Clarisse arriva dal Congo ma ormai è una veronese doc. Attraverso la cucina ha unito, fuso, il lavoro di mediazione culturale e la passione per le ricette che propone sul suo sito e a breve grazie a un libro di video-ricette. Ci racconta in questa intervista la sua storia, le sue idee, le sue passioni e svela un lato solidale della Verona che i media spesso dipingono come pco accogliente.

Nella tua biografia sul sito si parla di una nonna italiana, raccontaci qualcosa di lei.
«Quando parlo della mia nonna italiana intendo dire mia suocera. Nei primi momenti della mia permanenza in Italia, mia marito è dovuto ripartire per l’Africa dopo qualche settimana per lavoro. In quel momento io mi sono ritrovata ad abitare con mia suocera per qualche mese. La situazione era complessa per una serie di motivi: ci conoscevamo da poco tempo e dovevamo ancora entrare in confidenza, io ero in Italia per la prima volta e non ero certo autonoma nella gestione della mia vita, lei parlava solo italiano (e dialetto veneto) mentre io parlavo solo francese e alcune lingue africane, pertanto la comunicazione non era facile.   
In questi mesi, lei si è impegnata moltissimo per facilitarmi e, poco a poco, si è creato un legame importante tanto che io ora la chiamo poi anche mamma. È stata lei a insegnarmi i primi segreti della cucina italiana e veneta come fare la pasta, gli gnocchi, la pearà, i risotti e molte altre prelibatezze.»

Come mai sei arrivata a Verona e come ti trovi?
«Ho conosciuto mio marito in Congo dove lavorava come cooperante mentre io lavoravo per una banca internazionale, poi abbiamo viaggiato un po’ per l’Africa prima venire in Italia. Sono arrivata a Verona – Legnago per la precisione – perché mio marito è originario di qui. Inizialmente è stato molto duro perché non conoscevo nessuno e non parlavo la lingua. 
Inoltre l’atteggiamento medio che ho riscontrato nei miei confronti, e anche verso gli africani in genere, è tendenzialmente di distacco. Prima di entrare in confidenza con gli italiani (i veneti in particolare) ci è voluto un po’ di tempo. Solo con alcuni, sono riuscita ad avere un rapporto sano fin da subito.»

Mediazione culturale e cucina, hai unito due passioni e competenze, cosa c’è di simile tra loro?
«Io credo che tra mediazione culturale e cucina non ci sia molto di simile ma le due cose possono andare insieme per interagire l’una con l’altra.  Mi spiego: la mediazione culturale prevede primariamente una conoscenza dell’altro, a vari livelli (emotivo, storico, personale…) della quale non si può fare a meno se si vuole intraprendere un percorso facilitante. 
La cucina è una cosa che ho scoperto essere molto intima per gli italiani in quanto sono molto orgogliosi della loro cucina e hanno, in genere, una conoscenza approfondita delle tecniche. Quando ero in Africa, ero affascinata dalle discussioni sulle ricette della nonna che gli italiani intavolavano rispetto ai piatti che cucinavamo o alla pizza. Sembrerà strano ma all’estero è difficile trovare una conoscenza di base della cucina così diffusa nelle persone.   
Intendo la cucina come uno strumento culturale di conoscenza tra persone e popoli differenti. Nell’accostare la mediazione culturale alla cucina ho tenuto conto del fatto che quando mangiamo, introduciamo il cibo dentro di noi, lo analizziamo assaggiandone i profumi e i sapori e lo facciamo nostro. È un meccanismo importante simbolicamente per l’avvicinamento delle persone l’una all’altra per due fattori principalmente: in primo luogo il cibo è un bisogno primario e tutti ne abbiamo bisogno, in secondo luogo, con la cucina non si fa una mediazione solo concettuale, esprimendo idee e punti di vista e instaurando relazioni.
La conoscenza che passa attraverso il cibo è uno stimolo fisico che dà piacere immediato, sia in termini di gusto sia in termini di sazietà.   
Per questo credo che la cucina, pur essendo una cosa differente, abbia molto a che fare con la mediazione.» 

Verona non è certo definibile città accogliente, cosa pensi del profilo “razzista” della nostra città?
«In realtà non definirei Verona una città razzista. Ho vissuto molte situazioni felici e non posso dimenticare che Verona (e Legnago) è la città che mi ha accolto. Sicuramente il circuito mediatico che fa riferimento ai migranti africani non esprime concetti facilitanti in questo periodo e molte persone si “adeguano” a questo tipo di pensiero perché bombardate quotidianamente. In realtà, anche i veneti, quando conoscono una persona straniera e capiscono il valore che ha, non hanno problemi a entrare in relazione con essa.»

La cucina può essere un ponte tra culture, come definiresti la tua personale cucina?
«Io in genere la definisco cucina “Fusion” in quanto la mia idea è di mescolare gli ingredienti e i sapori per avvicinare le persone per creare una ricchezza in termini di sentimenti. Valorizzare i sapori tipici di un luogo avvicinandoli a gusti esotici può essere una chiave per aprire le porte della relazione. Io parto prima dalle mie storie e da quelle penso ai piatti, credo che i miei piatti siano molto ricchi di sentimenti e di vissuti personali.»

Cosa pensi quando cucini e quando mangi quello che hai cucinato?
«Io penso prima di cucinare, parto dalla mia esperienza e penso agli ingredienti. Sono cristiana e quando cucino ascolto musica gospel. Questo “setting” mi aiuta a essere più coinvolta ed ispirata nella cucina.
Quando mangio, invece, penso ad assaporare i cibi per capire se effettivamente i significati che ho voluto trasmettere sono riconducibili al piatto che ho preparato. 
Mangio con piacere quelli che preparo e mi piace vedere che gli altri lo apprezzano.»

Progetti per il futuro?
«In realtà ci sono molti progetti e sto valutando che cosa fare di preciso. Per il momento ho un sito “Clarissecuisine.com” associato a una pagina Facebook e un profilo Instagram. Sto preparando un libro di storie e video-ricette che uscirà fra qualche settimana. Inoltre vorrei continuare a specializzarmi nella cucina frequentando corsi di alta formazione e nella mediazione culturale.   
Ho già scritto un progetto che si intitola “IN-FUSION” che ho presentato all’esame finale del corso per mediatori europei per l’intercultura che ho frequentato presso l’università Telematica degli studi di Firenze. È un progetto di mediazione culturale attraverso la cucina che coinvolge scuole, ristoranti, bar e comunità locali in genere con eventi e laboratori sulla mediazione e sulla cucina fusion. Mi piacerebbe metterlo in pratica ma per farlo ho bisogno di appoggiarmi a qualche ente che possa finanziarlo.»  

Cosa ti piace di Verona e cosa no?
«Di Verona amo molto la cucina, l’arte e la cultura che ho trovato in città. Mi piace la storia della città che ho studiato nelle scuole che ho frequentato in Italia e la multiculturalità che ho trovato nel mondo dell’associazionismo veronese che è molto attivo. Ho trovato sensibilità in molteplici situazioni che si organizzano nel terzo settore e che oltre a mostrare un impegno concreto dell’associazionismo dimostrano quanto sono frequenti gli eventi e le come le occasioni di inclusione sociale possano essere importanti. 
Devo ancora abituarmi al clima, in particolare alle nebbie della Bassa che mi mettono un po’ di malinconia. Ci ho messo un poco a capire i veronesi e la loro diffidenza iniziale. Subito pensavo che fosse un pregiudizio sulla persona ma poi ho capito che è una modalità culturale di approccio al diverso in generale.»  

Ti manca la tua terra di origine?
«Il Congo mi manca in generale anche se non posso dire che qui sto male. Nella mia vita ho vissuto in Congo, poi in Ruanda, poi in Burundi, poi in Benin e alla fine in Italia. Specifico questo perché non è solo il Congo, dove ho la mia famiglia ma anche tutti gli altri luoghi dove ho vissuto hanno portato una trasformazione nella mia persona e ogni Paese ha aggiunto qualcosa.
Mi manca un po’ l’approccio alla vita in generale che si ritrova in Africa dove le persone tendono a essere più socievoli e solari. Non dico che qui in veneto non ci sono persone socievoli, ma mi sembra che in Africa ci sia un approccio più immediato e sia più facile instaurare relazioni con le persone.» 

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