Mercoledì 15 marzo tutte le Caritas del Nordest, tra cui anche Caritas Verona e Vicenza e Treviso come organizzatrice dell’evento, si sono riunite in un appuntamento aperto al pubblico, per provare a riaccendere i riflettori sul recente terremoto in Turchia e Siria.

La data non è stata scelta a caso, ma ricorda i 12 anni di conflitto in Siria. Purtroppo però tanto il conflitto siriano, ormai declassificato a bassa intensità, che il terremoto, sembrano essere spariti dai grandi mezzi di comunicazione.

Eppure la tragedia non è terminata ma al contrario, si stanno sommando problematiche di varia natura.

Ospiti della serata sono stati Laura Stopponi, responsabile dell’Ufficio Europa di Caritas Italiana, Giulia Longo, di Caritas in Turchia, Alessandro Cadorin, operatore di Caritas Italia a supporto in Turchia, e Fabrizio Cavalletti per Caritas Siria.

La situazione in Turchia

In Turchia la Caritas ha subito delle gravi perdite a causa del terremoto. Oltre ad essere andate distrutte alcune sedi nelle località colpite dal sisma, molti operatori hanno perso famigliari e abitazione.

Ciononostante molti di loro stanno continuando ad offrire il loro lavoro a servizio della popolazione colpita.

Gli operatori Caritas intervenuti. In ordine da sinistra: Giulia Longo, Alessandro Cadorin, Laura Stopponi, Fabrizio Cavalletti.

Il modo di operare di Caritas in Turchia è molto diverso da quello in altre regioni del mondo. Caritas infatti appartiene al mondo cattolico, pertanto non è riconosciuta dal governo e deve muoversi tenendo un basso profilo, sia per ragioni di contesto che per la sicurezza degli stessi operatori.

Eppure proprio per questo suo essere di minoranza, si è data l’obiettivo di lavorare in favore di altre minoranze non riconosciute. Anche in questo momento quindi, Caritas Turchia ha scelto di agire in favore di tutti quei gruppi di persone non considerate dagli aiuti governativi, e che altrimenti rimarrebbero senza alcun tipo di aiuto.

«Nelle apocalissi – ha detto Giulia Longo – esce il meglio e il peggio di una società. Se il meglio lo vediamo nella gente che si rialza e si aiuta reciprocamente, il peggio lo riscontriamo nell’evidenza di un sistema politica che non funziona, discriminatorio e che impedisce un sistema di aiuti libero

Le minoranze non riconosciute dal governo

In Turchia infatti esistono milioni di persone non riconosciute: sono migranti di passaggio o rifugiati scappati dai vari conflitti, specie da quello siriano. Tutte persone che già erano in difficoltà prima e che ora andranno ad ingrossare le fila di coloro che tenteranno di raggiungere le coste italiane con dei miseri barchini.

Caritas tenta, pur in mezzo a mille difficoltà anche burocratiche, di raggiungere proprio queste persone non considerate dagli aiuti ufficiali.

Alessandro Cadorin ha poi spiegato alcuni piani di intervento già in atto, come per esempio la costruzione di campi per sfollati nei pressi dei villaggi e delle città distrutte.

Questi campi sono organizzati dalla protezione civile turca, inizialmente saranno costituiti da tende e Caritas farà da supporto nella logistica e nella distribuzione degli aiuti quali vestiti, cibo e materiale per l’igiene.

A Gaziantep, Turchia, sono presenti le istituzioni europee di coordinamento di gestione dell’emergenza, ©European Union, 2023 (foto di Lisa Hastert), Flickr, CC BY-ND 2.0.

Soprattutto l’igiene è una delle emergenze a cui fare fronte, visto che ci sono già dei casi di colera.

Inoltre negli ultimi giorni ci sono state delle forti alluvioni proprio nelle zone distrutte dal terremoto, che hanno provocato altri morti.

Purtroppo quindi gli interventi di tutte le associazioni umanitarie, non solo di Caritas, si devono svolgere su due piani paralleli: quello a medio termine, per dare un alloggio a chi è rimasto senza casa, e quello emergenziale visto che ci sono sempre nuovi problematiche da affrontare.

Il dramma della Siria

Fabrizio Cavalletti ha poi presentato la situazione in Siria. I dodici anni di guerra hanno devastato questo paese.

Su 20 milioni di abitanti, 15 milioni vivevano solo grazie agli aiuti umanitari già prima del terremoto.

Il terremoto ha aggiunto sofferenza e povertà ad una condizione che era già estremamente grave prima.

A complicare il tutto c’è il fatto che il sisma ha colpito il nord ovest della Siria, regione in cui ci sono più soggetti a reclamarne l’autorità. La città di Idlib per esempio, è in mano ai ribelli, per tanto non riconosce il governo siriano. L’area curda ha zone contese dalla stessa confinante Turchia.

Tre soggetti politici in guerra tra loro, incapaci di parlarsi anche quando si tratta di far arrivare aiuti alla propria popolazione.

Foto di IHH, Humanitarian Relief Foundation, Aleppo dieci anni fa, CC BY-NC-ND 2.0.

Lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite, Anthony Guterres, ha dichiarato che il maggior ostacolo per portare gli aiuti alla Siria è in questo momento la possibilità di accedere al suo territorio.

Questo contesto conflittuale sta però facendo arrabbiare i siriani.

«C’era la paura che arrivassero nuove scosse di terremoto. E invece sono arrivate nuove bombe. Si pensi che è stato bombardato l’aeroporto di Aleppo, l’unico luogo raggiungibile dagli aiuti umanitari e in cui avveniva lo smistamento. Non è possibile che questi conflitti continuino ad oltranza e siano così dimenticati. Non è possibile che di fronte alle persone che cercano di scappare da tutto questo, ci sia poi un atteggiamento di ostilità» denuncia Cavalletti.

L’obiettivo di questo incontro pubblico quindi, non era solo di rilanciare la colletta nazionale promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana per il 26 marzo, ma quello di continuare a tenere accesi i riflettori su questa parte del mondo dove le tragedie si sommano tra loro, in un vortice che non sembra avere una fine.

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