Chi scrive (e già ne scrisse) ritiene che diventare genitori sia un’esperienza complicata, distruttiva, bellissima e assolutamente non necessaria. Se il figlio è un bisogno o una mancanza troppo grande, sono molte le strade percorribili, più o meno tecnologiche e sfidanti sotto il profilo etico.

Aggiungi un posto a tavola

Avere un bambino è una scelta dettata dall’egoismo, si cerca qualcuno che completi noi stessi, che soddisfi il nostro istinto innato a preservare la specie e a lasciare un pezzo di noi nel mondo. Esiste però una via assolutamente generosa, in cui il proprio Io si annulla, che va raccontata nella sua splendida difficoltà: l’adozione di un bambino che già esiste ed è rimasto solo.

Qualche sera fa, presso il Circolo della Rosa di Verona, si è tenuta una serata di approfondimento sul tema, organizzata dall’Associazione ItaliaAdozioni. Ne parliamo con la referente per il Veneto, Roberta Cellore.

Da sx: avv. Federica Panizzo, Roberta Cellore e Patrizia Meneghelli, coordinatrice del Centro Adozioni di Verona

«Siamo un’associazione culturale di libero pensiero, impegnata nella sensibilizzazione al tema di adozione e affido, nella condivisione delle esperienze. Lavoriamo in mezzo alla gente, con iniziative di teatro, musica e il concorso L’adozione tra i banchi di scuola che vede coinvolti istituti di ogni grado con una partecipazione sempre crescente. Insegnanti e ragazzi lavorano a progetti che parlino di inclusione e accettazione ma anche di bullismo, problema che va affrontato a livello di gruppo e trascinando le famiglie. L’anno scorso ha vinto una primaria di Villafranca, mostrando una sensibilità e una saggezza da cui molti adulti, ahimé anche tra gli stessi insegnanti, potrebbero imparare.»

“Cara Adozione” è più che altro un bel pretesto per tornare a parlare di un argomento spesso tabù. È evidente leggendo alcuni passi che la decisione di adottare, assolutamente privata, faccia fatica nel passaggio successivo, quando si apre al mondo intorno.

La copertina del libro “Cara Adozione”

«Un’adozione è un fatto sociale, credo molto in questo punto, e non solo nel senso implicito di aiutare un bambino. La difficoltà più grande incontrata dai genitori è il vuoto sociale che si fa loro intorno fin da quando comunicano di voler intraprendere il lungo iter e quando si ritrovano da soli ad affrontare le difficoltà dell’inserimento di un bambino. Complice anche l’età sempre più avanzata degli adottanti, questi devono spesso rinunciare al supporto del nucleo familiare, quando non sono costretti a scontrarsi con il pregiudizio e la diffidenza. Nel libro ci sono storie vere, tutte diverse e centrali a modo loro.»

Portarsi a casa un “estraneo” – passami la provocazione – non è facile, specie se con un’esperienza traumatica e problemi relazionali che si riflettono necessariamente sulla vita quotidiana dei nuovi genitori. Spesso i pregiudizi sono alimentati dal fatto che si parla solo dei casi disperati, mentre tutte le storie di successo, di ragazzi inseriti, laureati, con una vita indipendente e felice, passano in secondo piano.

«In un’adozione non c’è niente di facile. A partire dall’iter di richiesta, dalle enormi spese da affrontare prima durante e dopo, dai tempi incredibilmente lunghi e dall’incertezza di non sapere se e come finirà. Serve una forte motivazione, bisogna credere davvero che l’accoglienza di un bambino porti a un concetto nuovo di cittadinanza attiva, un impegno verso le nuove generazioni. Non a caso molti adottanti e adottati svolgono attività sociali, per restituire agli altri parte della fortuna e dell’amore ricevuti.»

L’Italia è al secondo posto nel mondo per il numero di adozioni, nonostante il calo su scala globale, che da noi pesa per quasi il 60% in dieci anni. Allora non siamo quel Paese becero e retrogrado che dipingono…

«Al contrario. La legislazione italiana è tra le più attente ai bisogni dei bambini. Inoltre nel 2017 è stata istituita la banca dati per l’adozione nazionale. Per le adozioni internazionali i singoli Paesi tendono a essere sempre più protettivi verso i propri bambini e le loro legislazioni basate sul principio universale di favorire l’adozione locale, che abbatte la barriera della lingua evitando al bambino traumi da inserimento culturale. Il rapporto con le richieste resta tristemente stabile a 7 famiglie per ogni bambino e ci si rivolge quindi verso l’estero, dove però i bambini sono più grandi (sui 6-7 anni) e aumenta la proporzione di quelli con esigenze speciali, legate a problemi fisici o a traumi psicologici subiti nella breve esistenza.»

Un percorso a ostacoli, insomma, per il quale è necessaria pazienza e determinazione, oltre a tanto tempo e soldi, il cui traguardo però riserva grandi gioie. O anche no.

«Vorrei poter dire che la vita con un bambino adottato è tutta sorrisi e baci, ma devo deluderti: la vita con un bambino adottato (con un bambino a prescindere, nda) va vissuta ogni giorno, è un cucciolo ferito che va riavvicinato all’amore, a volte anche un abbraccio troppo forte innesca una crisi. La rabbia che può riversare su di noi arriva da molto lontano, sicuramente ha radici imponenti e i genitori vivono in lotta con se stessi, tra la compassione e l’educazione. È una battaglia degna di essere combattuta, non si può restare indifferenti di fronte agli occhi persi di un bambino.»

Un figlio diventa nostro con la nascita, certo, ma lo può fare anche se noi gli concediamo la possibilità di una ri-nascita. Adottare non significa crescere il figlio di un altro, versione cinica e miope di molti, bensì accogliere come figlio proprio un bambino sfortunato e incolpevole, qualsiasi sia la ragione per cui si è ritrovato da solo. Significa imparare a condividere la sua solitudine, il peso della sua tristezza, sollevandolo di parte del carico affinché possa tornare a correre sereno insieme agli altri.