Fino a quale limite ha senso navigare a vista? Il governo si è impiccato spergiurando – Delta od Omicron che sia –  sulla riapertura delle scuole. Ma è palese che questo accadrà in condizioni di sicurezza che definire dubbie è poco. La sensazione è che le previsioni di Zaia su un repentino lock-down dell’istruzione si avverino.

D’altra parte, la stragrande maggioranza dei media, dei politici, dei sindacati della scuola, dei docenti, dei dirigenti scolastici, in questi due anni, al posto di ringraziare il cielo di potere affrontare questa catastrofe epidemica grazie alla telematica, minimizzandone i disastrosi effetti sul sistema scolastico, non hanno fatto altro che demonizzare la DAD con il più variegato spettro di pregiudizi pedagogici, didattici, culturali, ideologici. “Beh” – si dirà – “inevitabile un po’ di impreparazione di fronte alle novità”. Novità? I primi corsi di perfezionamento e i primi master post laurea sulla “didattica multimediale” per docenti furono istituiti presso l’università di Padova nel 1997. Ventiquattro (24) anni fa! Le metodologie della didattica a distanza esistevano in realtà da decenni, svolte con tecnologie postali (vi ricordate la “Scuola Radio Elettra”?) o televisive (la scuola elementare di Alberto Manzi). La telematica diffusa, negli anni Novanta, permetteva finalmente di sanare il grande limite delle metodologie citate: la scarsissima interazione tra docente e discente, impraticabile, con che quelle tecnologie. Con le piattaforme eLearning su Web, invece, la raffinatezza metodologica della Dad poteva raggiungere – e ha raggiunto – livelli impensabili, consentendo una flessibilità metodologica straordinaria, potendo prevedere sia complesse attività di apprendimento di gruppo, che attività individualizzate. Tutto bene, allora? No, tutto male. Perché padroneggiare queste tecnologie implicava e implica un livello di professionalità docente e dirigente alto; e motivazione; e amore per il proprio lavoro; e disponibilità al confronto… È stato questo il quadro della scuola nel nostro Paese degli ultimi venti anni?

Il risultato è stato un disastro, ad eccezione di poche isole felici. Chi ha svolto attività di formazione in questo campo è stato costretto a riproporre ogni anno le stesse cose, basiche, ricominciando ogni volta da zero. Il pianeta docente, a fronte della più straordinaria rivoluzione tecnologica e culturale dell’età contemporanea, è rimasto – come se la questione non lo riguardasse –  in grandissima parte fermo, immobile, guidato da dirigenti che al momento di assegnare gli incarichi ai formatori in corsi finanziati dallo stato, ma a partecipazione esclusivamente volontaria, non erano nemmeno in grado di individuare gli obiettivi formativi adeguati alla loro (!) scuola, non conoscendo assolutamente nulla dell’argomento. Molti docenti hanno alimentato crociate antidigitali convinti che la cultura umanistica e il pensiero critico debbano avere un carattere essenzialmente antiscientifico e antimoderno. E i sindacati? Quelli hanno combattuto  la formazione obbligatoria pensando di difendere in questo modo la dignità di lavoratori dei loro rappresentati. Un quadro complessivo francamente penoso.

Le attività didattiche digitali, a distanza e non a distanza, avrebbero invece dovuto diventare una componente strutturale e complementare delle attività didattiche tradizionali. Normali metodologie di insegnamento-apprendimento. Se così fosse stato, in questi due decenni, non ci saremmo trovati così clamorosamente impreparati nel momento in cui in un’emergenza come questa esse diventavano fondamentali!

L’emergenza pandemica poteva imporre una svolta benefica in questa triste situazione. Ma non è stato così. “NO alla DAD!”, “BASTA DAD!”, “INCUBO DAD!”e via con le solite, lugubri litanie fondate su ignoranza e pregiudizi. Si poteva invece mettere all’ordine del giorno almeno tre obiettivi: a) l’abbattimento del digital divide tecnologico a favore delle classi sociali deboli, garantendo a tutti gli studenti device e connessioni a prezzo politico b) un piano sistematico di formazione ob-bli-ga-to-ria per tutti i docenti c) un ripensamento radicale del quadro contrattuale del personale docente e dirigente della scuola, al quale occorre chiedere e dare molto di più.

La scuola democratica non è una scuola dove si lavora, si guadagna e si impara poco e male, ma una scuola nella quale dei professionisti accuratamente selezionati su base meritocratica  preparano le generazioni future, utilizzando le più moderne ed efficaci metodologie didattiche. Se la scuola pubblica statale non sarà in grado di rinnovarsi radicalmente, sarà fatale che il settore dell’istruzione privata si allarghi sempre più. Un circuito scolastico di serie A, destinato ai ragazzi del ceto medio e alto; e un circuito di serie B, destinato agli studenti delle famiglie più povere, italiane e non. Povero don Milani.

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