Per Verona godere di un patrimonio storico, culturale, artistico di eccezionale valore e articolazione è un privilegio invidiabile. Per una amministrazione è anche una responsabilità impegnativa: conservare, valorizzare, investire… Occorrono tante risorse, progettuali e materiali.

Quante cose bisognerebbe fare? Rilanciare l’arte contemporanea, stabilizzare flussi turistici evoluti, avvicinare la cultura ai cittadini delle periferie, valorizzare il turismo congressuale.

E anche ridisegnare il sistema museale veronese, modernizzare i servizi turistico-culturali, ridare voce e vita alle biblioteche di quartiere, esaltare la vocazione operistica, ripensare il Festival shakespeariano…

Si potrebbe proseguire a lungo, elencando opportunità, problemi da risolvere, emergenze, obiettivi di breve, medio, lungo periodo. Come ridurre tanta complessità? Partire dal pubblico o dal privato? Dai cittadini o dalle istituzioni? Dai soldi o dalle persone? Dal turismo o dalla cultura?

Lo sfondo europeo di ogni strategia turistico-culturale

Una prima risposta c’è: dall’Europa. Il primo confine entro il quale va perimetrata una strategia turistico-culturale per la nostra città è quello dato dai grandi obiettivi definiti dall’Unione Europea. Uno sfondo valoriale, prima che politico, sul quale si innestano, accanto ai fondi strutturali europei, le nuove disponibilità di risorse Pnrr dettate dalla crisi pandemica.

 Per la Ue nel “patrimonio culturale” di una nazione o di un territorio rientrano “siti naturali, edificati e archeologici, musei, monumenti, opere d’arte, città storiche, opere letterarie, musicali, audiovisive e digitali e le conoscenze, le pratiche e le tradizioni”. C’è tutto. Quello che siamo stati e quello che diverremo. La natura e l’artificio.

È il “capitale sociale” di cui ci nutriamo, quello che “arricchisce la vita individuale dei cittadini” e permette “occupazione e coesione sociale, offrendo la possibilità di rivitalizzare le aree urbane e rurali e di promuovere un turismo sostenibile”. Sono parole che comprendono sia il benessere psicologico dei cittadini, sia quello economico delle imprese che con la cultura e con lo spettacolo ci lavorano. L’immaginario collettivo e il valore generato dalla bellezza. In questo orizzonte, cultura e turismo combaciano come le due facce di una stessa moneta.

Turismo, crescita e sostenibilità

Fra le parole chiave con le quali si coniuga questa nozione allargata di patrimonio culturale (“inclusione, resilienza, innovazione…”), ce n’è una cruciale: “sostenibilità“. Quest’ultima richiama l’idea che non è vera crescita quella che avviene senza un equilibrio, un dosaggio di forze, una complementarità di intenti. Nella “Nuova agenda europea per la cultura” l’invito è quello di “proteggere e promuovere il patrimonio culturale dell’Europa inteso come risorsa condivisa.”.  E ancora: “Aumentare la partecipazione [..] con una maggiore circolazione di opere d’arte europee e di professionisti nei settori creativi e della cultura europei”.

Non sono indicazioni banali o astratte. A livello locale, per fare un esempio, non ha senso che tra le istituzioni pubbliche, quelle private, i privati che operano nello stesso settore non si stabiliscano stabili relazioni virtuose: la Galleria d’Arte Moderna, le Gallerie d’arte private, l’Accademia di Belle Arti, ArtVerona, Agi Verona.

Infatti, lo scambio di opere d’arte, a livello nazionale e internazionale, per periodi più o meno lunghi, dovrebbe essere la regola, non l’eccezione di ogni istituzione pubblica.

Il welfare culturale     

Le indicazioni europee sono molto incisive anche rispetto alle esigenze culturali della cittadinanza. Arte, cultura, bellezza hanno un valore identitario ed educativo fortissimo. La città non è “di prossimità” solo quando garantisce l’assistenza sociale di base ad anziani, poveri, malati, ma anche quando favorisce la fruizione culturale a tutti i suoi cittadini, indipendentemente dal livello culturale, anche in chiave multiculturale. Si tratta di “favorire la capacità culturale di tutti gli europei rendendo disponibile una vasta gamma di attività culturali e fornendo le opportunità per parteciparvi attivamente”.

Il Rapporto sul Benessere equo e sostenibile 2021 dell’Istat, presentato nel’aprile scorso, ha fatto emergere dati preoccupanti.

La pandemia ha allontanato dalle biblioteche metà dei cittadini, evidenziando un drammatico aggravamento di quell’impoverimento culturale più volte segnalato in questi anni da diversi osservatori.

Non è un caso che le città più evolute abbiano deciso di investire su grandi progetti biblioteconomici basati sul Pnrr: la Biblioteca Europea di Informazione e Cultura a Milano, la nuova Civica di Torino, i nuovi Poli civici culturali e di innovazione a Roma, per fare degli esempi. Sono necessari e possibili significativi investimenti per potenziare le reti di servizi territoriali per la cultura e il tempo libero nell’ottica del welfare culturale. Le biblioteche possono esserne l’architrave, facendone evolvere le funzioni anche sotto il profilo tecnologico.

Le grandi criticità del sistema turistico-culturale veronese vanno affrontate tenendo ben presente le risorse e gli obiettivi individuati a livello europeo.

Verona, città d’arte per guardare al futuro

Città d’arte, città turistica: come va definita Verona? Forse “turistico-storica”: “turistica” perché visitata da una quantità di persone molto superiore al numero dei suoi abitanti (oltre 2,7 milioni, nell’ultima annata buona, il 2019…).

“Storica” perché deriva la sua fortissima identità di città d’arte dalla storia bimillenaria. Sulla quale si sono poi innestate, in età moderna e contemporanea, istituzioni come la più antica Accademia musicale d’Italia, quella Filarmonica, fondata nel 1543, per poi andare via via verso l’Accademia di Agricoltura Scienza e Lettere (1768), la Società Letteraria (1808), la Società di Belle Arti (1857), solo per citare le più note.

E poi la tradizione pittorica veronese, i Futuristi storici, quelli Nuovi, le postavanguardie, il Conservatorio Dall’Abaco, l’Università…

Un dettaglio in bianco e nero dell’ala dell’Arena, foto di Sarah Baldo.

Ragionare di arte e cultura a Verona significa rivolgere uno sguardo intenso all’indietro, nella doverosa considerazione di tradizioni formidabili. Ma anche orientarne un altro, altrettanto determinato, al futuro. Perché nel frattempo Verona è diventata una città moderna, profondamente internazionalizzata, aperta al mondo e alle sue sollecitazioni. E l’arte, la cultura, non sono solo rassicurante conferma delle proprie radici, ma anche pensiero critico, destabilizzazione degli equilibri dati, visione, anticipazione di ciò che avverrà.

Cultura e turismo: le criticità

Tutto questo si traduce, nel linguaggio dei numeri, in dati impressionanti, se confrontati con quelli di città comparabili: nel 2019 il Comune di Verona incassava 7 milioni di euro dai biglietti del suo patrimonio storico-artistico-museale (4,5 dal monumento Arena e 1,3 dalla Casa di Giulietta), grazie ad un flusso di 1 milione e 700mila visitatori.

Tuttavia, anno dopo anno, sono emerse, nel nostro sistema turistico-culturale,  una serie di criticità, acuite senza dubbio dalla terribile crisi pandemica, ma in buona parte preesistenti ad essa e frutto di un insieme di fattori esogeni ed endogeni. Parliamo di evoluzione dei mercati, esigenze delle nuove generazioni, ma anche di specifiche caratteristiche del nostro patrimonio, dal modo di gestirlo a quello di accogliere i visitatori.

Primo problema, Castelvecchio

Una prima serie di criticità strutturali riguarda il nostro patrimonio museale. Avremo bisogno, nei prossimi anni, di notevolissime risorse finanziarie e progettuali per ammodernare ed ampliare la nostra dotazione cittadina di musei. Non si tratterà solo di intervenire sulle strutture architettoniche o sugli adeguamenti tecnologici, ma anche sulle destinazioni tematiche.

Una veduta di Castelvecchio, foto da Unsplash di Raimond Klavins.

C’è la questione di Castelvecchio, che va adeguato, sotto il profilo dei servizi, agli standard europei. Questo comporta il trasferimento della sede dei Circolo Ufficiali: un tema sul quale ci si dovrà confrontare con il Ministero competente, nella consapevolezza di dover individuare una sede altrettanto dignitosa per gli Ufficiali, attraverso risorse che dovranno essere reperite, probabilmente, anche a livello locale.

Castel San Pietro, Palazzo del Capitanio, Palazzo Forti

Cariverona – in occasione della controversa vicenda Marriott – ha poi confermato la destinazione museale di Castel San Pietro (cui Heraldo ha dedicato una serie di approfondimenti, ndr) e Palazzo del Capitanio. Sono edifici monumentali, di grandissimo pregio. Occorrerà prima di tutto discutere con il proprietario delle caratteristiche museologiche, all’interno di una visione unitaria che riguardi tutti i musei cittadini e coinvolga tutti gli stakeholder pubblici privati.

E rimane ancora aperta la destinazione di Palazzo Forti: avrebbe senso pensare che il Comune lo riacquisti facendone nuovamente il motore della provocazione culturale veronese? Aumentare ulteriormente gli spazi espositivi implica una riflessione sui flussi di visitatori che ne garantirebbero una gestione economicamente accettabile: “sostenibile”, per l’appunto. Così come c’è da chiedersi chi poi gestirebbe tali spazi, visto che la gestione diretta è da escludere.

Castel San Pietro visto da Kimmo Räisänen, Flickr, CC BY-NC 2.0.

Innovazione tecnologica per accrescere l’esperienza culturale

Questi impegni dovrebbero collocarsi all’interno di una strategia di valorizzazione dei nostri musei, dei nostri percorsi storico culturali urbani, delle nostre collezioni che tenga conto delle possibilità offerte dall’innovazione tecnologica. Si pensi, per esempio, a soluzioni di realtà aumentata e digitalizzazioni, che permetterebbero al visitatore che inquadrasse col cellulare Porta Borsari di vederla ricostruita.

Il celebre “Ritratto di fanciullo ridente con disegno”, del 1515-150, opera di Giovan Francesco Caroto, in mostra fino al 2 ottobre al palazzo della Gran Guardia.

O a quello che inquadra il “Fanciullo che disegna” di Giovan FRancesco Caroto (in corso al Palazzo della Gran Guardia la prima grande mostra dedicata all’artista veronese protagonista del Cinquecento, ndr) di potere scegliere, in un ricco flusso di informazioni aggiuntive, quelle più interessanti. Anche per questo tipo di progetti non mancano le risorse europee. Nel Quadro strategico per la politica culturale dell’UE gli investimenti atti a diffondere innovazioni digitali sono esplicitamente previsti.

Serve programmazione tra eventi

 Altre criticità, più tradizionali, riguardano la necessità di promuovere un turismo “maturo”, colto, consapevole, motivato a fermarsi più notti, diverso da quello attuale, spesso occasionale e discontinuo nel corso dell’anno. È un tema che investe un po’ tutte le città d’arte italiane, a partire da Venezia, della quale dobbiamo cercare di condividere il destino il meno possibile.

Uno strumento più che ragionevole, ma che in questi anni non è mai stato allestito come sarebbe stato necessario, è una programmazione culturale che garantisca un calendario annuale compatto di grandi eventi, originali, successivi. Un calendario che dovrebbe essere fatto conoscere a livello nazionale ed internazionale.

Esso dovrebbe affiancare le nostre stagioni operistiche, teatrali e musicali, così da creare un continuum di attività culturali ed artistiche e di spettacolo che duri tutto l’anno, coinvolgendo tutti i soggetti pubblici e privati in grado di proporre iniziative di alto livello. Anche qui, valgono le indicazioni europee: sostenibilità, cooperazione, collaborazione tra soggetti diversi.

Un’offerta varia e ben comunicata

Un mito da sfatare è quello della notorietà internazionale della nostra città. Il balcone di Giulietta e l’Opera non sono poca cosa, ma non possono essere i soli motori di attrazione turistica internazionale. La rendita di visitatori che ci garantiscono tende a oscurare altre esperienze estetiche e culturali possibili. Accanto al turismo pop e a quello dei melomani, Verona ha bisogno di richiamare flussi di visitatori dagli interessi più articolati, in grado di apprezzare la profondità della nostra storia antica e medievale, ma anche i richiami di grandi mostre connesse alle espressioni artistiche più innovative.

Si tratta, in altri termini, di studiare l’articolazione del nostro patrimonio culturale in relazione alla segmentazione della domanda turistica potenziale. E di promuoverlo riprogettando le nostre politiche di marketing urbano mediante campagne di comunicazione efficaci, moderne e mirate.

Poesia, Shakespeare, Risorgimento

Qualche esempio si può fare a partire da iniziative già esistenti o proposte in passato. Un Festival shakespeareano spalmato sull’intero anno, ad esempio, grazie alla collaborazione della Università di Verona, delle compagnie teatrali amatoriali, delle scuole, delle istituzioni culturali; e alimentato, promozionalmente, dal mito di Giulietta.

Un Festival internazionale di poesia, complementare a quello mantovano di letteratura, che già si svolse alcuni anni fa, nelle piazze veronesi e nelle ville della Valpolicella, grazie alla Società Letteraria in collaborazione con l’Istituto Internazionale per l’Opera e la Poesia e che richiamò a Verona, nel corso di alcuni anni, tutti i più importanti poeti italiani e molti europei, tra il quali il grande Evgenij Aleksandrovitch Evtuschenko, per fare un nome.

Le prossime iniziative organizzate dal Mudri – Museo diffuso del Risorgimento per ricordare la battaglia di Custoza.

Altre proposte potrebbero venire da progetti in gestazione, come il progetto del Mudri, Museo Diffuso del Risorgimento, che lega in rete decine e decine di comuni veronesi, mantovani e bresciani e che prevede, per Verona, l’adesione alla decima area del Quadrilatero, sostenuta dai Comuni di Verona, Peschiera, Mantova e Legnago. Un progetto che avrebbe un bacino potenziale di visitatori enorme, legandosi a quello straniero del Lago di Garda.

Il nodo di Fondazione Arena

Da anni, troneggia sul campo il nodo di Fondazione Arena: non è una specificità veronese. La gestione degli ex 13 enti lirici nazionali ha rappresentato in questi anni un problema più o meno grave per tutte le fondazioni nate da essi e che avrebbero dovuto avvicinare ad esse il sostegno dei privati. Senza grande successo, se escludiamo le fondazioni bancarie.

Fondazione Arena è una impresa che nel 2019 – l’ultimo anno “normale” – viveva con 24 milioni di ricavi da bigliettazione e 18 di contributi pubblici. 1200 dipendenti provvisti di rappresentanze sindacali combattive. Un colosso nell’industria dello spettacolo controllato dal ceto politico locale. A volte bene, a volte, specialmente in passato, male. Un prestigio internazionale enorme.

Un prodotto specificamente nazionale – l’opera – sostanzialmente fuori mercato per ragioni strutturali e quindi inevitabilmente – e giustamente – sovvenzionato, per farlo vivere.

Un’immagine dello spettacolo areniano tenutosi il 9 giugno 2021 per ringraziare i sostenitori aderenti alla raccolta fondi. Foto ©Ennevi.

Chiunque si accosti a questo ircocervo rischia di scottarsi. Non esistono ricette facili per migliorarne la produttività o i ricavi.

Se si punta troppo all’extra lirica, sacrificando l’opera ai concerti rock, non si ha più tempo di provare e la qualità scende. Se si esce dal repertorio più consueto e si fa un po’ più di innovazione, gli spalti si spopolano subito dei fedelissimi di Aida e Carmen.

Alcuni punti fermi vanno tenuti. Fondazione Arena per storia, prestigio e attrattività di pubblico nazionale ed internazionale deve rimanere un volano centrale della nostra offerta artistico-culturale. Anch’essa dovrebbe puntare a un equilibrio gestionale che permetta di stabilizzare la qualità e la quantità delle produzioni.

Di recente, la Fondazione ha beneficiato del Progetto “67 colonne”. Qualcuno potrebbe obiettare che le risorse raccolte – circa 1,5 milioni di euro – sono solo una piccola parte delle entrate e che da sole poco spostano della dimensione dei problemi. È un errore: sia perché si sottovaluta l’apporto di queste risorse, per nulla banale; sia e specialmente perché va evidenziata l’importanza culturale – ambientale – del progetto.

Per la prima volta, decine e decine di imprenditori veronesi, guidati da Gianluca Rana e Sandro Veronesi, hanno individuato nel meccanismo dell’Art Bonus non solo un’opportunità fiscale, ma anche un’occasione di solidarietà comunitaria ed identitaria basata su un elemento del nostro patrimonio culturale.

E’ legittimo pensare che a questi 67 imprenditori potranno aggiungersene altre decine o centinaia, magari rivolgendo il loro sostegno ad altri elementi di esso o all’intero insieme dei beni storico-artistico-culturali veronesi.

Una fondazione di partecipazione

Anche in questa chiave va letta il progetto di una Fondazione di partecipazione che gestisca tutto o in parte il patrimonio storico-artistico veronese, sull’esempio delle felici esperienze di Venezia, Brescia, Torino.

È un tema che merita un confronto corale con i cittadini e tra tutti gli stakeholder del settore turistico e culturale scaligero: amministrazione comunale, Fondazione Cariverona, categorie economiche specifiche e non, critici e storici dell’arte.

La Fondazione assicurerebbe la tutela collettiva dei beni conferiti temporaneamente dai soci pubblici, che ne manterrebbero la proprietà e una sostanziale autonomia gestionale, che permetterebbe programmazioni certe poliennali, la manutenzione dei beni, la rendicontazione puntuale della gestione da parte dei dirigenti.

A Brescia, “Alleanza per la culturaha raccolto attorno a Fondazione Brescia Musei ingenti risorse da tutti i principali imprenditori locali. Un’esperienza sulla quale merita riflettere, perché evidenzia come la valorizzazione delle risorse di un territorio è tanto maggiore quanto più esse sono concepite, sulla scorta dei modelli progettuali europei, come parti di un sistema legate da relazioni di cooperazione, collaborazione, resilienza, sostenibilità.

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