In questi giorni davvero strani, ci si scopre stranamente altruisti, meno concentrati su noi stessi e più attenti all’altro, più disponibili a fare quella telefonata a lungo rimandata e pronti a piccoli favori a chi ne ha bisogno. Le nostre preoccupazioni sono dedicate principalmente ai nostri anziani (genitori, parenti, anche solo vicini di casa), per la loro fragilità e per le percentuali impressionanti di mortalità. Un altro pensiero va ai più piccoli, che faticano a comprendere perché non si possa andare al parco, diventano nervosi e assorbono tutta l’ansia e le paure degli adulti, per poi restituircele ingigantite in attacchi isterici che mettono alla prova anche le mamme più zen.

Resta scoperta tutta una generazione che, apparentemente, sembra vivere bene anche la clausura, facilitata dalla padronanza dei mezzi digitali e dall’abitudine a passare lunghe ore davanti a uno schermo. Ci piace pensare ai ragazzi come ad adulti con meno esperienza, simili a noi e che quindi di noi non hanno veramente bisogno. Ma vogliamo grattare sotto la superficie della loro serenità, per vedere e sentire cosa hanno da dire. Ne parliamo con Francesco Leoni, 18 anni, quinto anno di liceo scientifico al Messedaglia di Verona. Un ragazzo simpatico e divertente, con una testa piena di capelli e opinioni, uno come tanti, in cui molti si potranno riconoscere.

Francesco Leoni

«Prima del virus, oltre che a studiare, mi dedicavo allo sport, alle uscite con gli amici e con la fidanzata. La mia vita si svolgeva principalmente fuori casa, per gran parte proprio all’aperto, ed era fitta di impegni. Con l’epidemia, nella mia vita è entrata una nuova realtà a cui può essere molto complicato adattarsi. Da quando il governo ha deciso di segregarci all’interno delle mura domestiche, le giornate sono diventate lunghe e monotone e siamo stati costretti a inventarci di tutto. Tutti impastano e infornano, solo per abbattere la noia; perfino io ho imparato a fare un gran tiramisù! E poi ho riscoperto il piacere di una bella lettura e ammetto di aver imparato a conoscere meglio due persone che ho scoperto abitare nella mia stessa casa: mamma e papà.»

Cosa ti manca di più della tua vita “normale”?

«Ho molta nostalgia delle uscite con gli amici, le stupidate di ogni giorno, battute cretine, scherzi e complicità. Mi manca molto il contatto fisico, specie con la mia ragazza, che adesso sono costretto a sentire tramite videochiamata. Internet è sicuramente di grande aiuto, ma non può sostituire l’incontro in carne e ossa con gli amici. Anche lo sport all’aria aperta mi manca; faccio esercizio in casa ma non è lo stesso. Sudare e far fatica sono solo una piccola parte di quel che ti dà uno sport di squadra, fare attività all’aperto o in palestra.»

E la scuola? In un certo senso, questo momento senza aule e professori è una specie di prova generale per l’università, un buon allenamento all’autogestione, per imparare a organizzarsi il lavoro. Che ne pensi?

«Non è stato semplice. Nella formazione a distanza, lo Stato ha dato alle scuole “massima autonomia decisionale”; tutto molto bello ma la mia impressione è che, di fatto, le abbia abbandonate a loro stesse, senza direttive su come e quando svolgere le videolezioni che, teoricamente, dovrebbero sostituire le normali ore scolastiche. Risultato: una gran confusione, con ogni scuola a gestire il problema da sola e in modo diverso; un casino enorme tra gli studenti e soprattutto i professori, già più ‘imbranati’ con le tecnologie e poi messi in difficoltà dalla completa assenza di dialogo con i colleghi. È capitato ad esempio che due professori della stessa classe organizzassero lezioni in contemporanea, perché mancava un piano comune pensato e discusso dal Consiglio. Fortunatamente nella mia scuola, dopo un primo periodo nevrotico, le videolezioni sono state organizzate ricalcando il programma delle lezioni che venivano svolte in classe. Resta il problema della connessione internet insufficiente e poco uniforme sul territorio, che non permette di creare una situazione di apprendimento omogenea. Senza parlare di tutte le famiglie (e i docenti!) che non hanno gli strumenti per le videolezioni. Ho sentito che il governo ha stanziato dei fondi destinati all’acquisto di pc e tablet e altri da destinare agli “animatori digitali”. Speriamo bene.»

Mi vengono in mente i ragazzi con disabilità fisiche o cognitive, quelli che dalla scuola imparano anche una difficile socialità, che hanno un bisogno speciale di vedere, toccare e parlare con i propri simili. L’impatto psicologico di questa distanza si fa sentire su tutti. E per chi, come te, ha una maturità ancora molto nebulosa all’orizzonte, forse anche di più.

«Certo. Sia noi studenti che i professori condividiamo la nuova situazione di quarantena che necessita di tempo fisiologico per diventare la “nuova normalità”. Seguendo le lezioni da casa è molto più facile distrarsi, accantonare le videolezioni e lo studio, per la felicità dei videogiochi, Netflix e altre piattaforme di streaming, libri, tv o qualsiasi cosa non sia prettamente scolastica. Quanto all’esame, beh è ormai molto probabile la conclusione anticipata dell’anno scolastico e fa riflettere l’indecisione del Ministro dell’Istruzione sullo svolgimento della maturità. Per ora si sa solo che ci saranno commissioni completamente interne, con un presidente esterno. Ma non si sa niente sulle prove scritte, girano tante fake news e ognuno spara la sua idea. Personalmente ritengo che la gestione del ministero e del governo metta tristezza e ansia nella testa dei maturandi e dei professori, che vorrebbero chiarezza e prese di posizione più decise e chiare.»

In questo momento, dobbiamo sforzarci di trovare le cose belle e di esorcizzare le paure dando loro un nome e una faccia, in modo da sparargli contro pirole dalla nostra cerbottana mentale. Mi dici le tue?

«La cosa davvero bella che ho imparato da questa quarantena è stato rallentare, restare da solo con me stesso, cosa non da poco in una società frenetica come la nostra. La mia paura è banalmente l’incognita dell’esame di maturità ma guardo oltre: con la cancellazione dei test d’ingresso e degli open day, chissà come riusciremo a iscriverci all’università.»

Francesco non ha ancora deciso cosa farà da grande, se il medico, il commercialista o l’avvocato. Parlando con lui, guardando nei suoi occhi chiari, determinati e taglienti, penso che il miglior uso di un sorriso beffardo come il suo sarebbe a Scienze Politiche… potrei aver appena intervistato il futuro Presidente del Consiglio.