Quali sono i diversi modi in cui le persone affrontano l’isolamento causato dalle misure di contenimento del Coronavirus? Come veniamo condizionati dal costante bombardamento di notizie sulla pandemia? Stiamo impazzendo senza rendercene conto? Dallo studio della counselor Antonella Galvani sono passate moltissime persone nel corso degli anni. L’esperta ha voluto condividere con noi la sua esperienza e le sue osservazioni su come stiamo affrontando questo periodo senza precedenti nella nostra storia.

Antonella Galvani

«Questo periodo di isolamento ha avuto ripercussioni molto diverse su tutti noi, il modo in cui ha inciso sul nostro stato d’animo varia enormemente in base al momento della propria vita in cui ci si trova» racconta Antonella, che esercita la sua professione dal 2009. «Per alcuni, ad esempio, è stato in un certo senso un sollievo, perché ha messo in pausa la loro vita, creando un alibi per non affrontare una decisione importante che dovevano prendere, ed ora hanno l’opportunità per rimandarla o anche evitarla del tutto. In questo periodo, proprio per il fatto che si sta ormai protraendo da diverse settimane, lo stato d’animo di molte persone è passato attraverso varie fasi: all’inizio c’è stata per molti una fase di negazione, di “ci rinchiudono in casa per una banale influenza”. L’isolamento prolungato, però, ha un effetto importante che non va sottovalutato: ci rende più ricettivi, amplificando tutte le sensazioni che proviamo. Quindi il costante bombardamento di notizie allarmanti, le statistiche quotidiane su morti e contagiati, le immagini dei camion militari che trasportano le bare, ci colpiscono con una forza ancora maggiore di quanto farebbero in un periodo “normale”, amplificando la nostra paura.»

In quali modi le persone stanno gestendo questo stato d’animo di isolamento e paura?
«Questo continuo martellamento di bollettini sulla tragedia della pandemia ci tiene costantemente in contatto con la paura ed il dolore; molte persone seguono assiduamente i notiziari senza mai prendersi una pausa per fare dell’altro, e questo finisce per creare una sorta di dipendenza ossessiva che alla lunga è deleteria. La reazione a tutto questo è stata tipicamente quella esposta da Greenberg, Solomon e Pyszczynski e conosciuta come Terror Management Theory: il conflitto fra l’istinto di sopravvivenza e la presa di coscienza che la morte è inevitabile e imprevedibile crea uno stato d’animo di terrore, che viene gestito aggrappandosi con forza a quei valori culturali che vengono percepiti come più significativi e duraturi della realtà biologica: ne abbiamo avuto un esempio con i canti sul balcone, le bandiere italiane esposte per manifestare il proprio attaccamento alla patria, o con la manifestazione di un improvviso fervore religioso. Molte persone sono addirittura atterrite all’idea che l’isolamento finisca e che dovranno tornare ad uscire: hanno paura di ammalarsi. Una particolarità che ho riscontrato molto spesso fra le persone che si rivolgono a me è che il disagio viene trasferito nella dimensione onirica e ricade sulla qualità generale del sonno, che è notevolmente peggiorata. Alcuni faticano ad entrare in contatto con stati d’animo come la paura o la rabbia a livello consapevole, e quindi queste sensazioni trovano espressione nei sogni. In generale il modo in cui si  sta reagendo a questa situazione è legata al periodo della vita in cui ci si trovava prima che l’isolamento iniziasse, e naturalmente le persone che si hanno intorno e con cui si condivide questo periodo fanno una grande differenza. Ci sarebbe bisogno di bellezza e di notizie positive, per ricordarci che esiste dell’altro oltre alle notizie tragiche. In questo periodo di grande stress e angoscia emergono le fragilità nelle persone, e ci vorrebbe una “controparte” per bilanciare questa massa di notizie ansiogene che ci bombardano ogni giorno.»

Quali sono le cose di cui le persone ti dicono di avvertire di più la mancanza?
«Principalmente manca il contatto umano, il fatto di vedere la persona nella realtà e non sullo schermo di uno smartphone; e poi la possibilità di fare sport, la vita quotidiana, le abitudini. Per altri invece questo periodo è un’opportunità per fare ciò che non avevano mai il tempo di fare, come leggere, dedicarsi alle proprie passioni, fare una cernita di ciò che vogliono tenere nella propria vita e ciò che vogliono eliminare, anche in un senso più ampio ed esistenziale. Molti stanno bene anche da soli, e apprezzano questo momento di pausa, prima la vita era troppo frenetica e concitata per loro. Il silenzio ed il vuoto vengono vissuti in modi diametralmente opposti: ad alcuni appaiono trasmettono un senso di quiete e pace, in altri suscitano paura e malinconia. Ognuno ci proietta dentro il proprio stato d’animo.»

Come sta incidendo questa “convivenza forzata” sulle coppie e sui bambini?
«La vita di coppia è un impegno, nel senso che richiede dedizione e “lavoro” da parte di entrambi. L’impatto del lockdown sulle coppie dipenderà molto da come funzionavano prima. Sicuramente questa situazione agirà da “accelerante” di un processo che era già in corso precedentemente: se la coppia aveva dei problemi che in qualche modo stava evitando di affrontare, adesso i nodi vengono al pettine. Se invece era solida, il fatto di passare del tempo insieme può renderla ancora più affiatata. Conosco coppie felici che hanno scelto, per motivi personali o di lavoro, di trascorrere la quarantena in case separate. Questo non significa che siano in crisi, ma che all’interno di ogni coppia c’è un equilibrio diverso. Per quanto riguarda i bambini, questa situazione può rivelarsi molto pesante: l’impossibilità di uscire e incontrare i loro coetanei è un fattore di stress per loro; inoltre, in alcuni contesti familiari si trovano ad essere il bersaglio delle frustrazioni o delle tensioni dei loro genitori.»  

Che cosa può rendere il ritorno alla “normalità” più costruttivo?
«Volendo, ogni situazione offre una grande opportunità per imparare. Questa pausa forzata ci ha dato il tempo e lo spazio per “ascoltarci” e decidere di vivere più in sintonia con noi stessi. Sta a noi non disperdere energie nel complottismo, nella rabbia, nella “caccia ai colpevoli” di turno per rovesciarci sopra la nostre frustrazioni. L’arrovellarci su come sarà il futuro e sulle paure nei confronti di esso ci induce a disperdere energie preziose in qualcosa che ancora non esiste. Vogliamo davvero che la nostra vita torni esattamente come era prima? Questo è il momento di chiedercelo con attenzione e di cogliere l’occasione per cambiare ciò che non vogliamo più. Cerchiamo di ascoltarci: quando abbiamo la sensazione di non provare rabbia o paura, è davvero così? O stiamo piuttosto evitando di affrontare il problema? Direi che è impossibile non provare nulla di fronte a questa situazione. Sarebbe opportuno non guardare troppo i notiziari: come ho detto, in questo momento la nostra sensibilità è amplificata, e anche le emozioni degli altri ci rimangono in un certo senso attaccate addosso, gravando ulteriormente il nostro stato d’animo già provato da un clima di costante paura e ansia; affrontiamo piuttosto le situazioni man mano che si presentano, rimanendo nel presente, nel “qui ed ora” senza perderci in elucubrazioni su come sarà il futuro. E soprattutto, concediamo spazio alla bellezza, alle buone notizie, a ciò che ci fa stare bene, facciamo liste delle cose che desideriamo fare quando torneremo ad uscire.»

(Foto di Sarah Baldo)