Una settimana è passata ormai da quando Chiara Ugolini è stata barbaramente ammazzata nella sua casa di Calmasino. Emanuele Impellizzeri, dichiaratosi autore del delitto, è il nome dell’assassino. Sono stati giorni in cui le notizie si sono rincorse a delineare con grande velocità un quadro indiziario pesante ai danni del presunto colpevole, ma che non modifica le conclusioni, evidenti sin dal ritrovamento del corpo. Chiara è morta e nessuna verità processuale, ben lontana dall’essere scritta, potrà ammorbidire la tragedia e nemmeno potrà fornire spiegazioni sufficienti a lenire lo sconforto, lo sgomento, la rabbia per quanto accaduto.

Rimangono molti interrogativi, primo tra tutti il comportamento di un uomo che è apparso feroce, instabile, ingenuo, pauroso, ma anche estremamente lucido nell’identificare dove trovare rifugio e nel fornire le prime dichiarazioni di colpevolezza, utili a provare a derubricare il gesto, ma non a nasconderlo. Quasi potesse contare su un’ipotetica protezione, quasi a strizzare l’occhio a qualcuno che valuterà queste cose magari poco più di una ragazzata. Un quadro piuttosto singolare e per certi versi incongruente, che andrà chiarito nei tempi e modi previsti dalla giustizia.

Sono stati giorni in cui si sarebbe dovuto scrivere di getto, urlare che non possiamo accettare e non possiamo permettere che una qualunque Chiara possa morire in casa propria in un giorno a caso della sua vita, in una pausa pranzo qualunque. Una società civile ha il dovere di proteggere i propri cittadini da questi fatti, deve impedire simili atti vili.

Andrebbe scritto e andrebbe urlato, sui giornali e anche fuori dai balconi, senza paura, senza attendere il fluire delle parole più adatte, senza ponderare i concetti. Cosa ci può essere da pensare attorno ad un così atroce delitto, cosa ci può essere da modulare, da definire? Urlare non è violenza, è manifestare il proprio essere contro con tutte le proprie forze. Eppure, è difficile scrivere di getto in queste circostanze.

Conoscevo Chiara come può un allenatore conoscere un’atleta di una società vicina, amica, che gioca in categorie diverse dalle tue. Di vista, si può dire. Conosco però, e bene, il suo allenatore con cui ho condiviso piacevolmente parte del percorso sportivo, Pietro Legrottaglie, il suo presidente, Mario Zorzi, un padre, un marito, ma soprattutto un uomo gentile e di valori che considera e tratta come famiglia ogni iscritto alla propria società. Conosco alcune sue compagne di squadra, alcune sue amiche, anche intime. Hanno avuto la forza di ricordarla, di postare video e foto di sorrisi, vita quotidiana.

Chiara Ugolini giocava in prima divisione al Palazzolo Volley e allenava le giovanili. I funerali sono previsti domani alle 14.45 nella parrocchiale di Fumane, paese dove abita la sua famiglia.

Lo hanno fatto con eleganza, sobrietà, senza mai accennare alla rabbia, semmai al dolore, allo sgomento. Lo hanno fatto e lo stanno facendo con grande impegno e sofferenza morale e umana, nonostante la paura che ti prende quando capisci che poteva toccare a te e non a lei, nonostante le domande ti assalgano e siano molte più delle risposte che chiunque possa darsi ora e in futuro.

Per comprendere occorre tentare di immedesimarmi in loro, di razionalizzare l’accaduto per trovare un filo logico con cui impostare un articolo, perché ritengo che il silenzio non sia accettabile. Comprendo chi si sente di tacere, ma la comunità non può stare zitta, un giornale non può non raccontare, denunciare, interrogarsi e invitare alla ribellione per simili fatti. Però non si può nemmeno capire che cosa significhi essere al loro posto.

Mi domando come possa sentirsi, ad esempio, un allenatore quando, al primo ritorno in palestra, riunisce attorno a sé la squadra, cosa possa provare a dire alle ragazze che si trova di fronte, mentre osserva il posto vuoto nel cerchio dell’allungamento a terra, come possa tentare di tornare a fare il suo mestiere con entusiasmo, sorriso e gusto. Come potrà mai infine tornare a calcare quella palestra e quegli spazi che anche cento bambini non riusciranno più a riempire fino in fondo. No, non è possibile. Ci sarà sempre un vuoto in quella palestra.

Non possiamo nemmeno capire che cosa significhi per un’atleta tornare nello spogliatoio in cui si è cresciuti, in cui intimi segreti adolescenziali sono stati svelati, in cui ognuno ha sfogato a proprio modo le frustrazioni successive alle sconfitte, tra borse gettate a terra e imprecazioni da osteria, in cui le ritualità decennali si sono succedute giorno dopo giorno e allenamento dopo allenamento. Con Chiara.

E poi, come entrando in un incubo, vedere quel posto vuoto sulla panchina o peggio le immagini di quel pomeriggio tragico, ricostruite dalle voci, dai lanci di agenzia. Tormenti che rincorreranno per mesi e anni in chi ha vissuto con Chiara.

Non ci si può immedesimare, si può solo fornire conforto. Sì, ma è ora di smetterla di parlare di conforto dopo ogni tragedia. Piangere i morti può essere di consolazione, ma non si può chiudere qui. Non è questo il senso del “porgi l’altra guancia”. Il conforto è doveroso e ora non rimane che questo.

Però non possiamo esimerci dall’azione. Urliamo la rabbia, scagliamoci contro i prepotenti, contro gli assassini e chi, con fare silente, li perdona, li compiange, li giustifica. Combattiamo veramente giorno dopo giorno per impedire simili gesti. Impediamoli sul serio, facciamo opposizione, preveniamoli.

Con la bellezza delle idee, con il sorriso della gentilezza, ma anche con la rabbia. Perché la rabbia non può più essere soffocata. Non può essere sempre il tempo dei funerali, delle veglie, delle fiaccolate. Una donna, due donne, cento, mille donne cadute. Alla fin fine, sempre nello stesso modo. Sempre nella sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica che si scuote per qualche istante dopo la tragedia e poi torna nel suo torpore, nella tacita accettazione quotidiana.

E che dire delle istituzioni che, al di là di qualche dichiarazione di facciata, passano oltre, quasi assuefatte da simili fatti. Anche nel caso di Chiara, dispiace dirlo. Che se fosse stata ammazzata da uno straniero sai che cassa di risonanza avrebbe avuto il fatto!

Deve essere l’ora di una rivolta civile, vera e profonda che metta all’angolo una certa cultura, dilagante nella nostra società, da Instagram al night club di periferia. I maniaci, i violenti, gli assassini sono sempre stati tra noi e sempre ci saranno, ma è la società civile che può emarginarli, che può metterli alla gogna.

Basta tollerare il machismo privo di cultura, il bullo fascista di successo perché sa essere figo, apparentemente sicuro e vincente perché mostra i muscoli per poi prendere paura delle sue stesse azioni come nel caso di Impellizzieri.

Questa violenza che converge tutta verso le donne non si fermerà mai solo con la legge. Certo, la certezza della pena, e soprattutto l’assoluta tutela di chi denuncia, aiuterebbero in tal senso. Quello che però va distrutto è un atavico maschilismo di fondo che permea qualsiasi tipo di società e che la trasforma in un ring tribale. Dall’Afghanistan a Londra, dal profondo sud italiano, alle periferie milanesi, la questione non cambia se non nell’apparenza e certamente nelle dimensioni del problema. In tale modello culturale la paura della donna è la medesima, a tutte le latitudini, la mancanza di rispetto verso una sua autonoma autodeterminazione pure.

Nella storia umana è stato sempre l’uomo a macchiarsi dei più profondi delitti, a mettere la propria effige sui peggiori regimi sanguinari, in cui la donna è sempre stata vittima principale. Mai la donna, viceversa, ha ricoperto il ruolo di protagonista in una società carnefice se non per ligia obbedienza a modelli culturali definiti dall’uomo. E anche nelle più moderne società occidentali è ancora l’uomo a seguire in politica, così come in altri ambiti, logiche spesso tribali, da clan, o peggio comportamenti tipici di organizzazioni criminali.

Forse, in un mondo che verrà, qualcuno avrà il coraggio di lasciare alle donne il potere e, chissà, forse scopriremo che sarebbe stata proprio una buona idea farlo prima.

©RIPRODUZIONE RISERVATA