“Libera come una donna” è il cammino ideato da Valentina Costi e Barbara Cassioli, educatrici professionali, viaggiatrici e attiviste, che percorreranno un tratto della Via Francigena da Lucca a Roma per affermare la libertà personale delle donne e per smascherare tutte le forme di limitazione di tale libertà, ancora purtroppo presenti nella nostra società. Abbiamo incontrato Barbara in un momento particolare. Oggi, 8 marzo, il suo viaggio con Valentina doveva iniziare, ma con il nuovo decreto ministeriale che vieta qualsiasi spostamento, l’avventura deve solo essere rimandata. 

Barbara Cassioli

Partiamo con ordine. Che cosa ti ha spinto con Valentina a intraprendere un nuovo cammino?
«L’idea è nata perché quest’estate ho incontrato casualmente in un borghetto degli Appennini tosco-emiliani una ragazza che aveva già fatto diverse volte il cammino di Santiago e da lì è nata l’idea di farne uno insieme. Io e Valentina Costi abbiamo viaggiato tanto, per lo più in solitaria, e in quel momento abbiamo deciso di iniziare un percorso in due.» 

È la prima volta che fai una cosa simile?
«Si tratta di un’idea nata in modo istintivo dandole una valenza sociale. Sono una recidiva e in questo mese faccio sempre un viaggio… Proprio un anno fa, il primo giorno di primavera, il 21 marzo 2019, sono partita per un viaggio senza soldi dalla mia città, Bologna, fino a Lampedusa, a sostegno del progetto di Mediterranea. In quei giorni lessi un commento nel mio profilo Facebook di una conoscente che mi metteva in guarda, dicendomi di stare attenta perché con il troppo entusiasmo qualcuna in Turchia aveva trovato la morte. E ovviamente si riferiva a Pippa Bacca. Per me fu un commento molto doloroso perché avevo già le mie preoccupazioni rispetto all’autostop e in quel momento avevo bisogno di consigli pratici e non di ricordarmi che c’era stata una violenza sessuale e uno strangolamento. Quel commento rimase come una ferita. Partii comunque e feci il mio percorso.»

Pippa Bacca in viaggio

In che modo la figura di Pippa Bacca ha cambiato la tua vita?
«Casualmente nel periodo in cui conobbi Valentina lessi un articolo proprio su Pippa e lì ci fu un cortocircuito. Decidemmo che non aveva senso partire dalla Turchia perché quello che accadde a Pippa in quel Paese succede in Italia ogni tre giorni a donne che scelgono di avere un compagno e di vivere una vita ordinaria. Abbiamo voluto portare il problema dall’esterno all’interno: in realtà non è pericoloso in sé viaggiare facendo l’autostop, perché spesso il primo pericolo è all’interno delle nostre famiglie e delle mura di casa. Se seguiamo la nostra esperienza di assistenti sociali o se guardiamo le statistiche Istat, la maggioranza delle violenze avviene per mano di un partner o di un ex.»

Una prospettiva molto più concreta e vicina a tutti e tutte…
«Sì, ci impone una responsabilità, ma anche un lavoro. Se il pericolo fosse l’ignoto, noi sapremmo limitarci, ma la realtà è diversa. Si rende necessario quindi un lavoro culturale ed educativo perché il problema nasce spesso in casa. Si tratta però di una “buona notizia”: una cosa vicina, che conosciamo tutte, e di cui possiamo prenderci cura.» 

A causa della contingenza tra la Giornata internazionale delle Donne e l’emergenza Coronavirus si rischia di far passare sottogamba iniziative come questa. Il vostro viaggio ha una valenza sociale. Andare a piedi significa impiegare molto tempo e voler dare ampio spazio alla riflessione su una giornata come questa e sulla donna che si mette in gioco per attirare l’attenzione sulla libertà dell’universo femminile.
«Il nostro cammino vuole essere una metafora del cambiamento sociale che dobbiamo fare per ottenere un’uguaglianza di genere nella relazione tra gli esseri umani. Fare qualcosa di impegnativo tutti i giorni, che richiede una presenza mentale, è necessario, ed è un cammino culturale di cui tutti noi abbiamo bisogno. Vogliamo aprire un dialogo partendo da una esperienza personale e da una domanda: “Quali limitazioni ho percepito nella mia vita dovute al semplice fatto di essere donna?”. Un quesito che si può fare anche agli uomini o a chi non si rispecchia in uno di questi due generi. Finché non si sente sulla propria pelle una limitazione, nessuno di noi sarà totalmente libero. Finché ci si sente dire che non si può uscire da sole, che non si può scegliere con un gioco rispetto a un altro, non risolveremo questa questione. Limitare cosa è da maschio e cosa è da femmina intacca l’educazione di genere sin dalla tenerissima età. Noi partiamo da qui, chiunque voglia collaborare con noi è il benvenuto. Vogliamo sapere quali limiti ha trovato come persona e come li ha superati. Non abbiamo intenzione di dire alle persone come si fa, ma solo di sollecitare l’apertura di una conversazione su questo tipo di argomento. Vogliamo raccogliere storie di vita e scattare foto per fare una mostra itinerante per continuare poi a parlare di questo viaggio.»

Il cammino doveva partire oggi, l’8 marzo, e terminare il 31, giorno dell’uccisione di Pippa Bacca, avvenuta nel 2008. Un modo per ricordarla. Dove arriverete?
«Il progetto iniziale era arrivare il 29 marzo a Campo dei Fiori, a Roma e il 31 celebrare il ricordo di tutte le vittime di femmicidio. Con la questione Coronavirus il progetto è solo rimandato. Sposteremo la partenza, senza tappe intermedie per il divieto di assembramento, quindi tutto ci riporta alla nostra dimensione più piccola e intima.»

Valentina e Barbara

La Via Francigena è da sempre un percorso di pellegrini e viandanti, e per voi da Lucca e Roma sono 350 km: sembrano pochi, ma farli in cammino richiede un certo sforzo. È una via al femminile che pone l’attenzione all’itinerario anche come fattore determinante dello sviluppo del percorso umano che andrete a svolgere. Si inizia dalla sensibilità femminile vostra, delle donne e delle storie che incontrerete e si prosegue oltre. In questo momento di poca sensibilità, dove il virus ci costringe a prendere le distanze gli uni dagli altri, il vostro messaggio è quello di unirsi, ritrovarsi, alla ricerca di un nuovo modo “per sentirsi parte” del mondo. È così? 
«Vivendo in una società individualista spesso pensiamo che quello che capita agli altri non ci riguarda, ma la natura ci insegna che siamo tutti collegati. Se la tua vicina di casa subisce maltrattamenti tutte veniamo danneggiate da questo comportamento che è, ritorno a dire, culturale. Se riuscissimo a intervenire così prontamente come sta succedendo giustamente con il Coronavirus anche su altri allarmi, come per esempio i femminicidi, sarebbe un enorme passo avanti. Mi auguro che l’apprendimento di questa esperienza a livello collettivo ci faccia capire che si può modificare il comportamento collettivo, e ci faccia pensare alle dirette conseguenze di ogni azione. Ma anche dei cambiamenti climatici, delle coltivazioni intensive, di tanti altri problemi mondiali.» 

Parliamo del piacere del camminare, che tante persone hanno riscoperto, grazie al Cammino di Santiago ma anche alla Via Francigena e a tanti altri luoghi, e che è così diverso dall’escursionismo. Una pratica che va a cogliere degli aspetti nuovi. Quali sono per te questi aspetti?
«Il corpo ha un ruolo centrale nelle nostre vite anche se è sempre meno valutato, se non per i canoni estetici. Ritornare alla capacità di muoversi sulle proprie gambe e non su mezzi altamente inquinanti è un’occasione per rallentare. Nel momento in cui maturiamo la consapevolezza della natura dentro di noi siamo più disponibili. Camminare ci riporta in contatto con la natura, un collegamento che spesso manca, ed è il principale problema del nostro sistema sociale capitalista, insostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Anche il Coronavirus ce lo sta dimostrando. L’idea di ritornare al corpo come strumento di radicamento con sé stessi e di conseguenza con gli altri e con la Terra.»

E il vostro zaino come sarà?
«Avere uno zaino costringe a scegliere le cose strettamente necessarie. Bisogna trasportare sulle spalle solo quello che è essenziale: quindi comprendere ciò di cui si ha veramente necessità porta a un viaggio leggero e agile. Anche questa è una metafora sulla nostra vita, sui bisogni indotti da una società che comprendiamo non possa stare in piedi. Per questo malessere abbiamo perso la connessione con le altre persone e quella del relazionarsi gli uni con gli altri. Amiamo questa connessione tra l’ambiente e la donna, tra la violenza ecologica e quella violenza femminile, uno slogan tra l’altro caro al movimento “Non una di meno” sull’ecofemminismo che sosteniamo pienamente» 

Le date della partenza di Barbara e Valentina saranno aggiornate sul sito dedicato al loro progetto, dove continuano a raccogliere fondi per realizzarlo e dove invitano tutte, qualora interessate, a unirsi, per portare in viaggio quell’entusiasmo, determinazione ed energia che caratterizzano donne come loro.

Articolo scritto in collaborazione con Elena Guerra