Raccontare la verità. La seconda giornata del Festival del giornalismo 2023 si è aperta, al polo universitario di Santa Marta, con il sesto incontro che prosegue la trattazione del tema dell’impatto, in un’altra sua accezione, ossia quella del ruolo dell’informazione in Italia e nel mondo. 

Non si è trattato di definire la verità, ma di sottolineare che il dovere dei professionisti dell’informazione è di ricercarla e averne cura. Forse, il primo passo per gestire la profonda crisi che la professione giornalistica si sta provando ad affrontare.

Hanno preso parola a riguardo nell’incontro dal titolo “Raccontare la verità: come informare promuovendo una società inclusivaMarta Milani, docente di Pedagogia generale e interculturale; Monica Andolfatto, Segretaria del sindacato Giornalisti del Veneto e cronista presso Il Gazzettino; Laura Nota, ordinaria di Psicologia dello sviluppo e psicologia dell’educazione presso l’università di Padova e Roberto Reale, caporedattore Rai Veneto, vicedirettore della Testata Giornalistica Regionale, del Tg3 e di RaiNews 24.

La cultura è contemporaneamente oggettiva e soggettiva, è cangiante e non rigida, è «un’appartenenza inconsapevole». La cultura, cioè, è il primo punto di riferimento che abbiamo per leggere e interpretare le situazioni, ma a volte non ci permette di avere uno «sguardo caleidoscopico» e ci limita. Con queste parole la professoressa Marta Milani ha iniziato il dialogo invitando i professionisti della comunicazione e dell’informazione a soffermarsi a riflettere sulla presenza di questi meccanismi mentali per comprenderli così da poter dare il giusto impatto con le loro parole.

L’etica è quello che differenzia il giornalismo da tutto il resto del mondo della comunicazione.

Le parole e linguaggio, in qualsiasi tipo di comunicazione, sono fondamentali, perché hanno la funzione di stimolare il dibattito sugli stereotipi. «L’informazione è un bene di tutti e che tutti dobbiamo tutelare» ricorda Monica Andolfatto. Dall’articolo 21 della Costituzione italiana derivano diritti e libertà, di espressione e di stampa, ma ne conseguono anche i doveri alla ricerca e all’accuratezza nei confronti della verità. Questa cura si declina in tanti modi «e quello principale è quello di essere fedeli alla nostra carta deontologica», spiega la giornalista, dobbiamo «capire che l’etica è quello che ci differenzia da tutto il resto del mondo della comunicazione».

Monica Andolfatto, nel 2017, ha elaborato il “Manifesto di Venezia”, un piccolo decalogo per far aprire gli occhi ai colleghi e colleghe sui meccanismi, anche involontari, che portano a narrazioni tossiche nei confronti delle donne. Gli esempi che sono stati portati sono stati una prova molto chiara di come il salto culturale per superare i pregiudizi di genere, e non solo, non sia ancora avvenuto.

Tutta questa riflessione è contenuta anche nel libro “Aver cura del vero. Come informare e far crescere una società inclusiva. Giornalismo e ricerca: storia del Laboratorio Padova” scritto dai tre interlocutori di questo incontro. Questa storia indica una possibilità al mondo dell’informazione e della ricerca oggi di fronte alla sfida delle emergenze, per la realizzazione di una società inclusiva contro disuguaglianze, discriminazioni e ingiustizie.  

La docente Laura Nota ha spiegato le condizioni necessarie per cambiare questa situazione di impatto zero e avviare la «svolta culturale», per creare una consapevolezza. Decidere di prendere consapevolezza richiede tempo, «sono cose faticose» e il primo passo, anche il più importante, è favorire l’apprendimento e, quindi, l’insegnamento. 

L’informazione è un bene comune

L’articolo 21 della Costituzione Italiana, che quest’anno è arrivata al 75° anniversario, è nato dalla necessità che tutti i cittadini avevano di verità, dopo il “regime delle menzogne”. L’articolo 21 è l’architrave di una società democratica. 

«Serve attenzione a tutte le parole, a tutto il linguaggio» secondo Roberto Reale, perché sono le componenti del “software” del giornalismo e bisogna prendersene cura. La disinformazione, la mancanza di risorse e la mancanza di indipendenza nei media, sono alcune delle preoccupazioni dei giornalisti e sono anche i problemi che hanno portato alla crisi di questa professione. Il punto che emerge in queste riflessioni è che dentro un ecosistema, come è il mondo della comunicazione, si lavora solo con la transdisciplinarietà, cioè da un lavorare insieme per superare gli specialismi e ampliare i punti di vista. Non è compito del giornalista fare da guida della nazione, ma il suo compito nobile è quello di riportare e riflettere su quanto accade.

«C’è la necessità di acquisire la consapevolezza che l’informazione è una bene comune» chiosa Roberto Reale, per avere un vero impatto. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA