Con l’ultimo decreto PNRR – DL 19 del 2 marzo 2024 – si compie l’ultimo strappo, ma siamo certi che sia ultimo solo “per ora” – del Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara nei confronti della scuola italiana. Infatti, a meno di una settimana dallo svolgimento delle prove per le classe terminali delle superiori di II grado, è stato comunicato che gli esiti delle prove INVALSI saranno inseriti nel curriculum dello studente.

Quindi, dopo che per anni i ministri dell’istruzione dei vari Governi avevano assicurato e rassicurato che l’INVALSI sarebbe rimasta anonima e non avrebbe avuto conseguenze sul modo della scuola, oggi, con la solita scusa di prendere i soldi dall’UE – che oramai giustifica qualsiasi atto proditorio o prevaricante – si sta giungendo al vero scopo per cui è stata predisposta e imposta l’INVALSI: la misurazione esterna dell’alunno, del lavoro del docente, delle singole scuole.

Punta dunque a diventare strumento di valutazione del contesto scolastico, come risulta dalla recente indicazione del Governo di puntare a percorsi quadriennali e non quinquennali. Come segnala anche Panorama, i risultati dei test INVALSI non migliorano sostanzialmente nel quinto anno rispetto al precedente. Poco importa che, con un anno in più, si possano approfondire e ampliare le conoscenze e che si possa continuare ad accompagnare il processo di crescita dal punto di vista educativo: non sono elementi valutabili dall’INVALSI, e quindi non esistono.

Un metodo di dubbia efficacia

Punta a diventare strumento di valutazione del lavoro dei docenti, che finalmente saranno misurabili e valutabili. Il problema, però, è che il successo di un docente non si misura in questo modo, visto che il ragazzo solo quando sarà adulto potrà dimostrare concretamente di aver acquisito conoscenze, competenze e abilità anche dal punto di vista umano e relazionale; ma, soprattutto, il docente delle classi terminali viene valutato non per il suo lavoro, ma anche e soprattutto per il lavoro svolto – o non svolto – nel percorso scolastico precedente.

E poi: se il metro di misura è uguale per tutti, come posso pensare che un ragazzo proveniente da un contesto regionale, culturale, famigliare, sociale difficile abbia gli stessi risultati di un ragazzo che di questi problemi non ne ha? Quanto davvero può incidere un docente su queste persone, magari in una classe da 30 alunni? Un docente di una classe di liceo classico con un numero ridotto di alunni “di buona famiglia” avrà così una valutazione molto alta; un insegnante in un professionale “di frontiera”, che già deve lottare anche solo per far venire a scuola i ragazzi, molto basso. Siamo davvero sicuri che quest’ultimo non sappia fare il suo lavoro?

Anonimato off

Finisce poi, come detto, l’anonimato, perché i risultati dell’INVALSI saranno inseriti nel curriculum dello studente, risultando così incisi sulla pietra e visibili. Dato che queste cose non accadono mai per caso, possiamo ragionevolmente scommettere che, un giorno non lontano, questi valori diventeranno punteggio di accesso per l’università o pubblici concorsi. Una sorta di Gaokao in salta italiota, insomma.

Questa, di fatto, non è che l’ultima tappa di un percorso fatto a colpi di decreto e in corso d’opera, dettato da una fretta che nulla a che fare con le esigenze della scuola ma a dinamiche tutte esterne, quasi tutte riconducibili al PNRR: il liceo del Made in Italy (un fallimento epocale); il nuovo sistema di orientamento – con un DM n. 328 del 22-12-2022 ma operativo a scuola solo a ottobre 2023 – che toglie almeno 30 ore dal monte ore della classe; l’Educazione Civica, fatta al solito a costo zero, ed entrambe calate sempre ad anno in corso (si veda l’articolo in merito sempre su Heraldo); ed ora l’INVALSI.

Insomma, sembra proprio che le sorti dei nostri ragazzi siano incidentali nel “progetto scuola”. Ai tempi del Ministro Gelmini (2008-2011) la scure dei tagli era calata spietata perché, di fatto, le riforme erano dettate dal Ministro dell’Economia Giulio Tremonti; oggi, a dettare il cambiamento è l’agenda del PNRR.

«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi»

Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne “Il gattopardo”

© RIPRODUZIONE RISERVATA