Con l’invasione russa in Ucraina, l’Unione Europea ha dovuto affrontare il problema degli approvvigionamenti energetici, colpiti da sanzioni e contro-sanzioni. Non vogliamo qui entrare nel merito di questi provvedimenti o sulla loro efficacia nell’ottenere il risultato desiderato; ne abbiamo trattato in articoli precedenti e ci sono moltissimi interventi pro e contro nei media perché ognuno possa aver formato la propria opinione.

Vogliamo invece porre l’accento sui numerosi interventi diplomatici derivati dall’introduzione del REPowerEU, il programma che nelle parole della presidente di Commissione UE, Ursula von der Leyen, mira (anche) a spostare le forniture dalla Russia verso «partner più affidabili e degni di fiducia». Se la presidente sceglie queste parole, e lo fa con accanto il presidente dell’Azerbaijan, è forse il caso di approfondire quali siano questi nuovi partner.

Lo facciamo con l’aiuto del “Human Freedom Index”, ovvero l’indice della libertà umana, nella sua edizione 2021 a cura di Vásquez, McMahon, Murphy e Sutter Schneider. Si tratta di una pubblicazione del Cato Institute, un think tank liberale, che stila una graduatoria annuale tra 165 Paesi in tutto il mondo, in base a parametri che misurano le libertà personali, civili ed economiche dei cittadini.

Russia: fuori concorso

Partiamo dal Paese non più gradito, anche se fino all’anno scorso forniva circa il 40% del fabbisogno in idrocarburi europeo. Forte di una produzione di 10,5 milioni di barili giornalieri (mbpd), pari al 14% globale, il suo primo acquirente è da sempre la Cina con 1,6 mbpd mentre gli Stati europei cumulano circa 2,4 mbpd.

La guerra in Ucraina farà sicuramente perdere numerose posizioni nel ranking HFI, alla luce delle accuse probabilmente fondate di crimini di guerra e contro l’umanità. Ma anche nel 2021 la sua posizione non era delle migliori (nr. 126 su 165), per le carenze in tema di diritti civili, di libertà individuali, di espressione e di stampa. Un regime autocratico da molto prima che il grande pubblico se ne accorgesse, insomma.

Proseguiamo in ordine, dal peggiore al migliore. O dovremmo dire il “meno peggio” visto che qui di alternative pulite se ne vedono gran poche.

Egitto – nr. 161 su 165

Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha appena concluso un accordo di collaborazione con la Germania, per la fornitura di gas e idrogeno; ha visto anche il francese Macron e in giugno la UE ha annunciato un accordo per il gas da Egitto e Israele. Insomma, aggiungendo i forti interessi di ENI e SAIPEM nel Paese, ci siamo dentro fino al collo.

Abdel Fattah al-Sisi

Parliamo di uno Stato che rapisce, tortura e imprigiona senza controllo chiunque esprima una critica all’azione di governo, tra cui giornalisti, attivisti ma anche gente comune. Le autorità usano accuse vaghe sulla “moralità” delle donne per arrestare chi vorrebbe portare luce sulle numerose cause legali per stupro, quasi mai concluse a favore della vittima e talvolta con la compiacente diffusione di nomi e anche video degli assalti nei media.

Tutti i detenuti, anche se in attesa di giudizio, da mesi non possono ricevere visite, neanche dagli avvocati, per ragioni sanitarie. Problemi che hanno portato alla morte di decine di persone nelle carceri, dove igiene e servizi sanitari sono praticamente assenti. Le accuse, poi, tendono a non venir mai formalizzate e, quando si avvicina il limite dei due anni di carcere preventivo previsto dal codice egiziano, semplicemente spuntano nuovi reati e si ricomincia.

Arabia Saudita – nr. 155 su 165

Paese che attualmente rappresenta circa il 10% delle importazioni UE in idrocarburi ma che ha grande influenza in sede OPEC, dove vengono decise le quantità e indirettamente i prezzi del mercato globale.

In Arabia i diritti civili sono pochi e malvisti, le donne sono relegate ai margini della società e, nonostante i grandi proclami a beneficio di telecamera, poco o niente è cambiato con il “nuovo corso” introdotto dal principe ereditario Mohammad bin Salman, per gli amici MBS. Senza dimenticare la guerra in Yemen, le migliaia di vittime che sembrano destinate a crescere ancora.

Il presidente USA, Joe Biden, è stato in visita ufficiale il mese scorso, per discutere le relazioni con un «partner strategico nella sicurezza» per gli USA e per l’Europa, alle cui sorti Biden pensa sempre. E pensare che, sulla scia del delitto Khashoggi, Biden era arrivato a dire in campagna elettorale che avrebbe «reso i reali sauditi dei paria» nella comunità internazionale. Come si cambia, per non morire.

Algeria – nr. 154 su 165

Dopo l’incontro tra Draghi e il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, le rispettive società petrolifere (Sonatrach ed ENI) collaboreranno allo sviluppo di un nuovo giacimento petrolifero e verranno garantiti ulteriori 9 milioni di metri cubi di gas entro il 2024. A quel punto l’Algeria sarà il nostro fornitore principale al mondo.

Si tratta di un Paese con forti deficit democratici, dove i partiti di opposizione sono stati dichiarati “associazioni terroristiche” e i loro esponenti incarcerati. Ci sono elezioni a intervalli regolari, in cui l’élite politica cambia ma stando sempre “nel suo giro”. Manca la libertà di espressione, di stampa e le proteste vengono abitualmente represse con la violenza.

Le autorità sono sotto osservazione per le espulsioni massive di migranti, senza alcuna verifica preliminare, nonché per furti e abusi a loro carico. Lato minori, è ancora valida la legge coloniale per cui chi violenta una bimba può sposarla per evitare il carcere. Il divorzio è sempre ammesso per l’uomo, mentre la donna deve iniziare un procedimento giudiziario su “fondati motivi”. Adulteri (ovviamente solo donne) e omosessuali rischiano due anni di carcere e sono vietate le associazioni che potrebbero sostenerli, in nome di una vaga norma sulla “morale pubblica”.

Angola – nr. 129 di 165

Nel 2021 è stato introdotto un nuovo codice penale che include, tra l’altro, norme a protezione dei bambini, contro mutilazioni genitali e molestie sessuali, nonché un ampliamento dei casi in cui l’aborto è ammissibile e la depenalizzazione dei rapporti omossessuali. Resta però di difficile implementazione, per le resistenze culturali e gli abusi continuano specie tra le forze di polizia, con esecuzioni sommarie e uso illegittimo della forza.

Un tema particolarmente delicato riguarda i minori: l’Istituto Nazionale competente ha rivela che negli ultimi due anni oltre 4.000 ragazzi sotto i 14 anni sono stati vittima di violenza sessuale, tipicamente bimbe, quasi sempre vittime di vicini di casa o famigliari. Spesso gli aguzzini offrono denaro in compensazione, alimentando lo sfruttamento. Sempre, invece, ne escono impuniti.

Questo è il Paese con cui, dice il Ministero degli Esteri, il governo dimissionario ha firmato una «dichiarazione d’intenti, che fornirà la cornice giuridica sia per attività di sviluppo del settore del gas naturale sia per progetti congiunti a favore della decarbonizzazione e transizione energetica dell’Angola». Benissimo.

Qatar – nr. 128 su 165

In questo piccolo Paese si terrà la prima edizione invernale dei mondiali di calcio; un bell’esercizio di soft power sportivo, per un sistema giuridico da sempre deficitario in tema di diritti. Proprio su spinta della FIFA, il Qatar ha dovuto introdurre una riforma del lavoro che permetta agli immigrati di cambiare azienda o rientrare in patria senza il permesso del datore di lavoro (che però può ancora tenere il loro passaporto “al sicuro”). Ha anche aumentato il salario minimo equiparando i lavoratori locali agli immigrati ma le nuove regole non sono applicate.

Le morti sul luogo di lavoro non vengono investigate, spesso nemmeno comunicate e si leva alta la protesta dalle associazioni dei famigliari, specie dal sub-continente indiano, che non hanno più notizie dei loro cari. I lavoratori semplicemente spariscono. Migliaia di persone probabilmente morte per costruire gli stadi avveniristici e i lussuosi hotel che faranno da vetrina il prossimo novembre.

Il Qatar resta un Paese dove l’omosessualità è perseguibile per legge e dove le donne hanno un “guardiano” che ne cura gli interessi. Tanto che le bandiere “troppo colorate” non saranno ammesse nei luoghi delle partite. Con questi bravi ragazzi stanno negoziando i tedeschi, per conto proprio ma anche di tutta la UE.

Azerbaijan – nr 128 su 165

Eccolo qua, il compagno di von der Leyen, il presidente Ilham Aliyev. Qui ci sono in ballo le forniture che arrivano attraverso i gasdotti dell’Anatolia e quello sotto l’Adriatico. L’accordo è per un aumento del 50% fino a 12 milioni di metri cubi subito, per arrivare a 20 nei prossimi anni.

Si potrebbe dire che il presidente azero abbia imparato da quelli bravi, dal suo maestro Vladimir Putin. Comanda il Paese con lo stesso stile da zar imperiale, in barba alle elezioni farsa che improvvisa ogni tanto per darsi un contegno democratico agli occhi del mondo. Anche qui non ci sono diritti e gli unici veramente liberi sono i membri delle forze di sicurezza, che possono decidere vita e morte di chiunque provi a fare opposizione. E questo, come promesso, è il “meno peggio”.

E i buoni?

Ci sono anche loro, per carità. La UE può contare sulle forniture di Olanda (nr. 11 del ranking), Norvegia (nr. 13) e ovviamente degli USA (nr. 15), tutti Paesi con democrazie forti, anche se nessuno davvero è esente dal famoso “scheletro nell’armadio” e, soprattutto, anche se le quantità non sono sufficienti a garantire l’autosufficienza di un continente che è ancora alle fasi iniziali della sua transizione.

Ben vengano allora, i cattivoni seduti su enormi giacimenti, pronti a usare gli idrocarburi come una nuova arma per accreditarsi al mondo, per creare o rinsaldare alleanze, al contempo arricchendosi sempre di più. Per ripulirsi almeno a livello di reputazione, visto che per la coscienza probabilmente non ci sono speranze.

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