sua vita alla scoperta dei giovani talenti in campo artistico, con l’obiettivo di creare uno spazio dedicato all’arte contemporanea e ai suoi linguaggi che possa divenire un luogo di incontro e di discussione per il pubblico non solo degli specialisti, ma soprattutto per giovani e curiosi che vogliano confrontarsi con le tematiche del proprio tempo.

Il dialogo con Giorgio Fasol è ricco di storie, aneddoti e suggestioni sul mondo dell’arte, che mettono in luce una personalità sfaccettata, uno sguardo mai banale sul mondo che ci circonda e sul futuro delle nuove generazioni.

AGIVerona è la collezione di Giorgio e Anna Fasol. Vorrei iniziare quindi mettendo a fuoco l’altra protagonista di questo progetto: parliamo di Anna e del suo ruolo per la nascita e lo sviluppo della vostra collezione?

«(Ride) Anna non nasce come collezionista, ma è più colta di me e ha da sempre una spiccata passione per l’arte antica. Il padre l’accompagnava nei musei quando era bambina e questo le ha permesso di sviluppare un “occhio” speciale, una capacità innata di valutare la qualità delle opere, soprattutto in materia di disegno. Anna mi ha sempre accompagnato nei viaggi e nella mia ricerca, dando la sua preziosa opinione, scegliendo magari tra due opere che io avevo individuato. La differenza tra di noi è l’orientamento sulle tecniche: se lei preferisce nettamente il disegno, per me l’arte spazia invece tra tutte le tecniche e gli strumenti esistenti, fino ad arrivare al concettuale e a superarlo».

Il collezionista veronese Giorgio Fasol.

Qual è stata l’opera che le ha aperto le porte del mondo del collezionismo?

«Nel 1958 mi sono diplomato e sono subito andato da Novelli in via Oberdan per acquistare un’opera di Morandi, che avevo visto per la prima volta in un servizio giornalistico realizzato in occasione di una mostra sull’artista. Avevo qualche risparmio ottenuto dai miei primi lavori e volevo assolutamente comprarlo. Quando sono arrivato in galleria, il proprietario mi ha risposto che non lo aveva in quel momento, ma che avrebbe potuto procurarmelo nel giro di un mese. Si era però premurato di dirmi quanto costava, perché si trattava di una cifra impegnativa per l’epoca: un milione di lire. All’epoca un buon ragioniere guadagnava circa 50mila lire al mese. Io avevo solo 365mila lire, mi sembravano moltissimi prima di entrare in galleria, quindi dovetti rinunciare».

Ma il desiderio di collezionare non è scomparso…

«Assolutamente no. Era un sabato pomeriggio, avevo conosciuto da poco Anna e stavamo passeggiando insieme in Volto San Luca e lì c’era una galleria d’arte, dove decidemmo di entrare per dare un’occhiata. Ci andammo solo per guardare, come avrei fatto in un negozio di scarpe, all’epoca non avevo ancora iniziato a collezionare. Beh, mentre osservavo le opere, un signore mi si avvicina e con tono perentorio mi dice di non guardare le “croste”, ma le opere vere! Quel signore si chiamava Renzo Sommaruga.

Lui aveva vissuto a Parigi, aveva realizzato una mostra presentata da Montale, era un uomo di spessore. Non era solo un pittore: era poeta, musicista, scultore, e soprattutto un bravissimo stampatore di libri d’arte. Ci invitò quindi a casa sua farci vedere il libro da lui stampato con poesie di QuasimodoUomo del mio tempo”, con allegate nove litografie dei maggiori artisti dell’epoca, tra queste c’era un bellissimo Capogrossi. È scattata la scintilla e li ho iniziato davvero a interessarmi di arte contemporanea».

Letizia Frescura, Accademia 1, 2023 – Video, 04.11 Minuti.

In un certo senso, quindi, Renzo Sommaruga le ha aperto un mondo. Ha iniziato così ad acquistare opere di grandi maestri del Novecento?

«Qualche tempo dopo il primo incontro con Renzo, eravamo andati in visita nello studio d’artista di Aimone a Milano. Ci fece aspettare un’ora e venti prima di riceverci, ma lì ho visto per la prima volta un’opera di Lucio Fontana. È stato un colpo di fulmine. Ho iniziato ad acquistare i multipli di Fontana, ma la verità è che volevo il pezzo unico.

Qualche anno dopo, sposati da neanche un anno, io e Anna andiamo a Brescia a una mostra su Fontana e vedemmo un’opera bellissima fatta con l’anilina grigia e due ovali bianchi bucati al centro. Mi sembrava una di quelle foto che si vedono nelle case di campagna dei nonni, con i ritratti inscritti in ovali. Il prezzo era molto alto: tre milioni di lire. Io ne avevo solo uno da spendere, ma la volevo. Quindi decisi di proporre un contratto al gallerista: avrei pagato un milione sul momento e gli avrei lasciato il quadro, fino a quando non avessi terminato le rate. Il gallerista accettò, così sono finalmente riuscito ad avere il “mio” Fontana.

Era solo un anno che l’artista era morto, ma era già una pietra miliare dell’arte del Novecento. Mentre stavo per andarmene, il gallerista mi mostrò l’opera di un giovane, dicendomi che, prima o poi, quello sarebbe diventato famoso quanto Fontana: era un Kounellis. Anna a quel punto mi ricordò che abbiamo appena fatto due milioni di debito. Però in quel momento capii che c’era qualcosa nell’arte dei giovani che mi affascinava».

E l’opera di Fontana dov’è ora?

«L’ho venduta per comprare altre opere di artisti giovani. Per poter ampliare la mia collezione di emergenti, vendo un’opera all’anno della mia collezione».

In casa sua si nota un’opera tardo cinquecentesca, che colpisce particolarmente per l’“estraneità” rispetto a ciò che la circonda, sembra un po’ avulsa dal contesto…

«Questa è una storia divertente. Un giorno venne a casa mia un amico e vide alle pareti tutte le opere astratte che all’epoca avevo comprato: c’era un Vedova, un Capogrossi e un Tancredi. Al che mi disse: “Pensavo di avere un professionista serio davanti, finché non ho visto cosa ha appeso in casa”. A quel punto, decisi di spiegargli con la pratica qual fosse il mio punto di vista. Quando se ne andò, tolsi dal muro un catrame di Manzoni, sostituendolo con quell’opera cinquecentesca e li invitai nuovamente a casa. Appena entrò subito notò il cambiamento, dicendo “Questa si che è bella!”. A quel punto, con sguardo compiaciuto gli dissi: “Oh, questa ti piace? Bene, vuol dire che sei indietro di soli cinque secoli!”».

La passione per la cultura e l’arte dei giovani ha dato vita alla collaborazione con l’università di Verona e all’apertura di due esposizioni della collezione Fasol negli spazi universitari, a Santa Marta e a Ca’ Vignal 3. Cosa si deve aspettare in futuro la città dalla collaborazione tra AGIVerona e l’università?

«Spero che la città possa vedere presto la nascita di un museo diffuso dell’Università di Verona dedicato all’arte contemporanea giovane, con l’esposizione di oltre cento opere della mia collezione. Mi piacerebbe che le attività del museo, dalle visite, ai talk, ai seminari, coinvolgessero direttamente i ragazzi, dando loro la possibilità di confrontarsi con la cultura del loro tempo e il mondo dell’arte contemporanea».

Per rimanere sul tema della contemporaneità, quali sono state le new entry del 2023?

Federica Cortese, Senza Titolo, 2023 – Olio su tela. L’opera è stata esposta da Artericambi.

«Durante la mostra realizzata da Artericambi, a giugno di quest’anno, sono state esposte otto opere di quattro giovanissimi artisti dell’Accademia di Belle Arti di Verona. Io e un altro amico collezionista, dopo averla visitata, abbiamo deciso di comprare tutta la mostra. Vedere quei ragazzi così felici per la vendita e la pubblicazione delle loro opere, in un’intervista che ho rilasciato successivamente, mi ha riempito di gioia.

Sempre a giugno sono stato invece a Bologna, a “Opentour / Art is coming out”, rassegna organizzata dall’Accademia di belle arti di Bologna dove erano stati allestiti 24 siti per esporre in mostra i giovani artisti dell’istituto. C’era una ragazza, Anna Tappari, che ha realizzato una performance con quattro cellulari e quattro altoparlanti collocati negli angoli di un salone. La sua voce veniva trasmessa in diretta da un altoparlante all’altro, creando una perfetta armonia di voci e suoni. L’ho comprata subito, senza esitare. La cosa divertente è che la sera stessa quell’opera ha vinto, guadagnando il voto unanime della giuria, il primo premio della rassegna».

Qual è il suo rapporto con le gallerie? Oggi il mercato offre infinite modalità di acquisto o vendita di opere d’arte, anche online. Il loro ruolo è ancora fondamentale?

«Certamente lo è. In passato, tutti i sabati, io e Anna prendevamo il treno alle 13 e tornavamo a casa alle 20, visitando dalle cinque alle sette gallerie. Adesso lo posso fare anche durante la settimana. Se vuoi essere al corrente sui giovani devi ricercare, spostarti, visitare mostre e gallerie anche fuori dall’Italia».

Qual è l’opera più singolare che ha in collezione e che la diverte raccontare?

«Di sicuro quella di Tino Sehgal. Quante me ne hanno dette all’inizio per averla comprata! Ero andato a una delle mostre della Galleria Menini a Brescia, lì ci accolse una ragazza giovane, di 27 anni. La mostra si apriva nel salone centrale con due opere di Robert Barry e William Wilson, che lei appena entrati ci ha spiegato per filo e per segno. Entrando nella seconda sala ci accorgemmo però che non c’era nulla. In quel momento la ragazza si sciolse i capelli e iniziò a urlare “Questa è arte contemporanea!”.

Una performance di Tino Sehgal alla Marian Goodman Gallery nel 2013, foto di Hrag Vartanian.

L’incredibile opera di Tino Sehgal era questa. Ogni volta che deve “esporre” l’artista forma le persone che terranno la performance cambiando la frase da recitare, in base alle notizie del giorno. Mi ci sono voluti tre mesi prima di riuscire ad acquistarla. Seghal ha voluto informazioni su di me, sulla mia collezione, è anche venuto a casa. Non c’è un’autentica dell’opera, non c’è nulla di scritto e per prestarla ai musei devo chiedergli il consenso. Per me è andato oltre Duchamp, è l’immaterialità più completa. Il primo anno tutti mi dicevano che ero stato un pazzo. L’anno dopo l’artista espose nel padiglione della Germania alla Biennale di Venezia».

Il collezionismo tra i giovani esiste? Ci sono le possibilità economiche per sostenere una collezione al giorno d’oggi?

«Alcuni comperano ancora per l’amore dell’arte, ma è vero che in questo momento storico tanti comprano solo per l’investimento che l’opera rappresenta a livello economico.

Collezionare significa fare un grande investimento di tempo nella scelta, oltre che economico. Prendiamo il caso italiano: oggi si contano circa 100mila artisti che si dichiarano tali, ma di “validi” tra questi ce ne saranno forse 250. Sia chiaro, per me tutti gli artisti hanno il diritto di fare arte e li rispetto tutti quanti, qualsiasi sia la loro produzione, ma è la scelta dei collezionisti poi a fare la differenza e a determinare le tendenze della produzione contemporanea. “Il Giornale dell’arte” in passato mi ha nominato come “mentore” dei giovani collezionisti. Ma io vorrei solo che i giovani si sensibilizzassero al mondo del contemporaneo e si avvicinassero all’arte in modo naturale».

Cosa pensa del fenomeno degli Nft?

«Tre anni fa, con il boom dei bitcoin, mi hanno intervistato sull’argomento. La cryptoarte, secondo me, è più un investimento economico che un’espressione artistica, perché finché non c’è un pensiero filosofico alle spalle di un’opera, questa non si può considerare effettivamente arte».

Lei ha avuto la possibilità di conoscere tante persone importanti del mondo dell’arte, da artisti, a galleristi, a curatori. Da poco è scomparso Luigi Meneghelli, una figura di rilievo per il panorama curatoriale italiano, cosa ricorda di lui?

«Luigi Meneghelli era un bravo curatore e critico, aveva un temperamento un po’ timido e riservato, che forse non lo aiutava molto nelle relazioni. Come in tutti i mondi professionali contemporanei esistono regole non scritte che bisogna conoscere, ma soprattutto in quello dell’arte tu esponi la tua sensibilità, quindi il carattere che hai fa molto. Avevo un bel rapporto con lui, anche se non abbiamo mai lavorato insieme a un’esposizione. Ognuno fa le sue scelte nel mondo dell’arte naturalmente, ma rimane un critico che è stato molto apprezzato nel panorama italiano e un ottimo professionista».

Claudia Sallustio, Post, 2022 – Biro su cartastraccia. L’artista ha esposto da Artericambi e questo lavoro è entrato nella collezione di AGIVerona.

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