Sio, all’anagrafe Simone Albrigi, è molte cose. Principalmente un fumettista, anche se, durante la nostra intervista ci confessa di non saper disegnare. È anche uno youtuber, e il suo canale, Scottecs, vanta oltre due milioni di iscritti. Ha realizzato storie per “Topolino”, strisce per “La Repubblica” e video per Elio e le Storie Tese. È quello che, magari usando un cliché, qualcuno definirebbe un vulcano di idee.

Durante la nostra conversazione, tenuta in occasione della presentazione all’hotel Due Torri del suo ultimo lavoro, e primo libro illustrato, La bambina che voleva diventare un sasso (ed. Feltrinelli Comics), è proprio questo aspetto dell’autore veronese a emergere: «Io ho un sacco di idee ma non il tempo di realizzarle tutte», ci spiega. Una creatività fortissima che deve per forza trovare dei canali di sfogo, siano essi fumetti, video o podcast.

La bambina che voleva diventare un sasso è il suo primo libro illustrato per bambini. Può parlarci della genesi del progetto?

«La genesi è stata molto semplice. Mio figlio, che ha quasi tre anni, è una persona che apprezza molto le storie. Gliene raccontiamo un sacco, solo che, quando si spegne la luce, lui ne vuole ancora. Quindi si devono inventare, non si possono leggere. Me ne sono inventate varie per cercare di passare un po’ di tempo, di addormentarlo. La storia della bambina che voleva diventare un sasso è nata così. Le sere seguenti gliel’ho raccontata varie volte per perfezionarla, ho aggiunto e tolto dei pezzi per usarla un po’ come un beta testing. A un certo punto ha assunto la forma finale e ho detto “Devo segnarmela perché ci faccio un libro”.

La copertina de la bambina che voleva diventare un sasso, primo libro illustrato per bambini realizzato da Sio, nome d’arte di Simone Albrigi.

Tra l’altro, è la prima volta che penso a un target. Di solito faccio fumetti per persone che sanno leggere e che divertono me, quindi se mi piacciono sono a posto così. Le legge un pubblico abbastanza variegato, però non è che mi interessi molto di queste cose. Questo invece è un libro per persone che non sanno ancora leggere e quindi va letto insieme a loro. È un’altra scusa per creare più interazione tra genitori e figli e quindi anche tra me e mio figlio. La storia è nata così, un po’ perché lui è una persona che ha le idee molto chiare su quello che vuole nella vita, come la bambina che voleva diventare un sasso. Sottovalutiamo troppo i bambini e le bambine, ma in realtà sono delle persone da ascoltare e rispettare. E un po’ è anche una metafora del fatto che io non ci credo ancora di fare davvero i fumetti. È tutta la vita che volevo fare questo lavoro e alla fine lo faccio davvero, nonostante tutto quello che mi hanno detto tutti e tutte nella mia vita, che sarebbe stato molto improbabile perché non sapevo né disegnare né scrivere. Però eccoci qua.»

Un messaggio molto forte e molto importante. Se non viene detto a un bambino che può fare quello che vuole, magari non ci arriva a realizzarsi…

«Io sono stato fortunato ad avere questa testardaggine, ma è facilissimo dire a un bambino “Non puoi fare una cosa” e togliergli quella possibilità dalla mente. È una cosa terribile.»

A questa storia ha collaborato anche Ariel Vittori ai colori. Come è nata la collaborazione? E in che modo cambia il suo metodo di lavoro quando collabora con qualcuno – come Giacomo Bevilacqua, Tito Faraci – rispetto al lavorare da solo?

«Lavorando con altre persone non posso permettermi di consegnare all’ultimo, perché devo dare il tempo a qualcun altro di lavorare. Ariel ha fatto un lavoro pazzesco, il suo stile è perfettamente complementare ai miei disegni. Comunque lei non ha fatto solo i colori: le ho dato tutto il disegno in bianco e nero e le ho detto “Fai quello che vuoi. Tienimi magari le linee nere dei personaggi in primo piano, ma tutto il resto lo puoi far diventare più morbido, ricolorare, ridisegnare come preferisci”. Ha fatto un lavoro bellissimo, ha aggiunto un sacco di fiori, erbe, cose nel cielo. Quando lavoro con Elia Bisogno (Mange), che colora le copertine e fa i grigi di “Scottecs Megazine”, oppure con Marianna Morara, che colora le strisce che faccio per “Green and Blue” di “Repubblica”, è più un teamwork improntato su “Questo è il mio fumetto, aggiungiamo i colori”. Questa è stata invece una collaborazione tra me e Ariel. Le robe con Tito Faraci le abbiamo scritte insieme, abbiamo deciso un po’ tutto insieme, è stato un lavoro autoriale di tutti e due. Dipende sempre da con chi si lavora e da quello che si vuole fare.»

Sio non è solo fumetti, ma tante altre cose. Tra cui il canale YouTube, che continua ad aggiornare. Come trova il tempo? Sente il bisogno di esprimersi con linguaggi diversi dal fumetto?

«Ci sono delle cose che posso fare con i video e non posso fare con i fumetti e viceversa. Se ho bisogno dell’attenzione di una persona per mezz’ora, non penso di fare un video di YouTube, quindi scrivo magari un fumetto di cinquanta pagine su “Scottecs Megazine”. Oppure un fumetto con solo una battuta, magari ci faccio una striscia su Instagram. Mentre invece giocare con musica e montaggio è una cosa che posso fare solo su YouTube, quindi cerco di continuare a fare tutte e due le cose. Ovviamente tutto questo posso farlo perché continuo a trovare collaboratori e collaboratrici che mi aiutano. Da solo non posso fare tutte queste cose. Per il canale YouTube mi aiuta moltissimo Matteo Boila: io scrivo i video, li doppio, poi gli do uno storyboard e lui fa l’intera animazione. Ho un sacco di idee ma non il tempo di realizzarle tutte.

Sul canale Youtube Scottecs, che conta 2,21 milioni di iscritti, non mancano le lezioni di linguistica e di fonologia, come con “Cos’ǝ lo SCHWA?”

In più ho un podcast settimanale, “Power Pizza”, altra cosa che mi porta via del tempo ma che è la cosa più divertente che faccio, perché la realizzo con i miei due migliori amici e ci tengo molto. Però, appunto, non devo fare io tutto il lavoro. Uno di noi tre, Lorro, fa tutto l’editing, gestisce i social… Si tratta di trovare persone con cui lavorare, da soli in generale si può fare fino a un certo limite. Soprattutto adesso che vorrei passare del tempo con la mia famiglia.»

Il suo stile è riconoscibilissimo eppure molto semplice. Come è nato? E quanto è complicato fare una cosa semplice?

«Io non so disegnare, questo è il massimo che riesco a fare. Penso che lo stile venga fuori col tempo. Anche se non so disegnare, se disegno per vent’anni di fila qualche tipo di stile mi verrà fuori…»

Non sembra che non sappia disegnare…

«Intendo che, se devo fare una cosa, ho un set di mille cose che so realizzare, però al di fuori di queste non sono capace. So a memoria come fare alcune cose e ormai il mio tratto è abbastanza sicuro. È più una questione di abitudine che crea uno stile. E comunque l’unico modo è esercitarsi un casino.»

Da dove prende spunto per le storie, come nascono?

«Io credo nel mettersi al lavoro, credo nel lavorare e nello scrivere tanto e diventare bravi a selezionare e decidere di cosa parlare. Io penso che non esista l’ispirazione o il talento, esiste solo mettersi alla tastiera a scrivere, o ai fogli a scrivere e disegnare. La maggior parte delle cose non vanno bene, e quindi le scarti e scrivi cose migliori. Anche questa è tutta una questione di esercizio, secondo me.»

D’altronde, non è facile capire a livello razionale da dove arrivi l’ispirazione

«Ognuno quando scrive parla di sé. È tutta qui la questione. Tutte le cose che fanno parte della tua vita, i video di YouTube, le serie Tv, le notizie che leggi, le persone che incontri, ciò che ti interessa è quello su cui poi costruirai per scrivere.»

Il podcast “Power Pizza”, che ogni settimana propone recensioni di film, libri, serie Tv, e videogiochi.

Qual è il suo metodo? Sceneggia disegnando? Si forma un’immagine in testa o parte da uno spunto di storia?

«No, io non sono capace di immaginare disegni, non ho un’immaginazione grafica. Ma ho la capacità di immaginarmi una storia molto bene. Parto più che altro da quello, la storia o una gag. Per me è importante far ridere, quindi scrivo una cosa per un risultato, cioè far ridere. Quindi sì, di solito sceneggio direttamente disegnando, cioè faccio un fumetto disegnato male perché devo scriverlo il più velocemente possibile, man mano che mi viene l’idea. Questo è il processo. Poi faccio ancora dell’editing mentre lo ridisegno.»

Pensa che questo libro per bambini avrà un seguito?

«Ho altri quattro libri pronti, devo solo disegnarli! Mi serve solo il tempo, ma mi piacerebbe molto, perché è stata una bella soddisfazione. Pubblico un sacco di cose, quest’anno sono uscite dieci mie pubblicazioni, forse di più, però questa è stata la prima volta in cui sono riuscito a tornare a casa, portare a mio figlio il libro e dirgli “Questo lo possiamo leggere insieme”. Gli leggo anche altre mie cose, però questo è un po’ più interessante per lui. E mi fa venire voglia di farne altri.»

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