Heraldo e il Festival del Giornalismo sono sbarcati al Film Festival della Lessinia (FFDL), giunto quest’anno alla sua 29esima edizione. La collaborazione, nata dalla predisposizione al coinvolgimento e all’ascolto di tutte le istanze territoriali di Alessandro Anderloni, direttore artistico e anima del prestigioso festival di Bosco Chiesanuova, ha portato nel pomeriggio di martedì, nell’affollata tensostruttura della piazza del Festival, la filosofa Manuela Macelloni e la guida e accompagnatore di montagna Enrico Ferraro.

Tema dell’incontro, moderato dalla giornalista e presidente dell’Associazione Culturale Heraldo Fabiana Bussola, “La montagna disincantata”, con al centro il nuovo modo di vivere la montagna dagli abitanti delle terre alte, alle prese negli ultimi con fenomeni complessi e inquietanti come l’overturism e il cambiamento climatico, ma anche il rapporto, in continua evoluzione con il cosiddetto “selvatico”.

Un rapporto in profondissima crisi, come dimostra purtroppo anche la notizia di cronaca di oggi, che racconta dell’inutile morte della pacifica orsa Amarena, in Abruzzo, per opera ovviamente di un essere umano che ha deciso di spararle.

Una natura piegata

«Siamo parte del sistema natura», ha esordito Manuela Macelloni, autrice di alcuni saggi sul rapporto uomo-natura come La filosofia del cane. Orme per un futuro post-umanista. «L’animale modifica il territorio e il territorio modifica l’animale. La differenza è che all’uomo questa modifica naturale non basta mai. Non si accontenta e va oltre.»

L’esempio più calzante? Anche se lontano dal contesto montano, Dubai trent’anni fa era un deserto, era ricca di vita non umana, ma non aveva un grande valore. «Oggi quell’area degli Emirati Arabi Uniti è stata completamente antroplasticizzata, a livello di villaggio turistico» ha proseguito. «Sono state create città nel deserto e isole artificiali nel mare. Si è voluto modificare artificialmente quella che è la natura di quei luoghi, dragando del terreno dal sottosuolo per costruire isole fino a qualche anno fa inesistenti, per renderle addirittura edificabili. Ma la natura non accetta passivamente tutto e il mare ora sta erodendo la costa reale. Di fatto per costruire qualcosa di finto siamo andati a rovinare qualcosa di vero.  

Un momento dell’incontro al Lessinia Film Festival

La questione, sollevata da Macelloni, è stata utile per sviluppare poi il tema dell’overturism, che colpisce le principali città d’arte d’Italia e del mondo (fra cui ovviamente anche la nostra Verona) ma – di recente – ha coinvolto anche le zone di montagna. Montagna, però, che vive per il momento dinamiche diverse rispetto a quelle urbane. «Quando facciamo l’esperienza di visita nelle grandi città, ci imbattiamo negli stereotipi turistici», ha proseguito Macelloni. «Siamo sempre più forgiati dalle esperienze delle cosiddette “smart box”, quelle che ci vengono regalate a Natale e che promettono di regalare la cosiddetta esperienza. Alla fine quello che avviene è che ci siamo abituati a cercare nei nostri viaggi i non-luoghi da cartolina. Siamo innamorati di queste realtà artificiali. Non cerchiamo più le cose vive, vere… perché ci spaventano. Preferiamo l’artificiale sicuro piuttosto che il naturale imprevedibile.»

Tornando alla questione della vita in montagna, allora, come rapportarsi rispetto a queste dinamiche? «La montagna per il momento (e per fortuna) resiste», risponde Macelloni. «La montagna ci chiede di metterci in gioco, ci pone delle domande, ci mette di fronte al rapporto con il “selvatico”, su cui non abbiamo ancora trovato il modo per esercitare il nostro controllo. La montagna così facendo ci permette di co-nascere. Non dev’essere, però, anche quella un’esperienza mordi e fuggi, ma deve avere i suoi tempi. Quelli giusti.»

La mancanza di conoscenze

Cosa, succede, però, quando è il selvatico a entrare in contatto con gli umani? Gli allevatori, ma spesso anche gli abitanti dei paesi di montagna, lamentano la presenza vicino alle loro abitazioni o allevamenti di lupi o orsi. E quindi? «Quindi iniziano i problemi», spiega Enrico Ferraro. «I lupi sono stati relegati in certe zone, ma quando arriva a contatto con l’ambiente umano diventa un problema per tutti. Gli ungulati, poi, sono entrati in competizione con le attività umane (allevamenti, agricoltura). Si è parlato in passato anche di abbattimenti, ma non è detto che sia quella la giusta soluzione. Di certo c’è che occorre innanzitutto portare a conoscenza le comunità coinvolte del problema, per poi farle sedere attorno a un tavolo allo scopo di dialogare e trovare insieme una soluzione o un punto di incontro. In questo i media hanno una funzione chiave, certamente, ma anche la politica dovrebbe cercare di cavalcare meno le questioni e arrivare a soluzioni tecniche. A questo proposito nell’ultimo decennio la politica ha mancato in comunicazione e ascolto di tecnici ed esperti, che avrebbero potuto indicare la strada giusta da seguire.»

La filosofa Manuela Macelloni

Poi c’è da dire che non solo il selvatico è poco o per nulla conosciuto, ma a volte anche il cosiddetto “domestico” (quegli animali, cioè, come vacche e galline, che da tempo immemorabile ormai vivono in simbiosi con l’umano) risulta un mistero, soprattutto per le nuove generazioni. «Sono specie animali praticamente sconosciute ai bambini e agli studenti che vengono a visitare la montagna e per limitare i danni occorre raccontare la montagna e soprattutto far fare loro l’esperienza di vera conoscenza» spiega a questo proposito Ferraro.

«In realtà in montagna fino a qualche decennio fa la gente sapeva generalmente come comportarsi con il mondo animale, ma nel tempo queste conoscenze si sono perse. Perché? Con la discesa in città di tanti montanari e lo spopolamento di quelle zone la crisi di conoscenza si è acuita.»

A questo proposito c’è una responsabilità importante da parte dei media, che devono trovare il modo di raccontare nel modo giusto la montagna, affinché venga conosciuta e apprezzata, senza distorsioni. Invece spesso i cittadini fanno un cosiddetto turismo “mordi e fuggi”, che invece non si dovrebbe mai fare, per evitare di rovinare equilibri ed ecosistemi spesso fragili, delicati. «Una buona idea», afferma Ferraro, «è quella di avere il contatto con le genti locali, quelle che vivono il territorio e possono aiutare a capire le difficoltà e gli equilibri spesso fragili della montagna. È molto importante il dialogo, la comunicazione, perché abbiamo la possibilità di scoprire le altre specie, di cui non sappiamo più nulla. Non siamo più abituati a convivere con il pollo. L’incontro con l’orso diventa estremamente pericoloso perché non sappiamo nulla dell’orso. Non conosciamo più l’ambiente né chi lo vive.»

«Ma qual è il punto di incontro?» chiede Vito Massalongo, Presidente presidente del Curatorium Cimbricum Veronense, intervenendo nel corso del dibattito. «In un territorio quale quello della Lessinia, nel quale ci sono moltissime contrade disabitate, le condizioni stradali, d’inverno in particolare, sono problematiche, il calo di natalità risulta più evidente che di altre aree, con le scuole ormai che stanno scomparendo, e le difficoltà dei Comuni ad avere dei bilanci sostenibili per riuscire a portare i servizi essenziali a una popolazione che sta invecchiando. La possibilità di vivere una vita di buon livello, soprattutto in rapporto a una città che porta con sé un’idea sempre più invasiva, è sempre più una chimera. Se guardiamo le politiche delle Regioni, che continuano a far costruire centri commerciali sempre più grandi facendo morire le botteghe dei paesi, non c’è grande speranza. C’è in generale una desertificazione della montagna che non sembra avere soluzioni. La dignità della montagna per le persone non è un dibattito sufficientemente discusso dalla politica e dai mass media. Si parla di montagna quando la montagna si ribella, con frane o uragani come Vaia, o quando ancora c’è qualche tema legato alla presenza di orsi e lupi vicino ai centri abitati. Qual è dunque il punto di equilibrio perché la montagna abbia quello che le spetta?»

«Dal punto di vista degli operatori bisogna sempre parlare, far capire le difficoltà, i costi, le difficoltà del vivere in montagna, ma anche la sua grandissima bellezza» gli risponde Ferraro. «Quello che si nota è che oggi c’è chiaramente una differenza fra chi, come Trentino Alto-Adige, Friuli Venezia-Giulia e Val d’Aosta, vivono in ambiti prevalentemente o totalmente montani e quindi capiscono quali sono le esigenze delle zone montane, e chi, come Veneto, Lombardia e Piemonte, hanno una solo una piccola parte montana del proprio territorio, considerata irrilevante dal punto di vista politico ed economico. E guarda caso queste sono proprio quelle regioni dove l’abbandono della montagna è stato, negli ultimi anni, molto più vistoso.»

Perché riscoprire il “selvatico”?

Foto da Pexels di Bogdan Glisik

Questo approccio risulta a dir poco fondamentale per riuscire a tornare a quel rapporto sano con l’ambiente che ci circonda. «Può essere in qualche modo anche la strada per una riscoperta dell’animalità, che abbiamo di fatto rinnegato nel nostro percorso evolutivo», ci spiega sulla questione Macelloni. «Siamo noi per primi degli animali e spesso ci dimentichiamo di esserlo. In realtà è stato proprio grazie al rapporto con il selvatico che si è potuta sviluppare la nostra neocorteccia cerebrale, quella che oggi ci differenzia dal resto degli animali.

Come? Grazie ai proto-cani, gli antenati dei cani (praticamente dei lupi) che a un certo punto della storia hanno smesso di cacciare e hanno iniziato a gravitare intorno ai primi villaggi, perché le persone si liberavano delle carcasse degli animali che mangiavano e loro, i cani, si cibavano di questi rifiuti, facendo allo stesso tempo opera di pulizia. Inoltre, rimanendo ai limiti del villaggio questi lupi facevano di fatto la guardia agli uomini, lasciandolo tranquillo di dormire nel corso della notte e permettendogli in questo modo di sviluppare, appunto, la neocorteccia.»

Quindi in questo rapporto naturale non è solo cane che diventa, appunto, cane ma e anche l’essere umano a diventare l’essere umano come lo conosciamo oggi. Sviluppando la neocorteccia diventa “sapiens” e questo avviene grazie al cane, il cui DNA è fatto del 99% del lupo, che, dunque, ha avuto un’importanza fondamentale per la nostra evoluzione.

«Noi siamo un prodotto del territorio in cui siamo cresciuti. Oggi le metropoli sono luoghi di “morte della relazione”, al contrario della montagna, dove le relazioni vivono e resistono. Il problema è che – come diceva il filosofo Junger – siamo sopra il Titanic. Stiamo abbandonando la montagna per andare a vivere sempre di più nelle grandi metropoli. Anche per questo il nostro mondo è tristemente destinato a schiantarsi contro l’iceberg. Come cittadini l’unica cosa che possiamo fare sono delle forme di resistenza, informandoci e intessendo relazioni. E cercando di invertire la rotta»

Macelloni, Bussola e Ferraro, in una foto scatta al termine dell’incontro

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