“Prevenire è meglio che curare” è il mantra di chi dedica la propria vita alla medicina, soprattutto se si tratta di patologie infantili.

In questa chiacchierata, la dottoressa Magdalena Cuman, specializzata in chirurgia cardiaca pediatrica, spiega la sua professione e cosa l’ha spinta a intraprendere questa strada.

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Dottoressa Cuman, la sua è una professione estremamente delicata e specifica. Come ci è arrivata?

«La chirurgia cardiaca, soprattutto sui neonati, richiede sicuramente un percorso molto lungo e complesso, ma dà tantissime soddisfazioni. Io mi ci sono avvicinata dopo essermi specializzata in cardiologia per gli adulti. Concentrarmi sui neonati, però, permette di prevenire cardiopatie che, se prese per tempo, possono essere limitate se non addirittura risolte.»

Magdalena Cuman, cardiologa pediatrica

E come si riesce a contrastare queste patologie in esseri umani così piccoli?

«Si tratta sempre di interventi molto delicati e in dimensioni micro. Normalmente alcuni indizi si hanno già piuttosto chiaramente già a partire da analisi sul feto.

Altrimenti, appena nati, con i controlli di routine, si può indirizzare il neonato ad un’ecocardiografia, specifica per il cuore.»

Questo tipo di esame non è molto ricorrente, o mi sbaglio?

«Diciamo che è generalmente una persona non lo conosce e non vi si sottopone, a meno che non riscontri delle condizioni particolari o abbia dei sospetti a partire da anomalie nel battito o nella pressione, quando magari il cuore comincia ad affaticarsi.»

Aveva sempre sognato di fare questo mestiere?

«La medicina è sempre stata di casa, dato che mio padre è medico di famiglia e dello sport. La mia passione da più piccola, però, erano le lingue, quindi al liceo mi ero focalizzata su queste. Giusto per mettermi alla prova, dopo la maturità, ho fatto il test d’entrata a medicina. E non sono entrata in lista… ma per così poco che l’idea di diventare dottoressa è diventata un obiettivo. Ed è lì che ho cominciato a immaginare il mio futuro nella medicina anch’io.»

E come ha fatto a prepararsi per essere poi in linea con una carriera nelle STEM?

«Senza dubbio il liceo mi ha insegnato un metodo di approccio allo studio. E, da quella “quasi entrata”, avevo maturato ormai di voler cambiare strada. Così ho pensato di prendermi un anno di tempo, un gap dedicato a un approfondimento verticale. Allora mi sono iscritta a biologia, così da recuperare qualche conoscenza specifica.»

Non la spaventava l’idea di affrontare così tanti anni di studio?

«Sicuramente non ho preso questa decisione a cuor leggero (ride, nda). Sono 6 anni di base, 4 di specializzazione e uno, ulteriore, di applicazione. Ma è un percorso che bisogna abbracciare con tranquillità e serenità, un passo per volta. E, direi, che più di tutto servono convinzione e forza di volontà. Se è qualcosa che ti fa svegliare felice, al mattino, è una passione vera – ed è la scelta giusta.»

Cosa direbbe alla Magdalena di una decina di anni fa o prima di cominciare questo percorso?

«Non sono un’amante della frase “Se tornassi indietro, rifarei tutto”. Credo che la vita sia un insieme di incontri, di opportunità, di cambi di rotta non prevedibili. Però le consiglierei di ascoltarsi sempre, di credere nei suoi sogni, ma di non farsi troppi programmi.

Ci penserà la vita a scombinare i piani.»

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