And the award goes to… 

Se ci fosse uno sceneggiatore dietro la storia di questa stagione dell’Hellas Verona, di certo meriterebbe la più ambita delle statuette. Dalla crisi iniziale alla più pazza delle conclusioni, è stata un’avventura da raccontare mille volte.

Un copione completo

Una squadra di valore che veniva da tre stagioni di successi, viene smembrata in estate da un uomo col sorriso da venditore di auto usate. Cominciano qui le disavventure: misteri di mercato, salvataggi sulla pista d’atterraggio, infortuni, una sconfitta dopo l’altra incassata in qualsiasi modo possibile. Cinque miseri punti e ultimo solitario posto in classifica in un dicembre asciutto come le dune del Qatar. 

La città non ci crede, lo spogliatoio non ci crede, i giornali non ci credono.

La prospettiva è di dover assistere a sei mesi di lunga agonia, presi a pallonate da chiunque abbia la ventura di passare dalle parti del Bentegodi. È finita per tutti tranne che per la matematica.

E qui, come ce la caviamo? Come risollevare una trama in cui le sorti del protagonista sono precipitate in un abisso senza fondo? Non si scoraggia lo sceneggiatore, e tira fuori dal cappello il più scontato dei miracoli di Natale. 

Torna alla porta una vecchia conoscenza, prende in mano il gruppo più scalcagnato e malridotto della Serie A, e suona la carica. “Combatteremo fino all’ultima giornata” dice, e chi non lo conosce crede siano parole di circostanza. La storia dice che si combatterà anche oltre.

Hellas Verona: The Revenant

Da lì una cavalcata zoppa, dolorosa. Come nel film che è valso finalmente l’Oscar al buon Leo di Caprio: The Revenant. Un’avanzata che fa male ad ogni passo, eppure il Verona si muove, rifiuta di morire, si rialza e ricade e si rialza mille volte. E con la squadra i tifosi che soffrono ancora di più.

I punti arrivano, sembra incredibile ma arrivano. Uno a Torino, tre con la Cremonese, e poi ancora altri con il Lecce. E poi si strappa un punto d’oro contro l’Udinese e persino contro la Lazio, seconda in classifica. La vittoria in casa contro la Salernitana, diretta concorrente alla salvezza, è l’illusione definitiva. È fatta! Siamo in corsa e non ci fermeremo. 

Troppo facile. Qui lo sceneggiatore non può correre troppo. Il rischio è di bruciarsi il finale. Meglio buttare nella mischia una crisi profonda fatta di sconfitte allo scadere e punti buttati, di sicurezze che vacillano e di paure che tornano a mordere le caviglie. Il Verona stringe i denti, si mangia l’occasione di vincere lo scontro diretto con l’uomo in più a La Spezia, perde la testa e ne piglia tre contro la Samp ormai retrocessa.

Quando sembra di essere nuovamente precipitati nel baratro, ecco un’altra svolta. La svolta del compleanno. Il Bentegodi vestito a festa è testimone di un evento che ha dell’inspiegabile: gol da centrocampo all’ultimo minuto del carneade Gaich sotto la curva. Momenti che possono cambiare una stagione. Si va a Napoli e si strappa un punto, e con rammarico, perché Ngonge ha avuto sui piedi la palla del colpaccio. Poi un’altra vittoria in casa col Bologna, e il Verona torna a sentire il profumo della salvezza, con le altre in crisi nera e la linea di galleggiamento che si abbassa come mai prima.

L’Hellas ora riesce a tenere la testa a pelo d’acqua, malgrado le sei legnate prese dall’Inter, malgrado le brutte sconfitte contro Torino e Atalanta. Siamo lì. Basta un niente per raggiungere l’incredibile. 

Con l’Empoli sembra fatta. Eccola la vittoria definitiva! All’ultimo turno i punti saranno un miraggio per tutti e così si condanna lo Spezia. Basta resistere un solo minuto. Troppo facile, troppo scontato. Autogol. L’ultima giornata si gioca più a Roma che a Milano ed è il rigore di Dybala che ferma la scure sulla testa dei gialloblù. Sarà spareggio.

La partita che vale la stagione

Se la rincorsa del Verona è già una sceneggiatura da nomination, lo spareggio salvezza meriterebbe un sequel dedicato. Una partita tra due squadre oggettivamente scarse, che faticano a infilare due passaggi di fila e che collezionano orrori da una parte e dall’altra. Ma importa zero. È solo una partita da vincere.

Pronti via e l’Hellas va in vantaggio. Basta saltare l’uomo con Lazovic e buttarla dentro, Djuric non ci arriva – ed è meglio così – dall’altra parte c’è Faraoni che incrocia sul secondo palo. La difesa dello Spezia prova a salvare sulla linea ma scaraventa il pallone sotto la traversa. Uno a zero.

E ora che faranno? Quante volte il Verona ha segnato e si è messo dietro a difendere Alamo, dimenticando ogni volta come andò a finire a quei poveri texani? Se ci si abbassa troppo non si dura, e Nzola è bravissimo a tenere alta la squadra conquistando punizioni e facendo piovere gialli su tutta la difesa. Il pareggio è nell’aria e puntualmente arriva. Palla dentro, carambola, doppia deviazione e palla sotto il sette. Tutto da rifare.

Al ventesimo del primo tempo il Verona decide che questa partita, semplicemente, non si perde.

Il baricentro si rialza, Tameze e Sulemana puntellano il centrocampo e fanno avanzare la linea. Non si molla niente, nemmeno sdraiati a terra su una mezza palla e con Orsato che ha già il fischietto in bocca per dare la punizione dal limite. Questa partita non si perde. Sulemana si rialza, guarda dentro e apparecchia la tavola per il fraseggio più elegante della stagione. Ngonge-Djuric e ritorno. Due a uno.

Ora il Verona è in trance agonistica. Finalmente l’attacco ha un senso: Djuric riceve e smista, gli attaccanti più tecnici e veloci si prendono la profondità. C’è voluta una stagione ma ce l’abbiamo fatta. Ngonge scatta e a tutta Verona passa davanti agli occhi l’ultimo minuto di Napoli. Questa volta no. Ngonge si mangia Ampadu e la insacca forte sul palo del portiere. Tre a uno e si va al riposo.

Non si osa crederci ancora. Ormai lo conosciamo questo film. Non ci si fida più. Vietato farsi illusioni. E infatti c’è ancora tempo per un colpo di scena.

La mano, il mito

A venticinque minuti dalla fine la palla lunga più innocua e morbida della partita semina il panico tra i gialloblù. Shomurodov ci mette il piede e disegna un pallonetto beffardo che condannerebbe il Verona a un finale da brividi. Tutto già visto.

Questa volta no. Questa partita non si perde. Tutta la volontà di resistere di una squadra che mille volte è stata spacciata e mille volte ha rifiutato di morire si condensa in un salvataggio sulla linea di mano netta ed evidente. Il capitano, con le sue trecento e più partite in Serie A nel taschino, si lancia in una parata inspiegabile con la logica, ma fatta di pura volontà e disperazione. Rosso e rigore, ma qui non si passa.

Una fattura di magia nera piazzata sulla porta sotto la gradinata spezzina. Non si passa.

Montipò para un rigore tirato da cani, e poi una serie di colpi di testa, tiri da dentro l’area, tap in, palle sporche. Non si passa.

Tutto il Verona si abbassa in area di rigore. Sono quindici minuti in cui non si esce più se non con Verdi che con la sua qualità riesce a far rifiatare e a far prendere qualche giallo agli avversari. Ma la palla rimane su giusto il tempo di riempire i polmoni e tornare in apnea. Non si passa.

Quando i tifosi spezzini cominciano a lanciare fumogeni in campo, tutti capiscono che è finita. Il recupero è lungo, sì, la marea sembra passata, il forte ha tenuto. Il Verona è in Serie A.

Ci sarà tempo in questa estate nuvolosa per pensare, riflettere e pianificare, per criticare e recriminare, per decidere dove rifare l’abbonamento e per rinnovare il contratto al direttore sportivo. Però ora no. Ora tiriamo il fiato. Siamo salvi.

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