È unica, la Ruggiero. Perché è difficile, almeno a mia limitata memoria, trovare cotanta grazia e raffinatezza in una voce italiana. E non è altrettanto semplice citare artisti che abbiano scelto di variare così tanto il proprio percorso artistico, senza barattare la propria visione con il business, senza perdere di vista la dignità artistica anche in tempi così caotici. Questa la mia intervista ad Antonella Ruggiero, che ho scoperto essere piena di grazia anche nel modo di interloquire, anche quando esprime concetti controcorrente.

Antonella, che concerto dobbiamo aspettarci a Cavaion il 4 settembre?

«Un concerto versatile, come da titolo dell’evento. Perché vi saranno canzoni tratte dal vecchio repertorio, recenti, brani antichi, brani di cantautori, della tradizione popolare…insomma, un percorso molto allargato, una sintesi di quello che faccio da molti anni. Con me ci saranno Roberto Olzer e Roberto Colombo con i rispettivi strumenti, che fanno sì che gli arrangiamenti siano adeguati a questo tipo di concerto»

Che rapporto ha con Verona e il veronese?

«È un rapporto che riguarda sia il passato che un presente molto recente. Da quando ho iniziato vengo nel territorio e ogni volta c’è un bellissimo contatto, quasi confidenziale, con le persone. La musica riesce anche a fare questo. Nel mio caso c’è sempre stato questo tipo di rapporto. È una cosa particolare, una relazione tra il pubblico e me, c’è qualcosa che va aldilà del semplice ascolto…»

Come è cambiato il suo rapporto con la musica nel corso della tua carriera e… perché?

«Sono cambiati i miei interessi. Fin dall’inizio ho sempre ascoltato dalla musica classica alla musica popolare fino ai cori alpini. Alcune canzoni dell’epoca erano bellissime. Da allora il gruppo (i Matia Bazar ndr) ha fatto delle belle musiche, ma poi mi sono fermata 7 anni per riprendere successivamente con musiche di provenienze diverse l’una dall’altra, e con la sperimentazione. Canto anche brani di sconosciuti, che non hanno lasciato traccia del loro passaggio se non attraverso la musica. Ad esempio c’è una musica sacra tedesca di questo compositore che ha lasciato questo documento e nient’altro. Non si sa nulla di lui. È bello cercare nei meandri dell’arte. Continuerò a fare così, è l’unico modo per fare musica in modo piacevole.»

Il suo cambio di percorso è dovuto ad una sensazione di appiattimento della musica pop, e quindi ad una relativa perdita di interesse da parte sua?

«Con la società sono cambiati gusti e proposte. Non che non si faccia buona musica oggi, ma non passa in radio. Va ricercata, ed è un processo che riguarda solamente gli appassionati. Per quanto riguarda il pop, negli anni ’70 e ’80 c’erano capolavori, basti pensare al filone progressive. Oggi per trovare qualcosa di buono bisogna, come dicevo prima, approfondire molto.»

Cosa pensa dei social e della musica liquida? Crede che abbiano impattato sulla percezione musicale e l’appiattimento odierno?

«Penso di sì. Ormai difficilmente si può scrivere una canzone buona se non stai con te stesso, il più lonano possibile dal caos. Altrimenti è d’obbligo combattere con difficoltà enormi per creare qualcosa di unico, di tuo. Ora c’è solo la ripetizione, pressoché infinita: è quasi tutto uguale. Se non ti stupisci che cosa vai ad ascoltare…sembra di sentire di continuo la copia della copia della copia… »

Cos’è oggi, a suo parere, l’anticonformismo? Lo chiedo a te in quanto coraggiosa cantante che non ha – a mio modo di vedere – mai arretrato rispetto alle proprie convinzioni.

«Non ne ho idea. Poteva avere un senso nei primi del ‘900, e fino agli anni ’60. In quei periodi la società ha avuto una totale trasformazione. Ora vale tutto e niente. Se uno fa arte la deve fare per se stesso, ma non deve pensare a commerciarla, a fare un prodotto da vendere. O fai l’uno o fai l’altro. Le due cose difficilmente si incontrano. Poi succede che qualcosa di valore possa arrivare al prossimo, ma è raro. Recuperare, o meglio non avere abbandonato dei valori, essere se stessi, può dirsi anticonformismo.»

Musica italiana: che rapporto ha con i colleghi del mondo pop-rock?

«Sono talmente lontana da tutto e da tutti, che da persona che fa musica, posso stimare alcuni artisti e al contrario essere in disaccordo con altri. Non ci sono rapporti “fisici”. Io stimo le persone attraverso quello che fanno, anche senza frequentarle. Vivo le poche frequentazioni amichevoli con parsimonia, il mondo della musica l’ho frequentato con più continuità tanti anni fa. Poi certo, frequento i musicisti. L’amicizia profonda è rara, se la si trova nella vita bisogna ritenersi fortunati. Stimo chi segue una propria direzione, chi non copia, chi non vuole avere visibilità, che non fa di tutto per esserci. Ho una visione di alto artigianato. L’artigiano, che forse esiste ancora, fa le sue cose e continua anche se non piacciono al pubblico. Segue la sua strada.»

Se dovesse dare qualche consiglio ad un/una giovane che vorrebbe seguire le sue orme…quali sarebbero?

«È molto difficile, se non impossibile. Se non fai parte di un certo meccanismo, che io e te conosciamo, spesso non vieni neanche ascoltato. Io vado, provo ecc e non mi lamento se non riesco ad entrare in una certa dinamica. Oppure trovo persone che vogliano sperimentare dal vivo e suonare dal vivo. Nel jazz, nella classica, nella popolare ci sono giovani che fanno cose geniali, specie nella classica, ci sono ragazzi che hanno tra i 14 e i 20 anni e sono già dei professionisti, che avranno una lunga carriera. Ma sono eccezioni. Sicuramente chi vuole seguire le mie orme deve accompagnarsi a suoi simili e sfondare porte, ma non quelle del business dove se non piaci ti mettono da parte. E anche se piaci può succedere che, successivamente, ti sostituiscano. E questo per il morale è deleterio. Il business ti può corrompere, se non hai la forza di opporti. Purtroppo questi meccanismi negativi si espandono anche in altri ambiti, vedi i giovani laureati sfruttati… »

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