Se siete in cerca di una meta inusuale, a un prezzo abbordabile, e soprattutto non ne potete più di località un tempo affascinanti ma ora tragicamente snaturate dalle orde di turisti, l’Eritrea potrebbe rivelarsi una magnifica sorpresa. Come prima cosa, preparatevi a una serie di domande da parte dei vostri conoscenti, tipicamente “ma cosa ci vai a fare in Eritrea?”, seguita dall’intramontabile “ma non è pericolosa?” e dalla sempre valida “ma con tutti i bei posti che ci sono in Italia, proprio in Eritrea devi andare?”. Ma infatti, perchè andare fino alle isole Dahlak per fare una nuotata, quando a un tiro di schioppo da casa ci sono i Lidi Ferraresi?

Dunque, sfatiamo subito la convinzione diffusa che l’Eritrea sia pericolosa: non lo è affatto. La gente è ospitale ma discreta, socievole ma tutt’altro che invadente. Giro per il mercato di Asmara da sola, senza mai sentirmi in pericolo. Mi fermo a osservare delle donne che brigano per fare il caffè (che per inciso è buonissimo, e la cui preparazione richiede un rituale molto complicato e affascinante), mi invitano a berlo con loro, mi fanno assaggiare ogni sorta di frutta, semi, dolcetti senza mai provare a farmi comprare qualcosa dalle loro bancarelle. Quando sto per andarmene, chiedo se devo qualcosa: loro ridono, mi rispondono in italiano “Sei nostra ospite, benvenuta ad Asmara” e mi congedano con mille sorrisi. Ed eccomi conquistata dal popolo eritreo.

Asmara sarebbe una città incantevole, se non fosse che sembra in procinto di sbriciolarsi da un momento all’altro. I magnifici palazzi, cinema e caffè costruiti dagli italiani in epoca coloniale sono ancora lì, a conferire un’aria vagamente familiare e molto rilassata alla città, ma sono ridotti piuttosto male, visto che da allora non sono quasi mai stati ristrutturati. Di recente Asmara è diventata patrimonio UNESCO, quindi c’è speranza che questa bellissima città possa rifiorire come merita.

La famosa littorina, ferma in deposito ad Asmara ad accumulare ruggine, era un prodigio d’ingegneria per il 1935, quando percorreva la tratta ferroviaria da Asmara alla città portuale di Massaua superando un dislivello di circa 2.400 metri. Sarebbe interessante ripristinare il traffico su questa linea, restaurando l’automotrice originale per i turisti (e perchè no, anche per i locali); purtroppo il turismo è scarso, e la dittatura (così mi spiega la mia guida) soffoca qualunque iniziativa imprenditoriale. L’economia è immobile, la gente ha perso la fiducia nel futuro, i pochi che hanno un po’ di denaro da parte lo usano per andarsene, non per investire in qualche aleatoria attività commerciale. La fine della guerra con l’Etiopia ha fatto diminuire i prezzi delle merci, adesso il costo della vita è più sostenibile, ma i giovani si precipitano in massa verso le frontiere appena riaperte per iniziare una pericolosa odissea verso l’Europa. Come biasimarli se cercano una vita migliore di quella che offre un regime dittatoriale opprimente e inaffidabile? L’Eritrea di oggi è una grande occasione non sfruttata: un governo che avesse a cuore il bene del Paese ne vedrebbe le fantastiche opportunità turistiche e supporterebbe qualsiasi iniziativa che le valorizzasse. Ma purtroppo non è questo il caso.

La città vecchia di Massaua è deserta, e i bellissimi palazzi in stile moresco sono stati crivellati dalle cannonate della guerra. Quanto patrimonio culturale distrutto anche qui!

Al porto mi fermo in un hotel di lusso a bere un caffè prima di salire sulla barca che mi porterà alle isole Dahlak. La piscina dell’hotel è una pozza limacciosa piena di zanzare, che prosperano nel clima caldissimo e umido; le stanze dell’hotel sono tutte vuote, e alcune cameriere, vestite di tutto punto, se ne stanno sedute nel porticato a fissare l’orizzonte come tanti Giovanni Drogo in attesa dei Tartari. È un luogo veramente surreale.

Trascorro tre giorni in tenda su un’isoletta disabitata delle Dahlak. Il mare è stupendo, e il nostro omino tuttofare, inspiegabilmente vestito con una maglietta con scritto “Basta Prodi!” con la facciona dell’ex premier, va a pescare e ci prepara delle magnifiche grigliate. 

Ultima tappa, Keren, una città musulmana, con un mercato del bestiame che da solo vale tutto il viaggio. Gli uomini in abiti tradizionali bianchi e lunghe barbe trattano la compravendita di centinaia di dromedari; una paio di donne con il velo strattonano delle capre (giustamente recalcitranti) verso un destino plumbeo per le povere bestiole; ma il mio afflato solidale evapora la sera al ristorante, quando scopro che c’è il capretto arrosto. Anche a Keren la gente è ospitale e rilassata. Prendono con filosofia i numerosi black-out della serata, che in tutta l’Eritrea sono ordinaria amministrazione da anni: chi può permetterselo ha un generatore, gli altri attendono pazientemente al buio e trovano modo di occupare il tempo. Infatti hanno tutti molti figli.

Insomma, ci sono mille ragioni per andare in Eritrea: un popolo bellissimo, delle città con architetture che meritano di essere riportate ai passati splendori, paesaggi aspri e un mare fantastico, e una delle cucine più buone del mondo. Non è un viaggio facile, richiede spirito di adattamento e comprensione per una storia molto travagliata. Ma se vorrete conoscere questa regione sarete piacevolmente sorpresi da una meravigliosa accoglienza che vi farà sentire a casa fin dal primo giorno.