Fondazione ISMU (Istituto per lo Studio della Multietnicità) nasce nel 1991 a Milano, con l’obiettivo di promuovere studi e ricerche e di svolgere un’attività di documentazione, informazione e formazione sui molteplici aspetti connessi con la trasformazione multietnica e multiculturale della società.

Con 30 anni di attività alle spalle, oggi annovera fra i suoi soci enti come Fondazione Cariplo, Regione Lombardia, Curia milanese e la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Milano.

I suoi studi sono considerati autorevoli perché provengono da un ente scientifico indipendente che lavora con alti standard qualitativi. Qualità e professionalità riconosciute dalle istituzioni governative italiane ma anche europee, che lo hanno eletto quale interlocutore privilegiato su questi temi.

La “copertina” dell’evento

La giornata in cui viene presentato il Rapporto annuale sulle Migrazioni, è diventato quindi un appuntamento molto sentito da istituzioni, agenzie socio-sanitarie e associazioni di volontariato.

I dati raccolti ed elaborati da ISMU infatti, forniscono una descrizione chiara e precisa di quanto successo nell’anno appena trascorso, ma anche delineano le direzioni da seguire perché vivere tra più culture, possa diventare davvero un’opportunità (economica, culturale, sociale) nella nostra epoca globale.

Quest’anno il Rapporto era ancora più atteso, in quanto la 27° edizione ha analizzato sia l’impatto della pandemia sui flussi migratori e sugli immigrati, sia le conseguenze, sotto il profilo migratorio, della drammatica questione afghana.

La presentazione ufficiale è avvenuta venerdì 11 febbraio, presso la Camera di Commercio di Milano e i canali online della fondazione. I relatori intervenuti hanno proposto i diversi punti di vista sulle migrazioni globali che di riflesso interessano anche l’Italia.

I saluti istituzionali sono stati pronunciati da Mariella Enoc, presidente Fondazione ISMU e Carlo Sangalli, presidente della Camera di Commercio di Milano. A loro è seguito Massimo Gaudina, capo della rappresentanza a Milano della Commissione Europea.

Alcuni dati presentati durante il convegno

Nella prima parte il dibattito era centrato sulle migrazioni. Vincenzo Cesareo, segretario generale della Fondazione ISMU ha descritto il 2021, sotto tre grandi questioni: il fenomeno migratorio globale e il caso Afghanistan, l’uso strumentale dei migranti ai confini dell’Europa e, ovviamente, la Pandemia. Tutte e tre queste questioni mostrano che attualmente, le migrazioni stanno avvenendo in un mondo sempre più insicuro. La politica, la situazione sanitaria, le guerre, non bloccano i flussi migratori. Al contrario, li incrementano e li fanno avvenire in un contesto di estrema insicurezza, che va a ledere i primi e fondamentali diritti umani: il diritto alla vita e alla sicurezza.

Per quanto riguarda la situazione italiana, Livia Elisa Ortensi, ha portato i dati sulla presenza di migranti nel nostro Paese. Gli stranieri rappresentano nel complesso circa il 10% della popolazione presente in Italia al 1° gennaio 2021. Si contano quasi 170mila unità in meno rispetto al 2020, in calo per il secondo anno consecutivo, in virtù sia della flessione degli ingressi sia del costante flusso di acquisizioni di cittadinanza.

La pandemia ha colpito gli immigrati in Italia anche dal punto di vista sanitario, in quanto la mortalità è arrivata a + 23,3% (mentre per gli italiani si è registrato un +17.1%). Il tasso di occupazione degli stranieri, ha subito una significativa flessione, passando dal 61% del 2019 al 57,3% del 2020. Si assiste quindi ad un aggravamento della povertà, giunta nel 2020 a riguardare il 29,3% degli stranieri (contro il 7,5% degli italiani) e il 26,7% delle famiglie di soli stranieri (erano il 24,4% nel 2019).

La seconda parte della mattinata, aveva per tema “Regolarizzazione, flussi e mercato del lavoro”. Molto incisivo è stato l’intervento di Laura Zanfrini, responsabile Settore Economia e Lavoro di Fondazione ISMU.

Foto dal Rapporto ISMU sulle migrazioni.

Secondo Zanfrini infatti la pandemia ha messo in luce quanto ci sia necessario il lavoro dei migranti. Nonostante questa consapevolezza tuttavia, l’Italia, come tutti i paesi più economicamente sviluppati, soffrono di una sorta di dis-allineamento dalla realtà.

Se da una parte infatti il lavoro necessita di manodopera immigrata, pena la paralisi dei processi produttivi, dall’altra le procedure che regolano i flussi in entrata sono bloccate.

Si pensi ad esempio, che negli USA ci sono 11 milioni di un-documented che svolgono attività essenziali per l’economia americana.

Gli strumenti legislativi italiani, ma europei in realtà, non sono adeguati. La mancanza di una politica europea condivisa sulla gestione dei migranti, non fa che aumentare la confusione e la mala gestione di quella che invece è una risorsa essenziale per tutta l’economia.

In Italia si sta assistendo a questo tipo di scenario: è in aumento il lavoro sotto pagato e di bassa qualificazione (siamo tornati ai livelli della crisi del 2008); cresce esponenzialmente la componente di giovani migranti che non studiano e non lavorano. Sono il 36% della popolazione straniera e hanno superato anche i loro colleghi NEET italiani che raggiungono una quota del 21,8%; il 29% degli stranieri sono poveri, contro il 7,5% degli italiani;

Tutto ciò pone nuovi interrogativi rispetto al futuro a al mondo del lavoro che si trova ad affrontare sfide importanti come il ricambio generazionale (già ora le aziende sono in affanno e la situazione andrà in peggioramento).

Foto di archivio

La terza parte, infine, ha riguardato il tema dei “Confini europei”. Sono intervenuti Patrick Doelle della direzione generale Immigrazione a Affari Interni della Commissione Europea, Laurence Hart, Organizzazione internazionale per le Migrazioni e Nicola Pasini di Fondazione ISMU.

I relatori hanno ripercorso la situazione geopolitica. Tutti hanno chiamato in causa l’Europa e la mancante gestione comune di profughi e sfollati. Pasini, in particolare, ha portato un caso di estrema attualità. Se infatti la crisi Ucraina non si dovesse risolvere diplomaticamente, si vedranno 5 milioni di profughi chiedere di entrare in Europa.

Cosa faremo quindi? Come si comporterà l’Europa e i suoi Stati membri?

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