Irene ha 25 anni, è nata a Verona dove vive, da quando vi è nata nel 1996, con la sorella Franca, 29 anni, e la madre, arrivata in Italia dalla Nigeria nel 1989. Ha compiuto il suo intero percorso scolastico in Italia, laureandosi in Beni Culturali all’Università degli Studi di Verona. Da sette anni (da quando, cioè, è diventata maggiorenne) Irene tenta di ottenere la cittadinanza italiana, tra difficoltà burocratiche, rinunce personali e richieste respinte.

Irene, qual è stato il principale ostacolo che ha impedito a lei e a sua sorella (che ci prova da dodici anni) di ottenere la cittadinanza italiana?

«La motivazione principale è stata la discontinuità di residenza. Io, mia sorella e mia madre vivevamo in un appartamento delle case popolari, che abbiamo dovuto lasciare molto presto a causa delle aggressioni, verbali e fisiche, che mio padre esercitava nei confronti di mia madre. Ci ospitavano degli amici, fino a quando, nel 1998, mia madre si è dovuta recare in Nigeria per assistere mia nonna dopo un incidente e mio padre, un giorno, aveva quindi approfittato della sua assenza per presentarsi davanti alla scuola che mia sorella frequentava, prenderla con sé e portarla in seguito in Nigeria. Quando gli affidatari di Franca si accorsero che Franca non era più qui, ne denunciarono la scomparsa e la conseguenza più grave fu l’intervento da parte del Comune: la nostra famiglia non era risultata presente in casa nel corso dei vari controlli effettuati e venne presa la decisione di chiudere il nostro contratto. Secondo la legge italiana, sono necessari 18 anni di residenza continua ma noi per 11 mesi – anche se non per nostra scelta – non abbiamo occupato il nostro appartamento e la discontinuità di residenza, appunto, è stata in tutti questi anni il principale ostacolo che ci ha impedito di ottenere la cittadinanza.»

Le sorelle Franca e Irene (in rosso) il giorno della laurea di quest’ultima

Si tratta quindi di un problema principalmente burocratico che non dipende da lei o da sua sorella, ma solo dalle violenze subite a causa del padre e dal forzato allontanamento dalla propria casa…

«Già mia sorella, a diciassette anni, aveva iniziato la pratica di naturalizzazione, ma la sua richiesta era stata respinta. A diciott’anni, anche io avevo provato a richiedere la cittadinanza, in quel caso per meriti sportivi: nel 2014 avevo vinto i campionati italiani di atletica leggera nella staffetta e contavo poi un buon risultato nei 60 metri piani. Questo mi aveva portato alla convocazione al training per la staffetta in vista dei campionati mondiali di atletica leggera, che si sarebbero gareggiati in Oregon l’anno dopo, nel 2015. Mi ero mobilitata, a ridosso dei diciott’anni, presentando in Comune i miei risultati sportivi dell’anno precedente per richiedere la naturalizzazione. Ma anche nel mio caso mi era stata negata, sempre per la discontinuità di residenza.»

Quale soluzione vi è stata proposta in seguito?

«Ci è stato suggerito di raggiungere un reddito di 8mila euro annui, per poter avanzare un’ulteriore richiesta di cittadinanza. Mia madre era impossibilitata a lavorare a causa di un grave incidente, quindi io e mia sorella potevamo contare solo su noi stesse. Nel 2018, dopo tre anni, eravamo arrivate alla soglia minima richiesta ed eravamo sul punto di fare domanda, quando è uscito il Decreto Sicurezza di Salvini: le soglie minime sono state alzate a 12mila euro annui e le tempistiche allungate a quattro anni di attesa. Ci siamo ritrovate a dover ricominciare il procedimento daccapo, fino a quando la legge è nuovamente cambiata, riducendo gli anni di attesa da quattro a tre. A quel punto siamo potute rientrare entro le soglie minime richieste.»

Nel frattempo lei si è laureata in Beni Culturali e sua sorella ha ottenuto un contratto regolare. Nel maggio 2021 avete finalmente potuto avviare le pratiche per la richiesta di cittadinanza. Che cosa vi si prospetta ora?

Un’immagine delle due sorelle da bambine

«Per ora, ci attendono circa tre anni prima della conclusione della pratica, sperando che vada a buon fine. Conosciamo la legge italiana e la rispettiamo, come l’abbiamo sempre rispettata, ma adesso vogliamo essere sicure che tutto vada per il meglio e ci siamo dovute affidare a un avvocato. Per ogni pratica avviata abbiamo dovuto sostenere delle spese, ogni richiesta di cittadinanza ha un costo di circa 250 euro per persona, a cui va poi aggiunto tutto il resto della documentazione. Sono costi elevati, soprattutto se poi si ottengono esiti negativi.»

Irene – lo ripete in continuazione – nutre amore e rispetto verso questo Paese e non lascia trapelare alcuna forma di rabbia o indignazione per la sua sfortunata vicenda, causata dal padre, dalla burocrazia e dall’assenza di una legge che tuteli le persone nella sua medesima situazione. È nata in Italia, vive in Italia da 25 anni, parla e pensa in italiano, ha amici italiani e ce lo racconta quasi dovesse giustificarsi. Un vero italiano, un veronese non è forse soprattutto chi conosce, apprezza e rispetta la cultura d’Italia, di Verona?

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