Viene comunemente definito Sahel il gruppo di Paesi che attraversano l’Africa da ovest a est, al confine meridionale del Sahara. La parola araba da cui deriva, el-sahil, significa costa, proprio a delineare la fascia di transizione dal deserto verso l’Africa centrale. Ne fanno parte alcuni degli Stati più turbolenti sotto il profilo geopolitico, da anni protagonisti di continui golpe e controgolpe: solo negli ultimi tre anni ci sono stati due colpi di stato in Mali e Burkina Faso, oltre a un quindi in Ciad.

Ora tocca al Niger, quello che veniva fino a poco fa considerato il baluardo della democrazia, uno dei pochi superstiti con un presidente eletto e istituzioni democratiche. In Africa cambiano i nomi ma lo schema è sempre uguale: un commando militare, guidato in questo caso dal generale Abdourahmane “Omar” Tchiani, rapisce il presidente Mohamed Bazoum e assume tutti i poteri. Sospende la costituzione, istituisce legge marziale e coprifuoco, chiude i media e le frontiere. A dire il vero, il fatto che Bazoum stia bene e abbia addirittura potuto comunicare con il governo francese, dimostra che la situazione è ancora fluida e potrebbe rientrare alla normalità. Anche questo si è già visto, in fondo.

Il Niger democratico e utile

Mohamed Bazoum

Il presidente Bazoum aveva vinto regolari elezioni nel febbraio del 2021, quando il predecessore aveva concluso il secondo mandato e, in una mossa senza pari nella regione, aveva volontariamente ceduto il testimone. Furono le prime elezioni democratiche dai tempi dell’indipendenza nel 1960, anche se regolari alla maniera africana, a dimostrazione del radicarsi di una cultura democratica piuttosto evoluta, rispetto al contesto geografico. Bazoum si era subito proposto all’Europa come «migliore via per contrastare la violenza terrorista».

Utile anche – aggiungiamo noi – per frenare e regolamentare i flussi migratori dall’Africa sub-sahariana, proprio quelli che vediamo in costante aumento da diversi mesi ormai.

Al 4 agosto sono sbarcati solo in Italia poco meno di 92.000 migranti e tra i primi dieci Paesi d’origine ben cinque sono appartenenti al bacino che transita dal Sahel. Questi cinque paesi contano da soli per quasi la metà degli sbarchi italiani. Un bel cambiamento visto che fino all’anno scorso erano Tunisia, Egitto e Bangladesh a superare la metà.

La reazione della comunità internazionale

L’Occidente sostiene il Paese con numerose iniziative, basti ricordare la missione di partenariato militare per 40 milioni di euro, chiusa a inizio 2023, oppure la decisione della Francia di spostarvi il proprio centro operativo militare (invitato a lasciare il Mali dai “bravi ragazzi” della Wagner). In Niger sono presenti anche militari italiani: un contingente di circa 300 unità dal 2018 (missione NIGER MISIN), una forza di pronto intervento aeronautico (Task Group Air Sahel) e addetti alla costruzione di un centro medico militare.

Neanche un mese fa, durante la visita in Niger, l’Alto Rappresentante della UE per la Politica Estera Josep Borrell aveva incontrato Bazoum e definito il Paese «un paradiso di stabilità», vedi tu la sfortuna, a volte. Se la UE si trova ora nell’imbarazzo di decidere come rapportarsi con la nuova natura anti-democratica del Paese, anche la comunità degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) non l’ha presa benissimo: hanno sospeso le relazioni e minacciato un intervento militare, che per ora ha ottenuto solo la reazione di Mali e Burkina Faso, pronti a schierarsi al fianco del fratello golpista in caso di guerra.

Possibili scenari e osservatori interessati

Evgenij Prigozhin

Nei giorni successivi al golpe ci sono state numerose manifestazioni popolari a sostegno della giunta militare. Sono apparsi, secondo un reportage della BBC, cartelli con scritte come “abbasso la Francia” e “via le basi straniere”, oltre a qualche bandiera russa. Il capo della Wagner Evgenij Prigozhin ha prontamente definito il golpe «una battaglia del popolo del Niger contro i suoi colonizzatori». Dinamiche che alimentano il sospetto che il putsch possa allontanare il Niger dai suoi alleati, in cambio di nuova protezione.

Non bastano a fugare il dubbio i commenti del Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov che ha formalmente condannato l’azione militare, «in quanto non risponde ai principi democratici» evidentemente tanto cari alla Russia. È già accaduto in Mali nel 2021, quando la Russia si insediò come partner stabile del Paese e offrì la protezione di Wagner. Gli interessi stavolta potrebbero accendersi per l’ingente produzione di uranio, che vede Russia e Niger scambiarsi di continuo tra la quinta e sesta posizione nella graduatoria mondiale, vedi a volte le coincidenze.

E per continuare sui casi fortuiti, oltre a coprire circa un quinto del fabbisogno europeo, il Niger è tra i primi fornitori delle centrali nucleari francesi, che hanno nel Paese una joint-venture per lo sfruttamento dei giacimenti il cui contratto era appena stato rinnovato fino al 2040. Macron rischia di dover cambiare i suoi piani, visto che la giunta ha già annunciato il blocco dell’export. Qualcosa di già visto anche in questo caso, una decina di anni fa e appena un poco più a nord.

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