Crisi climatica? «Affrontarla senza catastrofismi»
Intervista a Luciano Canova autore di un libro che ci spiega come affrontare seriamente una delle principali emergenze dei nostri tempi. Evitando le trappole mentali.
Intervista a Luciano Canova autore di un libro che ci spiega come affrontare seriamente una delle principali emergenze dei nostri tempi. Evitando le trappole mentali.
Con il suo ennesimo libro il professore di economia comportamentale e divulgatore scientifico Luciano Canova* affronta quello che è uno dei grandi temi della nostra contemporaneità: la crisi climatica. Già parlare di crisi climatica e non solo di “climate change”, peraltro, è importante, perché nel suo “L’elefante invisibile” Canova affronta il problema da tanti punti di vista, fra cui anche quello del lessico da usare in questi casi. Ma a cosa si riferisce il titolo?
Un’antica leggenda indiana racconta di un elefante giunto un giorno in un villaggio sperduto. I saggi ciechi della comunità gli andarono incontro per capire che cosa fosse e ognuno di loro, toccando una parte diversa del pachiderma, ne ottenne una diversa descrizione: chi aveva toccato la proboscide credette a un serpente, chi la zanna a una lancia, chi le zampe pensò di trovarsi davanti a un tempio. Nessuno però seppe dire correttamente di cosa si trattasse, nonostante l’animale si trovasse proprio davanti a loro, in tutta la sua imponenza. Ciò di cui forse non ci rendiamo conto è che quei ciechi siamo tutti noi ogni giorno di fronte all’inatteso della nostra vita, pronto a schiacciarci se non sappiamo identificarlo.
Professor Canova, innanzitutto perché ha voluto affrontare un tema come quello della crisi climatica che – obiettivamente – è molto inflazionato al giorno d’oggi?
«Si, è vero, ne parlano tutti, tutti i giorni, da anni. Poi però avviene, come successo purtroppo nelle settimane scorse, una grave alluvione (nelle Marche, ndr) dopo che abbiamo trascorso un’estate torrida e senza pioggia, con in generale un sensibile aumento medio delle temperature… e noi cosa stiamo facendo? Se ne parla tanto, è vero, ma non si fa altrettanto. Questo è il primo spunto che mi ha portato ad avere voglia e sistematizzare una serie di appunti che nascono dal mio lavoro di professore di economia comportamentale. Nonostante l’evidenza continuiamo a non agire.
Si è ancora molto miopi nei confronti di un futuro che non viene più percepito come lontanissimo, ma comunque non così vicino da toccare in maniera concreta le nostre vite. E poi c’è un altro punto: ci si percepisce del tutto irrilevanti nei confronti della crisi climatica. Qual è il mio ruolo di cittadino di fronte a un problema enorme come questo? C’è chi va in ansia e chi, per certi aspetti anche comprensibilmente, si sente totalmente inutile e quindi sfocia nell’inazione. E qui forse dovremmo fare un mea culpa: il fatto di parlare del clima e dei suoi cambiamenti come di qualcosa solo catastrofico porta a pensarci quasi come già spacciati e quindi a ritenere inutile qualsiasi tentativo di rimediare. E questo non va bene, perché anche se la situazione è oggettivamente seria e in parte compromessa, di certo si possono ancora fare tante cose importanti per rimediare.»
Che cos’è “l’elefante invisibile”?
«In finanza si parla di “cigno nero” quando ci si imbatte in un evento impossibile da prevedere fino a quando non avviene. Un altro classico esempio “animalesco” che viene spesso usato è quello del “rinoceronte grigio”, quando si è al cospetto di problemi enormi che però tutti vedono e nessuno, comunque, vuole affrontare. Ecco, con l’elefante invisibile siamo in un campo del tutto simile, ma a differenza del rinoceronte che è indomabile, l’elefante, per sua indole, può essere guidato e portato all’obiettivo. Ecco, è così che dobbiamo pensare… che il problema è sì grande, ma può essere addomesticato.»
Spesso lei usa anche metafore cinematografiche per colpire l’immaginario. Il “winter is coming” del Trono di Spade è un esempio perfetto…
«Funziona all’incontrario, perché ciò a cui stiamo andando incontro è il caldo eccessivo e non il freddo, ma la metafora è la stessa. Nella serie, famosissima, tutti sanno che ci sono questi “white walkers”, si sa che esistono questi estranei, ma sono una strana specie che è nata da un lontano passato in cui l’uomo ha rotto il suo patto con la natura. Finalmente, dopo che per tanto tempo i protagonisti si sono combattuti fra di loro per ottenere il potere, si arriva al dunque in cui tutte le forze in gioco si devono unire per combattere prima questi invasori, anche perché in caso contrario non ci sarà mai più un trono per cui combattere. Ecco, per un divulgatore questo tipo di esempi sono fondamentali per trasmettere meglio certi concetti. È un cavallo di Troia per catturare l’attenzione e poi sviluppare un discorso.»
E a proposito di fiction un altro film di cui si è parlato tanto è “Don’t look up”, con Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence…
«“Don’t look up” era nato con un intento puramente satirico. Il regista stesso si è trovato suo malgrado a confessare più volte che non pensava che sarebbe stato scavalcato così velocemente dalla realtà. Sostanzialmente ha reso questo film grottesco e satirico, ma in realtà stiamo parlando di una metafora tangibile di quello che sta avvenendo. Personalmente sono appassionato di science fiction e un autore che consiglio di tenere sempre presente è Dave Eggers, autore di “The Circle” e tanti altri libri in cui ipotizza futuri plausibili. Nei suoi libri fa principalmente delle parodie della nostra realtà, ma di fatto poi spesso ci prende. Questo è tipico della grande letteratura, capace di anticipare con una visione ciò che accadrà.»
Nel su libro punta il dito soprattutto sulla corretta lettura e comprensione dei dati relativi al riscaldamento globale…
«La natura è un libro fatto di matematica. I numeri servono per comprenderla. La matematica è la narrativa nel nostro tempo e per matematica intendo i numeri, tout court. Che ci piaccia o meno siamo immersi quotidianamente nei numeri. Avere almeno la contezza di che tipo di grandezze abbiamo di fronte è utile per visualizzare al meglio la crisi. Nell’ABC indispensabile per affrontare questo problema questo aspetto rappresenta la A. Quando mi vengono dati dei numeri devo capire di cosa stiamo parlando. Si può ad esempio dire che Cina e India producono tantissima CO2, più di qualsiasi altro Paese al mondo. Detta così la percezione è di un certo tipo. Ma quanti abitanti hanno queste due nazioni? Se analizzo meglio il dato scopro che, ad esempio, in media un americano produce 16 tonnellate di CO2, mentre un indiano ne produce solo 2. E letti in questa maniera gli stessi dati cambiano moltissimo.»
Il suo è anche e soprattutto un libro di psicologia, perché affronta l’atteggiamento e la natura umana alle prese con problemi enormi. In particolare si sofferma sulle “trappole mentali” in cui possiamo imbatterci nel corso delle nostre singole valutazioni. Di cosa si tratta?
«Sul cambiamento climatico ce ne sono tantissime. Si parla, in particolare di “euristica della disponibilità” che avviene quando commettiamo degli errori perché facciamo delle valutazioni a caso su qualcosa che non conosciamo bene in base all’esperienza del momento o alla prima cosa che ci viene in mente rispetto a quell’argomento. Ad esempio mia sorella, quando era incinta della mia seconda nipote, dopo essere stata in fila all’INPS per l’assegno di maternità trovò strana una notizia data al telegiornale poche ore dopo in cui si diceva che in Italia si fanno pochi figli. “Ma non è vero”, mi disse. Ovviamente era stata influenzata dall’esperienza di poche ore prima in cui si era ritrovata in un ufficio pubblico insieme a molte altre mamme in attesa. Lo stesso succede quando dopo sei mesi di caldo torrido arriva una gelata. La gente subito afferma, ironicamente: “e meno male che c’era il global warming”. È naturale, certo, ma è un errore, perché quello che sta avvenendo da molti anni a questa parte è un processo di riscaldamento dovuto all’antropizzazione del globo che non era mai avvenuto prima. Certo, non siamo infallibili e tutti noi facciamo questo tipo di errori.»
E poi c’è il fenomeno dell’over confidence. Di che cosa si tratta?
«Avviene quando ci sentiamo molto sicuri nei confronti di ciò che sappiamo e al contempo molto ostili nei confronti dei dati o delle evidenze che contrastano con le nostre convinzioni. Per la nostra salute mentale leggere e approfondire anche le fonti che non necessariamente collimano con la nostra convinzione è importante.»
Un altro dato impressionante che lei cita nel suo libro è che negli ultimi dieci anni ci sono stati circa 22mila morti nel mondo dovuti ad attacchi terroristici, il che è sia chiaro un numero enorme, ma nell’ultimo anno ci sono stati ben 250mila morti per il cambiamento climatico. Una bella differenza, che però non allarma come dovrebbe… perché?
«Un morto da cambiamento climatico può essere sia quello che è stato travolto da una piena del fiume, ma anche chi ha avuto un attacco di cuore a causa dell’ondata di caldo eccezionale. Ovvio che la distorsione opera a tanti livelli. Anche in occasione del terrorismo può avvenire. Se ci pensiamo quando un attacco terroristico avviene vicino a noi, ad esempio in Europa, ci fa un certo effetto… guardiamo i tg con apprensione, cambiamo il nostro profilo social con la bandiera francese o inglese e via dicendo… se al contrario accade lontano, ad esempio in Pakistan, magari sì, ci pensiamo qualche istante, ma poi rimane per tutti una notizia di sottofondo.»
Anche i giornalisti, in questo senso, hanno delle responsabilità. E usare la terminologia corretta è importante, anche quando si parla di cambiamento climatico. Che ne pensa?
«Il Guardian anni fa aveva pubblicato un articolo con le istruzioni per comunicare al meglio i concetti legati alla crisi climatica, per affrontarla dal punto di vista della comunicazione, con le giuste parole. Ad esempio è sbagliato parlare di “cambiamento climatico”. Non perché non sia in atto, ma perché in realtà è qualcosa che è già successo da quando il nostro pianeta esiste. Su una scala di milioni di anni è qualcosa che effettivamente avviene, periodicamente. Basti pensare alle glaciazioni che hanno fatto estinguere i dinosauri, ma non solo. Noi, quando ne parliamo oggi, ci riferiamo principalmente a ciò che è avvenuto dal 1750 in poi, con la rivoluzione industriale e l’accelerazione dell’emissione di CO2 che sta condizionando in effetti il riscaldamento del nostro pianeta.
Stiamo, quindi, parlando non di qualcosa di naturale, ma di un fenomeno in cui il sapiens ha avuto e ha un ruolo attivo. Quindi si dovrebbe parlare più che altro di “crisi climatica”. Dall’altro lato anche il catastrofismo può risultare pericoloso, anche perché onestamente basta rimanere sugli scenari probabilistici, che sono già di per sé molto seri, per descrivere correttamente il fenomeno. Ma quando ci diamo per finiti fra non più di dieci anni stiamo esagerando, e comunque non facciamo nulla di positivo per il movimento, perché come abbiamo già detto il catastrofismo e il senso di ineluttabilità possono portare all’inazione. Noi dobbiamo puntare invece sull’azione positiva e sulla possibilità di poter effettivamente cambiare le cose.»
Quanto è importante la scuola per diffondere la consapevolezza ambientale nei giovani?
«Importantissima. A me pare che nella scuola le risorse, fra l’altro, ci siano. La scuola italiana sta facendo dei passaggi importanti con un ricambio generazionale in atto, con una didattica che non è più quella frontale di qualche tempo fa, ma che oggi risulta molto innovativa. Ci sono competenze importanti nei docenti italiani, spesso criticati in maniera infondata. C’è un seme da piantare che ripagherà lo sforzo fra vent’anni o quando sarà. Ma dobbiamo colmare distanze che si sono create negli ultimi anni, perché con il Covid i nostri ragazzi hanno perso molto.»
A proposito di Covid… la pandemia aveva in qualche modo messo in “pausa” il clamore mediatico attorno al tema ambientale creato da Greta Thumberg e il suo movimento Fridays for Future. Ora è tornato a essere al centro dell’agenda globale…
«Si, anche se a dirla tutta le pandemie non sono sganciate dal problema climatico. Anzi, sono una conseguenza della questione. Con l’urbanizzazione spinta e con da un lato l’arrivo dell’uomo e delle sue città in zone che prima erano non antropizzate, dove magari l’agente patogeno se ne stava lì tranquillo da tanto tempo, e dall’altro con le masse di umanità che si spostano da un continente all’altro in cerca di condizioni di vita migliori è più facile che quella stessa malattia che secoli fa sarebbe rimasta relegata a una zona particolare del globo, oggi si espanda e ci coinvolga tutti. Siamo tutti legati fra di noi. Ed è tutto legato.»
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Luciano Canova (Sondrio, 1978), economista e divulgatore scientifico, insegna Economia comportamentale alla Scuola Enrico Mattei, ed è docente a contratto presso l’Università Bocconi e l’Università di Pavia. Collabora con Il Sole 24 Ore, lavoce.info e Gli Stati Generali. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Il metro della felicità (Mondadori, 2019) e Favolosa economia (HarperCollins, 2021).