70 anni fa, la prima scalata dell’Everest
Il 29 maggio 1953, con l'ascesa di Edmund Hillary e Tenzing Torgay, la mano dell'uomo ha toccato per la prima volta la vetta più alta della terra.
Il 29 maggio 1953, con l'ascesa di Edmund Hillary e Tenzing Torgay, la mano dell'uomo ha toccato per la prima volta la vetta più alta della terra.
Due uomini, sopra le nuvole. È la mattina del 29 maggio 1953, settant’anni fa. Due scalatori si fermano di fronte a un muro di roccia di circa 12 metri, liscio e quasi privo di appigli, l’ultimo terribile passaggio che li separa dalla vetta dell’Everest. Il tetto del mondo.
Uno dei due è alto, segaligno, un corpo lungo e nodoso che pare edera tenacemente aggrappata alla superficie del muro. Ha 34 anni Edmund Hillary, neozelandese di Tuakau, alle porte di Auckland. Da ragazzo, nella sua fattoria, allevava api. Poi si fa rapire dall’amore per la verticalità e buona parte degli ultimi anni li ha passati a scoprire vette e valli dell’Himalaya. Assieme ad Eric Shipton studia l’Everest da tempo; sono convinti che la vetta si possa raggiungere anche dal versante nepalese.
L’uomo all’altro lato della corda è tre anni più vecchio. Il taglio degli occhi non lascia dubbi sulla provenienza. Tenzing Norgay è un alpinista nepalese nato a Khumbu, cuore di quell’etnia Sherpa che, secoli prima, si è spostata dagli altopiani tibetani e ha scelto di trovare rifugio tra le montagne. È probabilmente il miglior scalatore d’Asia e da quasi 15 anni accompagna spedizioni sui versanti tibetano e nepalese dell’Everest. Dodici mesi prima, assieme allo svizzero Raymond Lambert, è salito fino a quota 8.595. La stanchezza e la mancanza di ossigeno li hanno però fatti rinunciare alla vetta.
La guerra è finita, il mondo cerca di sollevarsi dalle macerie della catastrofe, ma certe cicatrici non scompaiono facilmente. Sono anni dove le nazioni hanno un disperato bisogno di eroi e la gloria si lucida anche scalando una montagna. Chissà se ci pensano, Hillary e Tenzing, a tutto questo. Oppure se, a certe altitudini, non solo l’aria, ma anche il riverbero del mondo là sotto si fa più rarefatto. D’altronde, passata la tempesta delle ore precedenti, il tempo è splendido e attorno a loro il panorama è grandioso. Il Makalu, il Kangchenjunga, il Lhotse e il Cho Oyu, le altre vette che li circondano rubano l’occhio. Se uno Shangri-La esiste, è lì che deve trovarsi.
Chomolungma, la Madre dell’Universo. Nella tradizione tibetana l’Everest è donna e da decenni l’uomo tenta di conquistarla. Certi corteggiamenti, però, richiedono pazienza e coraggio. E nel percorso verso la vetta capita di smarrire cuori, perdere vite.
Hillary e Tenzing sono ancora lì, di fronte a quel salto sullo strapiombo. Il primo nota che, sul versante rivolto verso il Nepal, una sottile spaccatura separa la roccia dalla cornice di neve. Si incastra piantando i ramponi nella neve e, aiutandosi con mani e schiena sulla roccia, sale «innalzando una fervida preghiera perché la cornice restasse attaccata alla roccia». È l’Hillary Step, da lì in poi la salita è meno difficoltosa, anche se sembra non dover finire mai.
Sono le 11.30 in punto quando, per la prima volta, le mani dell’uomo toccano la calotta nevosa e la guglia di ghiaccio lucente che sembra scolpita nel cielo. Hillary e Tenzing sono sulla vetta dellEverest. Ci rimangono una quindicina di minuti, una pacca sulla spalla, le foto di rito e le bandiere. Le prime a sventolare sono quella neozelandese e quella nepalese, con quei due strani triangoli, simbolo del paese delle nuvole. Prima di scendere Hillary pianta una croce. Tenzing, invece, lascia della cioccolata. Un’offerta alla grande dea della montagna.
Il 29 maggio 1953 mancano quattro giorni all’incoronazione di Elisabetta II. Che a scalare la vetta più alta del pianeta sia stato un figlio del Commonwealth c’è chi lo vede come un segno di buon auspicio per la giovane regina. Di lì a poco Elvis inciderà il suo primo singolo, My happiness. Sembrano passati un milione di anni da quando abbiamo condiviso i nostri sogni – A million years it seems have gone by since we shared our dreams. Pensi all’Everest, e pare scritta oggi.
La fine del mito sull’invincibilità del più alto degli ottomila, assieme alla conquista italiana del K2 l’anno successivo, sono anche un momento di passaggio tra le diverse epoche dell’alpinismo. L’Hillary step lancia l’alpinismo eroico e romantico della prima metà del secolo verso le sue future evoluzioni. l’età dell’oro tra gli anni ‘70 e ‘80, fino alle spedizioni commerciali di fine Novecento e del giorno d’oggi.
Quando l’ascesa verso le vette himalayane era una sfida alla natura e alla ragione, quando il corteggiamento dell’Everest è un assedio d’amore, a scalare c’era George Mallory. Molto più di un eroe dell’alpinismo o di un insegnante in una scuola privata. Lo scalatore come un artista, afferma il titolo di un suo saggio. Un poeta che brucia d’amore. «Non posso dirti come l’Everest mi possiede» scrive alla moglie.
L’8 giugno 1924, assieme al compagno Andrew Irvine, Mallory tenta l’attacco alla vetta sulla parete Nord. Dal campo base vedono due puntini, a 240 metri dall’obiettivo, sparire nella nebbia. Il corpo di Mallory è stato ritrovato nel 1999, settantacinque anni dopo, perfettamente conservato. Pelle bianchissima, vestiti e scarponi praticamente intatti. Solo il viso, scomparso, la montagna l’ha tenuto per sé. Come il mistero se lui e Irvine abbiano o meno raggiunto la vetta.
Dal 1953 l’Everest, e l’Himalaya in generale, non hanno mai perso il loro fascino. Si passa dalle grandi spedizioni nazionali a quelle “leggere” con pochi alpinisti fino alle ascensioni solitarie, alle imprese ritenute impossibili e ai record. Il tempo di Reinhold Messner, altro immortale dell’alpinismo che ha legato indissolubilmente il proprio nome al tetto del mondo. Nel 1978, insieme a Peter Habeler, raggiunge la cima dal versante Sud, senza ossigeno. Sono i primi a farlo. Due anni dopo torna in vetta dal versante Nord: stavolta da solo, per una via nuova. Sempre senza ossigeno.
La frantumazione dei record avvicina i sogni. Accade sempre con gli uomini. L’irraggiungibile diventa possibilità, questione di disponibilità economica, la montagna come prodotto. Dagli anni ‘90 in poi è il boom delle spedizioni commerciali. Tutti vogliono un pezzo del mito. La macchina del business si attrezza per esaudire il desiderio.
Tematiche affrontate da Into Thin Air, best seller mondiale di John Krakauer, uno dei dopravvissuti alla tragedia del 1996, quando nove alpinisti (membri delle spedizioni Adventure Consultants e Mountain Madness) persero la vita cercando di conquistare l’Everest.
Forse è proprio qui, nella scelta delle parole, che è scattato il cortocircuito. Perché in montagna non esiste conquista, solo intrecci indissolubili. Sangue, roccia e ghiaccio che si fondono. Anche Edmund Hillary e Tenzing Norgay devono essere stati d’accordo, scendendo dalla cima. Impossibile staccarsi da lì. Così buona parte dell’impegno successivo di Hillary si è concretizzato nella fondazione dell’Himalaya Trust, grazie al quale sono state costruite scuole, ponti, ospedali e sistemi di irrigazione per i villaggi. Norgay si è dedicato a varie attività a favore della comunità Sherpa e per la formazione e tutela dei portatori, dirigendo l’Istituto Himalayano di Alpinismo di Darijeeling, in India.
Se l’uomo cerca di rendere tutti eroi e decide di portare, ogni anno, centinaia di persone in vetta, ci pensa la montagna a ripristinare il valore dell’immortalità. L’Hillary Step, infatti, oggi non esiste più. Il terremoto dell’aprile 2015, che causa 16 vittime sulle cascate Khumbu e porta ad annullare l’intera stagione di ascensioni sull’Everest, ha fatto anche crollare alcuni massi, formando una rampa di neve dove prima c’era la parete verticale di roccia. Come il volto di Mallory, la montagna ha scelto di tenere solo per sé quell’abbraccio, come fosse un omaggio a due uomini venuti da mondi così distanti, saliti in vetta e, ora, andati oltre.
Tenzing se n’è andato nel 1986, a 72 anni. Secondo Pete Boardman è stato «il primo asiatico di umili origini a raggiungere fama e notorietà internazionali». Gli hanno persino dedicato i monti di ghiaccio Tenzing Norgay sulla superficie di Plutone. Hillary ci ha lasciati nel 2008, poco prima dei novant’anni. Lutto assoluto in Nuova Zelanda, dove era simbolo nazionale. Dolore vero anche in Nepal, dove si è pregato perché il suo corpo e il suo spirito potessero entrare nel Grande Ciclo e vivere la reincarnazione. Magari in quelle api che allevava da ragazzo. Animali intelligenti, forti, che volano senza intaccare l’assoluto. Anche sul tetto del mondo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA