Nata nel dicembre del 2019 dall’iniziativa di un gruppo di professionisti e di accademici, “La città che sale” è un’associazione culturale che, nel tempo, ha saputo ritagliarsi un proprio spazio all’interno del dibattito pubblico veronese.

Nove sono i soci fondatori. Oltre al presidente Alberto Battaggia, hanno preso parte all’iniziativa gli avvocati Luciano Butti (che è anche componente del consiglio di amministrazione di AMT), Roberto Capuzzo e Maurizio Cimetti, l’architetto Gian Arnaldo Caleffi, già assessore all’Urbanistica nel secondo mandato Tosi, Roberto Giacobazzi, già direttore del Dipartimento di Informatica e attualmente Prorettore dell’Università degli Studi di Verona, la museologa e critico d’arte Paola Marini, già direttrice delle Gallerie dell’Accademia di Venezia e dei Musei d’Arte e Monumenti del Comune di Verona, l’oncologa Anna Maria Molino e Roberto Ricciuti, docente di Politica economica presso l’Università scaligera.

Cerchiamo di conoscere meglio questa realtà, parlandone con il suo presidente, Alberto Battaggia, già docente di materie letterarie, giornalista ed ex presidente della Società Letteraria di Verona.

Ci aiuti a capire: nel panorama veronese, dove dobbiamo collocare “La città che sale”?

«La nostra è un’associazione culturale di impegno civico e di stampo liberaldemocratico. Al nostro interno ci sono diverse sensibilità: abbiamo un forte impegno politico, ma non siamo né di destra né di sinistra. Ci riconosciamo in una cultura politica ancorata ai valori dell’Europa, dell’internazionalità, dell’innovazione, dello sviluppo sostenibile, dei diritti dell’uomo.»

Quali sono le vostre attività, nel concreto?

Alberto Battaggia

«Il principale obiettivo de “La città che sale” è sollecitare il dibattito cittadino su temi economici, sociali, culturali e politici, con un contributo disinteressato e qualificato. Cerchiamo di farlo offrendo le nostre competenze professionali e le nostre relazioni. Verona ha delle dinamiche ben precise, con le quali ci si deve confrontare se si vuole proporre qualcosa di nuovo. In questo senso, l’area culturale che offriamo è trasversale e aperta alle sollecitazioni che provengono da tutti gli schieramenti. I nostri approfondimenti, nel concreto, si traducono nell’organizzazione di eventi, di dibattiti pubblici, se non addirittura nell’elaborazione di veri e propri progetti al servizio della città. Ad esempio, attualmente stiamo lavorando ad una Fondazione per l’Arte veronese.»

Parliamo ora di Verona. Negli ultimi quindici anni, la città è stata governata dalle “destre”, sotto varie forme. Anzi: a parte la parentesi di Zanotto, possiamo dire che il centrodestra amministra dal ‘94. Un arco di tempo importante, che permette di fare un bilancio.

«Un bilancio molto deludente. Il primo Tosi, giovane, grintoso e appoggiato in maniera esplicita dai media locali, ebbe un notevolissimo successo di consenso, che giocò specialmente sui temi della sicurezza. Il suo percorso amministrativo, che veniva dopo la stagione di Zanotto, fu segnato dalla sua identità politica di allora, che era quella di una Lega molto dura e determinata. Identità che cavalcò con convinzione e sistematicità: come dimenticare le forti polemiche con i centri sociali, l’installazione dei braccioli anti-bivacco nelle panchine, la condanna per propaganda razzista?

Il secondo Tosi, invece, è stato molto diverso dal primo. Tuttavia, se i primi cinque anni di amministrazione gli servirono per acquisire più consapevolezza e un piglio decisionistico molto accentuato, tutto ciò non si tradusse in progetti realizzabili e realizzati. Ad esempio, fallì quello principale: il traforo delle Torricelle, per il quale molto si era speso. Non si può dimenticare, poi, l’arresto del suo assessore all’Urbanistica Giacino: Tosi ne uscì pulito, ma fu uno smacco politico enorme. Imbarazzanti, ancora, i legami con l’estrema destra. I nodi della società veronese o non furono affrontati o non furono risolti.

Degli ultimi cinque anni di Sboarina, poi, non si riescono a trovare elementi caratterizzanti, un’idea particolare di città, una priorità progettuale per la Fiera o l’Aeroporto. C’è ben poco, al netto della disastrosa questione del filobus o dell’avvilimento dell’immagine cittadina, dovuta alle nostalgiche proposte odonomastiche (mi riferisco al caso di via Almirante), agli imbarazzanti convegni iper-integralisti o alla mancata ammissione di Verona tra le città finaliste per il riconoscimento a Capitale della cultura italiana. La giunta di Federico Sboarina ha tirato a campare, impegnata a smarcarsi dall’eredità di Tosi e scollata dalla sua stessa maggioranza su questioni cruciali: si pensi alle dimissioni del presidente Finocchiaro da Agsm, imposte dalla Lega al suo sindaco pochi mesi fa.»

Se il quadro è questo, c’è da dire però che il centrodestra vince, e quindici anni di egemonia non sono un caso. Delle due l’una: sono i “veronesi tutti matti” a continuare a votarli, oppure manca, sul versante opposto, un’alternativa valida?

«Credo che il profilo politico-elettorale di una città sia frutto di tanti fattori, alcuni dei quali storici, profondi. Tuttavia, non si può pensare che quello che noi chiamiamo “destra” sia un universo omogeneo e compatto, privo di differenziazioni al suo interno. In questo senso, anche l’evoluzione politica che ha percorso Flavio Tosi e la frattura che si è determinata nella destra veronese segnalano dinamiche non banali, che vanno lette in questo senso: la destra di Tosi non è affatto la stessa destra di Sboarina. Non bisogna poi dimenticare che, in questi quindici anni, a Verona è scomparso il centro: Forza Italia, dopo la candidatura di Castelletti nel 2012, è sparita. Per concludere: dire che Verona è una città “di destra”, una città piena di “fascisti”, è facile, ma offre una rappresentazione caricaturale e non politica della situazione. Come possiamo pensare che una realtà così civile, così evoluta, così piena di bravissime persone, possa essere banalizzata in questo modo? Bisognerebbe avere la forza di guardare dentro, di non fermarsi in superficie.»

A che punto è il percorso politico di Flavio Tosi?

«Se il primo Tosi si presentò come un leghista con forti legami con le aree più estremistiche e più nere della città, il secondo Tosi ebbe una veste molto più moderata e liberale, legata all’azione amministrativa e ad un certo pragmatismo. Questa evoluzione nacque quando, a un certo punto, nel generale spostamento a destra dell’elettorato italiano, Flavio Tosi sembrò addirittura incarnare una delle opzioni per la successione di Berlusconi a livello nazionale. Penso che Tosi abbia comunque compiuto un suo percorso, una sua riflessione. Ci sono dei fatti significativi che lo testimoniano: ad esempio, già nel secondo mandato, Tosi aveva aperto al riconoscimento delle unioni civili per gli omosessuali, così come sono state rilevanti le prese di posizione europeiste. Questa parabola, tuttavia, a Verona non è stata portata fino in fondo e rischia di rimanere incompiuta, per motivi anche elettorali: a fronte del blocco di elettori che si è creato attorno a lui e che ancora lo segue, sembra che Tosi finisca per privilegiare le sicurezze date da questo serbatoio e non cerchi di uscire dai suoi recinti.»

Cos’è mancato, finora, al centrosinistra?

«A Verona, le forze del centrosinistra, rimaste divise nelle amministrative del 2017 e da sempre minoritarie, non sono riuscite a proporsi come una valida alternativa di governo, con idee, programmi, contenuti e alleanze all’altezza, con un lavoro politico capace di scavare in profondità. La sensazione è che, a molti veronesi, fino ad ora, questa alternativa alle destre non sia risultata, di fatto, appetibile.»

La candidatura di Tommasi va nella giusta direzione?

«Damiano Tommasi ha un’identità ben precisa. Se la notorietà gli è derivata dalla carriera calcistica, parlare di Tommasi solamente come di un calciatore appiattisce un profilo professionale di ben altre dimensioni. Ha lavorato all’estero: in Spagna, in Cina… È stato presidente dell’Associazione Italiana Calciatori. Ha fondato in Valpolicella una scuola a forte vocazione internazionale e con una didattica altamente innovativa. Qui, se c’è un cosmopolita è lui, altro che “Vaggimal”! [il riferimento è alla frazione di Sant’Anna d’Alfaedo da cui Tommasi proviene, spesso richiamata dai detrattori – da ultimo Massimo Giorgetti di Fratelli d’Italia, in un’intervista rilasciata a “La Cronaca di Verona” – per alludere a una presunta scarsa conoscenza dei problemi della città, NdA

Che cosa comporta questa candidatura, sia a destra che a sinistra?

«A sinistra, il solo fatto che tutte le forze politiche di centrosinistra e di centro si siano unite, e lo abbiano fatto riconoscendosi in un candidato come Tommasi, è di assoluta rilevanza. Tommasi non è una figura organica al centrosinistra, ha una sua personalità: per intercettare aree di elettorato che finora molto difficilmente hanno dialogato con il centrosinistra, dovrà essere bravo a costruire attorno a sé una serie di iniziative e di contenuti che lo rendano, sì, il candidato della coalizione, ma che, al tempo stesso, lo distinguano dalla coalizione stessa, con un’identità politica propria. Sono convinto che, se sarà percepito dall’opinione pubblica per quello che è, il consenso che Tommasi riceverà sarà ben superiore al consenso della coalizione. Non gli basterà, tuttavia, la freschezza e l’affidabilità: dovrà fare capire di avere finalmente un progetto di governo per la città, che ora è scollata in tutte le sue componenti, da quelle politiche a quelle di categoria a quelle finanziarie.

La candidatura di Tommasi porterà anche benefici di sistema, rendendolo concorrenziale: di fronte a una figura nuova e “incontaminata” dai rituali della politica tradizionale, i protagonisti del centrodestra saranno costretti a scegliere con molta attenzione i loro candidati. Se il quadro è questo, comunque, è più che probabile che Tommasi arrivi al ballottaggio.»

E voi, cosa farete da grandi? “La città che sale” diventerà una lista elettorale?

«“La città che sale” non si schiererà alle prossime elezioni. Quando siamo nati, in pieno populismo del governo giallo-rosso, non lo avevamo escluso, ma strada facendo ci siamo accorti che non è questo il nostro mestiere. Vogliamo mantenere la posizione di un’istituzione riconosciuta nell’ambiente cittadino per la qualità delle attività che promuove, e nella quale possano convivere sensibilità politiche diverse, pur nel perimetro di alcuni principi molto fermi: quelli della tradizione liberaldemocratica europea.»

Questo significa che nessuno di voi soci fondatori si candiderà?

«No, è possibile che accada: si tratterà di scelte individuali e, probabilmente, in liste concorrenti.»

Vinca chi vinca, quali sono i tre provvedimenti che, nei prossimi cinque anni, serviranno a Verona per fare un salto di qualità?

«Grandi questioni aperte sono quelle delle infrastrutture territoriali, come Fiera, Aeroporto Catullo e Agsm: si tratta di temi strategici, perché la loro efficienza determina il valore competitivo di un territorio. Il problema non è tanto o solo quelle delle risorse, ma quello di definire un quadro di riferimento che orienti le decisioni imprenditoriali e finanziarie. Oggi non c’è.

C’è poi il grande problema della mobilità, che va innanzitutto garantita. Occorre promuovere una nuova mentalità, rifacendoci ai modelli urbani nordeuropei: meno automobili possibili, certo, ma grazie a mezzi pubblici efficienti. Potrebbe anche essere necessario un traforo corto, automobilistico, e non lungo, destinato ai camion, come quello che si è cercato di fare: parliamone, quantomeno.

Infine ci sono le scelte urbanistiche. Un tema, fra gli altri: se il Piano Folin sarà portato avanti, esso avrà implicazioni significative anche in altri ambiti della città: se noi offriamo nuove strutture alberghiere e nuovi ampissimi spazi espositivi (Castel San Pietro, Palazzo del Capitanio, etc.), perché gli uni e gli altri si reggano economicamente occorreranno flussi di visitatori adeguati. E quindi politiche di marketing territoriale e servizi turistici, anche tecnologici, all’altezza. E collegamenti aerei funzionali a queste esigenze. Anche Grande Castelvecchio, con lo spostamento del Circolo Ufficiali, va concepito come la tessera di un mosaico. La portata degli investimenti necessari diventa meno preoccupante se inserita in una visione coordinata dello sviluppo cittadino. Non possiamo più permetterci di amministrare Verona in maniera frammentata.»

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