Nella terza Giornata mondiale delle api, che cade ogni 20 maggio, Verona lancia un protocollo denominato Biodiversity friend beekeeping, con una videoconferenza alle ore 18 visibile sulla piattaforma Google Meet della World biodiversity association. L’associazione, con sede nel Museo civico di storia naturale, è operativa dal 2004 e annovera un comitato scientifico internazionale, composto da naturalisti di tutto il mondo. Da dieci anni gestisce anche la certificazione Biodiversity friend per la sostenibilità e la conservazione della biodiversità in agricoltura, e quest’anno lancia un nuovo standard al quale aderiscono sette aziende apistiche di Veneto, Puglia e Toscana, al cui centro è posto il rapporto tra apicoltore, ape da miele e territorio. Il protocollo è stato elaborato da entomologi, apicoltori e naturalisti dell’associazione e si basa su dieci azioni concrete che indirizzano le scelte tecniche, nel rispetto della natura e della biologia dell’apis mellifera, importantissima impollinatrice, e perciò insetto fondamentale per gli equilibri ecologici e per la produzione agricola.


L’”Apicoltura amica della biodiversità” si basa sulla stanzialità degli alveari, l’utilizzo di api locali e non di ibridi commerciali o di api provenienti da aree geograficamente molto lontane, sul grande valore per le api del favo naturale o semi-naturale e della qualità della cera, sulle modalità di moltiplicazione delle colonie, l’alimentazione artificiale oculata, il controllo delle malattie e dei parassiti delle api con tecniche apistiche e prodotti utilizzabili in un contesto biologico e, infine, sulla gestione locale dei prodotti dell’alveare.

Oltre a questi principi relativi all’attività degli apicoltori, importante è anche la salvaguardia degli agrosistemi come la presenza di siepi e boschi, l’uso razionale dell’acqua, la biodiversità agraria, la tutela del territorio e del paesaggio e la responsabilità sociale.

Il declino degli insetti impollinatori, per varietà e quantità, è un dato di fatto, un fenomeno globale che significa in numeri il 40% delle specie di api a rischio. A colpire sono malattie e parassiti, i cambiamenti climatici e ambientali, le attività agricole e l’uso di relative sostanze chimiche, ma anche pratiche della stessa apicoltura, come l’importazione di regine di sottospecie non adatte alle zone di destinazione. Inoltre l’incremento delle aree urbane e la frammentazione degli ecosistemi hanno un influsso negativo, così pure le colture intensive. E le zone mediterranee ne pagano maggiormente le conseguenze.

La nuova Politica agricola comunitaria 2021-2027 dell’UE prevede una misura dedicata al settore dell’apicoltura, cui si affianca il programma d’intervento della regione Veneto per il settore 2020-2022, che tra i vari punti deboli ha anche la frammentazione e la riduzione dei territori idonei a questa forma di allevamento. Si contano infatti 7mila apicoltori e 100mila arnie, ma molti sono hobbisti e ciò comporta una offerta di prodotti apistici eterogenea e dispersiva. Secondo la nazionale Banca dati apistica, alla quale tutti gli apicoltori devono iscriversi, dichiarare il numero di alveari detenuti e la posizione geografica, al 31 dicembre in Italia ben il 67,3% ha prodotto per autoconsumo e solo il 32,7% per il mercato. Sono dati comunque in crescita, con un aumento di 10mila apicoltori hobbisti in soli tre anni, di cui molti sono giovani, mentre i detentori di partita iva crescono più lentamente. Anche l’Osservatorio nazionale miele ha messo in atto degli accordi tra mondo agricolo e apicoltura, mettendo attorno a un tavolo tutte le categorie coinvolte – agricoltori, sementieri, frutticoltori, contoterzisti, commercianti di fitofarmaci, veterinari e apicoltori –, da cui è nato un tavolo tecnico permanente sottoposto al Servizio fitosanitario nazionale.    

Già nel 2019 la produzione di miele di acacia in Veneto nei Colli Euganei e nella pianura del padovano era stata azzerata, e in regione la melata di abete è stata nulla, come non si sono registrate produzioni di millefiori estivo. E l’inizio della stagione primaverile 2020 non dà segnali ottimistici, dato che la fioritura in Nord Italia dell’acacia è stata poco produttiva di nettare, poiché ha fatto seguito a  una lunga fase siccitosa. Affrontare il problema della decimazione delle api da un punto di vista economico può sembrare riduttivo, ma questa è una chiave che attiva una serie di strumenti strategici per la loro tutela, a fronte di un impatto negativo causato dai modelli agronomici e colturali, tanto quanto dai mutamenti climatici.

L’organizzazione agricola europea Copa-Cogeca ha lanciato un appello per attivare provvedimenti urgenti e consentire a più di 650mila apicoltori europei di risollevarsi da un 2019 a dir poco complicato. Le importazioni dalla Cina a prezzi bassi stanno ulteriormente minacciando il settore: se produrre miele in Europa costava lo scorso anno 3,90 euro al chilo, il prodotto importato si colloca in media su 1,24 euro, prezzo che si spiegherebbe solo con l’utilizzo di sciroppo di zucchero e quindi con una pratica non conforme alle norme europee. Ma se gli apicoltori non possono più stare sul mercato, ne fanno le spese gli oltre 10 milioni di alveari nell’Ue, con un decadimento dell’impollinazione e una ricaduta pesante sull’agricoltura e la biodiversità. 

L’interconnessione quindi tra ambiente ed economia è stringente e anche la pubblica amministrazione sta cominciando a rendersene conto. Non sono ancora molti, però i “Comuni amici delle api” stanno aumentando: il progetto internazionale “Ape bene comune”, avviato nel 2014 e co-finanziato dalla Commissione europea, mira a far adottare dalle amministrazioni locali le buone pratiche nella gestione del verde pubblico, realizzando aree apposite per la salvaguardia degli insetti impollinatori, e sviluppando progetti educativi e didattici per scuole e cittadinanza su questo tema. Anche l’apicoltura viene incentivata non solo in quanto produttrice di reddito, ma intesa come bene comune globale. A Verona vi ha aderito lo scorso 20 aprile il comune di Negrar di Valpolicella, che deve perciò controllare i trattamenti sulle colture e il verde pubblico anche in termini di calendario, per non interferire con la fioritura e la melata. Un impegno che si spera dia dei risultati visto il territorio, fortemente interessato dalla coltivazione della vite, nel quale c’è ancora molto lavoro da fare in termini di biodiversità e protezione delle api. Insetti che, tra l’altro, possono contribuire al benessere delle uve, poiché riescono a ridurre gli effetti negativi della botrite e aumentano i lieviti necessari per la fermentazione.

Rispettare le api non significa solo non apportare danni al settore apistico, ma vuol dire anche salvaguardare la loro azione sia sulle piante agrarie, favorendo l’incremento quantitativo e qualitativo delle produzioni, sia su quelle spontanee, così importanti per la biodiversità e più in generale per l’ambiente in cui viviamo. Il 15 settembre 2017 è stato raggiunto un accordo tra il settore agricolo e quello apistico per una “Intesa per l’applicazione delle buone pratiche agricole e la salvaguardia delle api nei settori sementiero e ortofrutticolo”. Tra i diversi punti trattati, il tavolo ha anche predisposto le “Linee Guida per la salvaguardia degli impollinatori”, inserendo un capitolo espressamente dedicato alle “Azioni a tutela e salvaguardia delle api e degli altri impollinatori” augurandosi che la quest’ultima venga inserita nel nuovo PAN 2020-2024 (Piano di azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari). Si tratterebbe di un passo importante per un futuro in cui poter produrre prodotti agricoli in un ambiente sostenibile per le api e per noi.