E ti pareva. Ti pareva che anche quest’anno il Giorno del Ricordo non portasse tristemente, insieme all’opportuna e doverosa commemorazione di chi fra il ’43 e il ’45 perse la vita nelle zone di confine fra Italia, Slovenia e Croazia, anche il suo inevitabile carico di polemiche. Polemiche che si ripropongono, sempre uguali e sempre diverse, ogni anno, con una costanza che ha quasi dello stupefacente. Avremo mai la possibilità di vivere con la giusta dose di serenità questa giornata e quelle che la precedono? Forse sì, quando avremo affrontato con serietà e obiettività quanto successo in quelle zone negli ultimi anni della seconda guerra mondiale.

Una guerra che ha fatto 68 milioni di morti in tutto il mondo e che ovunque ha seminato odio e terrore, ma che pare solo qui in Italia (e, va detto, nella nostra Verona in particolare) dia il pretesto per rivangare sentimenti evidentemente mai sopiti. Per decenni i massacri delle foibe sono stati sepolti sotto una coltre di silenzio, nonostante gli esuli istriani e dalmati e i loro discendenti abbiano sempre vissuto in mezzo a noi. Loro con ostinazione hanno portato avanti la loro battaglia fino a quando nel 2004 è stato istituito per il 10 febbraio il Giorno del Ricordo.

Un “grimaldello” per la destra e talvolta per la sinistra

Peccato, però, che da allora la ricorrenza sia stata spesso (per non dire sempre) utilizzata come una sorta di “grimaldello” da una parte politica per sottolineare quanto certi orrori siano in realtà stati assolutamente bipartisan e all’epoca della seconda guerra mondiale siano arrivati un po’ da tutte le parti, da destra e da sinistra. Un pretesto per smontare almeno in parte anche il Giorno della Memoria (il 27 gennaio per ricordare l’Olocausto, perpetrato dal regime nazista e fascista) o comunque per portare l’attenzione verso altro. Verso il nemico di sempre, il comunismo e i comunisti.

Dall’altra parte si tende a vedere quella del Ricordo come una commemorazione di stampo fascista, come se gli esuli istriani e dalmati vittime delle foibe fossero tutti criminali fascisti. E non fossero in buona parte semplici cittadini italiani che poco o nulla avevano a che fare con l’oppressione fascista.

Ecco, sia chiaro a tutti: non è certo così che usciremo da questa impasse e per molti anni ancora vedremo scoppiare polemiche ogni volta che tornerà questa ricorrenza.

Già, perché ovviamente ciò che si sottolinea sempre della vicenda sono le violenze e i massacri subiti dalla popolazione italiana ordinata dal generale Tito (e quindi in poche parole, dalla dittatura “comunista”), cosa che effettivamente c’è stata ed è innegabile ed è da ricordare e stigmatizzare. Però, al di là dell’immancabile scontro sulle cifre (5mila, 10mila o 15mila morti) ciò che ogni anno non viene forse sottolineato abbastanza sono i fatti che hanno preceduto il massacro.

L’antefatto che non tutti vogliono ricordare

Ciò che non tutti vogliono ricordare è che gli italiani in quelle zone, annesse nel 1918 dopo la fine della prima guerra mondiale, con l’avvento del fascismo si comportarono da dominatori, esattamente come fecero in Africa all’epoca del colonialismo. Parliamo principalmente dei gerarchi e soldati fascisti, e non della popolazione civile. È chiaro, però, che gli italiani si imposero anche con soprusi e violenze sulla popolazione locale, costringendola a una forzata italianizzazione e a vivere da oppressa nelle zone in cui aveva sempre vissuto.

Non ricordare questo antefatto e raccontare questa storia a partire dall’arrivo dei partigiani equivarrebbe a raccontare il nazismo, le leggi razziali e la Shoah senza tener conto di ciò che ha portato in Germania alla salita al potere di Hitler, dalla crisi economica e sociale dopo la Prima Guerra Mondiale alla Repubblica di Weimar e il grande consenso che ebbe poi l’ideologia nazionalsocialista sulle masse.

La fucilazione di cinque ostaggi sloveni da parte delle truppe italiane durante l’occupazione italiana della Slovenia (1941-1943)

Non esiste in questa vicenda il bene da una parte e il male dall’altra, come certa letteratura e cinematografia hanno fatto credere agli animi più ingenui. Le responsabilità del fascismo e del nazismo non possono essere negate e fornire tutti gli elementi per comprendere i fatti che portarono all’eccidio nelle foibe è sempre più necessario.

La versione di Eric Gobetti

“Quel che accade sul confine orientale è, almeno in una certa misura, parte di una colossale resa dei conti, comune a tutto il continente europeo. Epurazioni violente, processi sommari, massacri anche di civili ritenuti collaborazionisti dei nazisti avvengono ovunque, alla fine della guerra” scrive lo studioso Eric Gobetti nel suo libro E allora le foibe?. Proprio Gobetti, membro del comitato scientifico dell’Istituto Storico della Resistenza di Alessandria, è al centro della polemica veronese di quest’anno. Avrebbe dovuto partecipare a un incontro all’istituto Copernico-Pasoli, ma il consigliere comunale Andrea Bacciga e il presidente dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia Renzo Codarin hanno obiettato che si trattasse di un negazionista e che quindi l’incontro andasse cambiato o, ancora più drasticamente, annullato.

Alla fine l’evento è stato ripensato come un contraddittorio con altre personalità, fra cui l’assessora alla Cultura Francesca Briani, discendente di esuli istriani e dalmati, lo storico Riccardo Mauroner e il giornalista Fausto Biroslavo. Una soluzione che però non è piaciuta alla Rete Scuola&Territorio, che aveva organizzato l’evento e che, visto il pericolo che il dibattito si trasformasse in un terreno di scontro fra diverse ideologie e non di un vero approfondimento, ha preferito rinunciare. A farne le spese, per le “guerre dei grandi”, sono stati gli studenti che avrebbero potuto, al contrario, imparare qualcosa di importante.

Il presidente Mattarella con il presidente sloveno Pahor davanti alla foiba di Basovizza

Gobetti nel suo libro pone dei dubbi sulle cifre ufficiali (e anche sul fatto che la foiba più famosa, quella di Basovizza, sia effettivamente una foiba, in mancanza di prove) e ovviamente su questo può essere contestabile. Soprattutto, però, pone l’accento su quanto successo prima delle foibe. Non solo durante e dopo. Facendo, cioè, quello che dovrebbe fare chiunque si approccia a questo spinoso tema e cioè contestualizzare. Parlare di ciò che è avvenuto nelle terre d’Istria e Dalmazia prima di quella terribile vicenda aiuta, infatti, a comprendere meglio ciò che poi avvenne in quelle terre con la fine del regime fascista.

E questo non per revisionismo o, peggio ancora, per negazionismo (la tragedia c’è e rimane e va assolutamente commemorata e ricordata, proprio affinché non accadano più cose di questo genere) ma solo perché è unicamente attraverso la comprensione piena e totale di tutto il fenomeno che un giorno potremo davvero affrontare con chiarezza questo tema, che oggi non cessa di essere divisivo. Fare i conti con il proprio passato, in fondo, rappresenta il primo passo per guardare al futuro. Un futuro in cui vogliamo ricordare senza mistificazioni.

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