L’estate australe si piega sotto una pioggia leggera, particelle di cielo in silenziosa discesa sulla terra. Non bagnano, queste gocce inattese, né mutano stagione, pensieri.

Si nasconde ai nostri occhi, la Montagna. Una tensione, per riconoscerne i tratti, il profilo geometrico, è il nostro impulso, all’inizio.

Non è necessario: ci sono luoghi che vedi ovunque tu sia, li guardi a occhi chiusi. Ti accompagnano nel mondo, camminano di fianco a te e parlano la lingua del respiro profondo, del silenzio.

La Table Mountain, il rilievo che sovrasta Città del Capo, svetta all’orizzonte in una giornata piovosa dell’estate australe. Il giorno dei funerali di Stato dell’arcivescovo Desmond Tutu. Foto di Armand Kamffer, Unsplash.

Ti osserva, all’alba, Table Mountain, lei e le sue braccia tese su Cape Town. Volge lo sguardo, il Leone, alla città appena sveglia, in attesa del segnale di un addio.

L’aria, tinta di grigio – un fronte freddo oceanico, ha annunciato la radio, ieri sera – s’addensa nell’immenso grembo della Madre, un anfiteatro di arenaria, un abbraccio inviolabile. E quel muso felino, il dorso animale disteso, parla alla Mother City, alla roccia, all’oceano che ascoltano, ogni giorno, senza mai stancarsi.

La bara dell’arcivescovo Desmond Tutu, semplice ed economica come da intendimento del defunto. Morto il 26 dicembre a 90 anni, Tutu fu nominato nel 1994 dal presidente sudafricano Nelson Mandela alla guida della Commissione per la verità e la riconciliazione, tribunale straordinario istituito dopo la fine dell’apartheid. Foto South African Government.

Cade, questa pioggia minuta, e l’assorbono le genti, l’asfalto, i giardini adorni di fiori estivi. Trema, in lontananza, l’insegna di un Seven Eleven, fibrillazione blu cobalto destinata a restare muta per sempre.

Alcuni manifesti all’esterno della cattedrale di San Giorgio a Città del Capo. Svetta la bandiera nazionale, simbolo della “Rainbow Nation”, la nazione-arcobaleno, come lo stesso Tutu definì il Sudafrica post-apartheid. Foto South African Government.

Abbiamo imparato ad ascoltare le parole delle strade, del deserto, del confine. Di tutto ciò che, mirabilmente, compone la terra australe, la cui voce, da millenni, si mostra senza fare rumore.

Un racconto, tragico e vero, quello degli altri, che abbiamo imparato a distinguere nel buio della Storia. Così si sveglia, oggi, questa città eterna, in attesa di porgere un saluto. 

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