Il data analyst è sicuramente uno dei top job del momento, ossia un mix di dati, coding, intuizione e strategia per indirizzare scelte di mercato importanti.

Valentina Jerusalmi ci porta insights sulla sua carriera in questo nuovo episodio di EWA- Stem by me.

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Il data analyst si sente così spesso nominare, eppure rimane così sconosciuto. Dottoressa Jerusalmi, ci può introdurre alla sua professione?

«L’analisi dei dati in campo informatico riguarda soprattutto le informazioni che provengono da app e piattaforme di interazione, da cui si cerca di trovare le nuove preferenze e tendenze, traducendole ai product managers e ai team di business development

Nello specifico, quali parametri vengono considerati per queste analisi?

Su app come Instagram si valutano a campione degli utenti rispetto all’identità, a quante volte aprono l’app, quanto tempo ci stanno su, se rimangono o ‘skippano’ qualche contenuto, con quali elementi interagiscono di più – e da ciò si cerca di trarre del valore aggiunto, dei trend.»

Come è arrivata a fare questo lavoro che quasi neanche esisteva, quando si è iscritta all’università?

«Il mio percorso è stato piuttosto lineare, ma con alcune belle virate in determinati punti… in particolare, dopo il liceo scientifico, ho studiato ingegneria matematica al Politecnico di Milano ed è stato lì che ho conosciuto l’informatica e me ne sono innamorata.»

Dopo questa triennale ha fatto del computer uno dei suoi migliori amici?

«No, finito il triennio, a essere sinceri, ero piuttosto confusa. Avevo scoperto una passione, ma sentivo che mi mancavano altri pezzi, soprattutto legati all’imprenditoria, al business, alla tecnologia. Quindi mi sono presa un anno per guardarmi intorno e, infine, mi sono iscritta ad un master a Parigi in data science e business analytics, un misto tra un percorso tecnico e un percorso manageriale.

Sente quindi che questo lavoro soddisfa le sue aspirazioni e le sue competenze?

«Assolutamente sì, è una professione molto più creativa e varia di quanto non si pensi. Non passiamo tutto il giorno a produrre codici in modo ripetitivo, anzi! Prima ancora di affrontare i dati c’è un gran lavoro preparatorio. Bisogna capire quali dati monitorare, a che scopo, con che metriche, quali impatti valutare.»

…e quindi è quasi come usare della psicologia applicata ai dati?

«Sì, direi che è fondamentale sapere come affrontare il problema, dividerlo in task e azioni più piccole e affrontare ciascun pezzo in modo singolo, essere orientati al problem-solving. E poi bisogna avere un buon senso estetico: se sei in grado di raccogliere molti dati, ma non li sai raffigurare in modo che il tuo interlocutore ne capisca il valore, è tutto lavoro sprecato!»

In tutto ciò l’informatica non è essenziale, quindi?

«Beh, diciamo che una minima capacità di scrivere un codice pulito e comprensibile è sì indispensabile – in particolare, Python e SQL. Che poi dell’informatica ci si può appassionare anche senza volerlo. Io non avrei mai creduto mi sarebbe piaciuta tanto, invece, grazie ad un professore, ho capito sarebbe potuta diventare la mia strada.»

Quale consiglio darebbe a chi si vuole cimentare con questa professione?

«Semplicemente direi di farsi avanti, perché questo lavoro non dà spazio solo agli informatici, ma ha bisogno di intelligenze e approcci di varia natura.»

…e, se pensi di aver scoperto tardi una passione, vedi invece la bellezza e l’opportunità di avere tutto il resto del tempo davanti a te per approfondirla!

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