Si è svolto nei giorni scorsi, presso la sala conferenze Chiostro di Santa Corona a Vicenza, il seminario organizzato all’interno del progetto Rural Social Act.

Il Rural Social Act si inserisce nel Piano triennale di contrasto al caporalato, in attuazione della legge 199/2016, ed è finanziato dal Fondo Fami e dal Ministero del Lavoro. È supportato dal Forum Nazionale Agricoltura Sociale che vede Cia come capofila, insieme a 30 partner tra reti nazionali, cooperative, consorzi, Ong e associazioni.

Locandina del seminario

Scopo del progetto è attivare politiche e azioni comuni contro il lavoro nero, promuovendo la rete del lavoro agricolo di qualità e valorizzando il ruolo dell’agricoltura sociale, come esempio di sviluppo territoriale che unisce sostenibilità economica e legalità sviluppando filiere etiche e innovative forme di distribuzione.

Il seminario realizzato in provincia di Vicenza, ha avuto l’obiettivo di far emergere le caratteristiche che assume il fenomeno nella regione Veneto e analizzare le risposte già attive. Quello di fare rete e costruire sinergie è stato il tema di sottofondo che ha collegato i vari interventi.

Il reclutamento illegale di manodopera e lo sfruttamento lavorativo sono problemi così complessi, che è impossibile pensare di poterli affrontare solo da un’angolazione o come singola associazione.

Ad aprire il confronto sono stati Corrado Franci, coordinatore Rural Social ACT e Giuliano Ciano, Portavoce Forum Nazionale Agricoltura Sociale.

Molto incisiva è stata l’introduzione di Tommaso Simionato, del Forum Agricoltura Sociale Veneto che con dei rapidi calcoli ha dimostrato in maniera efficace, il perché molte aziende agricole in Veneto scelgono di non aderire alla rete dell’Agricoltura di qualità.

Peso della manodopera sul costo finale di una bottiglia di vino: €0.50 se illegale, €1.20 se contratto agricolo, € 2.10 se operaio specializzato assunto dall’azienda agricola

Il prezzo del prodotto finale, ad esempio una bottiglia di vino di un’azienda che sceglie di affidarsi a personale qualificato e dipendente, diventa assolutamente non concorrenziale rispetto a una bottiglia di vino messa sul mercato da un’azienda che, invece, si è affidata a manodopera non qualificata e ingaggiata tramite cooperative di servizi non propriamente legali.

Questo è un problema concreto, che si deve sottolineare soprattutto quando si parla di caporalato e del perché esso esista. Il caporalato, infatti, non è la causa dello sfruttamento agricolo, ma una conseguenza di regole del mercato che mettono il ribasso dei prezzi come valore assoluto.

Manuela Lanzarin, Assessore Regionale Sanità e Politiche Sociali, ha illustrato le azioni del progetto NAVIGARE. A partire dal 1 luglio 2021, il progetto, prima denominato NAVE (Network Antitratta per il Veneto) ha acquisito un’importante valenza in quanto la Regione del Veneto è divenuta capofila del progetto. Il quale interessa tutto il territorio nazionale e il Veneto ne gestisce direttamente il Numero Verde Antitratta e l’Osservatorio.

Proprio dall’Osservatorio arrivano i dati che ci dicono che nei primi 4 mesi di azione di NAVIGARE 740 persone sono state contattate per sfruttamento lavorativo. Di queste, una sessantina ha avviato un percorso di inserimento in contesti lavorativi leciti.

La situazione in Veneto

Nel suo approfondimento, il giornalista caporedattore di Avvenire, Antonio Mira, ha descritto in maniera puntuale – con dati e numeri – la portata dello sfruttamento lavorativo nel nostro Paese.

foto di Kamala Bright, unsplash.com

Mira ha utilizzato i dati dell’Osservatorio Placido Rizzotto. Nel 2019 si contavano in Italia 200 mila vulnerabili, veri e proprio schiavi della terra in mano a sfruttatori. 400 mila invece, il totale degli irregolari, senza distinzione di nazionalità. Nel Veneto si parla di 15 mila lavoratori a rischio di sfruttamento.

Da quando, nel 2016, è stata promulgata la legge contro il caporalato, sono state aperte 300 inchieste da 100 procure diverse sparse nel territorio italiano. Quasi la metà di queste inchieste riguardano aziende nel Centro Nord.

Solo nel 2020 sono state 475 le persone denunciate per sfruttamento lavorativo. Più di una al giorno. Questo significa che il settore agricolo è il settore economico che meno di tutti ha risentito dei vari lockdown. Purtroppo ciò ha portato a un aumento dello sfruttamento e a un peggioramento delle condizioni lavorative.

Nel 2021 sono già 56 le inchieste aperte, e questa volta la maggior parte si trovano nel nord-Italia (31 contro 25). Sono numeri importanti che ci dicono almeno due cose. La prima è che il caporalato non dipende dalla provenienza geografica, né di chi sfrutta, né di chi è sfruttato. Al contrario, è presente in tutto il territorio nazionale e, dove entra in azione, assume connotazioni tipiche del contesto in cui si trova. In Veneto a esempio, non esistono le baraccopoli e non esiste in modo nitido la figura del caporale. Al contrario, molto spesso è l’imprenditore stesso che assume direttamente e consapevolmente comportamenti illegali.

Sempre nel nord-Italia inoltre, la catena dello sfruttamento si delinea intorno a tre grandi anelli: un terreno da lavorare in sud Italia, una cooperativa vuota che gestisce la logistica della manodopera e agenzie interinali che creano contratti fumosi. Un esempio è il caso di Paola Clemente, la bracciante pugliese morta mentre lavorava nei campi, la cui vicenda ha dato un’accelerata alla nascita della legge contro il caporalato. L’agenzia interinale che l’aveva contrattata si trova nel nord Italia e continua a lavorare imperturbata, nonostante il percorso legale relativo al caso, sia ancora in corso. Anzi, attualmente si sa per certo che sta contrattando manodopera in Calabria.

Gli interventi in corso e il dialogo che non c’è

foto di Maja Petric, unsplash.com

Dopo l’esposizione di Mira, sono intervenuti altri relatori come Angelo Mussoni di AltreStrade Coop.Soc. e Giosué Mattei, segretario generale della FLAI CGIL Veneto e coordinatore regionale progetto DIAGRAMMI NORD (progetto di cui avevamo già parlato nell’articolo del 10 settembre). Da ricordare anche Laura Calafà, Docente di Diritto UNIVR e coinvolta nel progetto Farm, Filiera dell’Agricoltura Responsabile; e infine Paola Cavanna, dell’ Organizzazione Mondiale delle Migrazioni e Progetto A.L.T. Caporalato!.

Tutti hanno riportato le azioni concrete già operative dei rispettivi progetti, e l’importanza della prevenzione affinché, chi si trova in condizioni di vulnerabilità non finisca automaticamente nell’ingranaggio dello sfruttamento. Allo stesso tempo però, hanno segnalato una nota di rammarico, commentando il fatto che l’Assessora Lanzarin ha lasciato la sala subito dopo il suo intervento inziale.

Sembra infatti che ad oggi, quel dialogo tra istituzioni e quella rete che è il cuore e il senso di tutta l’azione del Rural Social Act e della lotta al caporalato, non si siano ancora realizzati. Spesso infatti la Regione non risponde alle richieste dei vari soggetti coinvolti nel contrasto allo sfruttamento lavorativo.

Da parte della politica sembra non esserci interesse ad affrontare uno dei nodi principali del problema del caporalato: la gestione legale dei flussi migratori di chi viene in Italia per cercare lavoro. Laddove manca lo strumento legale, si sa, interviene la criminalità, sempre abile a sfruttare le lacune del sistema. Ed è esattamente quello che sta succedendo da anni in tutta Italia.

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