L’inizio del Novecento ha visto nascere uno dei talenti più eccentrici e dissacranti nella persona di Salvador Dalì e a lui è dedicato il quarto libro della collana “Artistica“, diretta da Monia Rota, Il grande racconto di Dalì, pubblicato il giugno scorso da Edizioni della Sera.

É un agile volumetto che traduce l’arte del pittore catalano in racconti molto diversi tra loro, andando oltre la procedura dell’ekphrasis e originando narrazioni di grande impatto.

Diciotto autori e autrici hanno liberamente scelto una tela dell’artista senza «una griglia di opzioni preimpostata» precisa la curatrice, in modo da permettere a ciascuno/a di «tirare fuori il meglio di sé». E non c’è neppure uniformità di stile o genere, infatti l’opera di Dalì è solo il punto di partenza per parlare di una varietà di temi importanti, come del resto ha fatto anche l’artista, perché «l’unione di parole e arte va proprio a lavorare sulle emozioni primordiali e libera aspetti di sé che in contesti più strutturati faticano ad emergere» continua Rota.

Simboli, colori e provocazioni hanno generato in autrici e autori racconti densi di suggestioni, seguiti ciascuno da una scheda tecnica che riguarda l’opera ispiratrice e introdotti, in apertura del libro, da una dissertazione sulla vita di Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalì i Domenech (1904 – 1989), che chiarisce i suoi rapporti con la famiglia di provenienza, il Surrealismo, i colleghi pittori e le sue molte muse, nonché l’anticonformistica unione con la moglie, detta Gala.

La copertina de Il grnde racconto di Dalì, pubblicato da Edizioni della Sera nella collana “Artistica”, giugno 2021.

Tra gli emblemi ricorrenti troviamo gli orologi molli de La persistenza della memoria (1931), scelto per il suo racconto da Barbara Salazer, 19:00, che trasforma in occasione per riflettere sulla diversa percezione del tempo in un rapporto madre-figlia, improntato alla generosità del riconoscersi e amarsi nei propri limiti.

A La metamorfosi di Narciso (1937) si rifà il racconto di Dario Orilio, Memoria intrauterina, una sorta di autobiografia dello stesso pittore che rimanda alla difficile presenza assenza del fratello morto, di cui prende il nome e, secondo i genitori, risulta esserne la reincarnazione.

Miriam Palombi ha scelto invece Ballerina in un teschio (1939), inserito tra le visioni oniriche dell’artista, per farne una novella dallo sconcertante sapore horror, Danse macabre.

L’enigma di Guglielmo Tell (1933) è il punto di partenza per Alice Bassi che ci conduce, con voce maschile, in un rapporto disfunzionale di coppia, di cui è l’infanzia a pagarne lo scotto, nel racconto La carezza.

Che Dalì avvertisse una pesante influenza freudiana si coglie nella tela Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio (1944), fonte ispiratrice del testo di Diego Barsotti, storia verosimile di scoperta e accettazione di una malattia, Risveglio causato dalla puntura di un’apechemioterapeuta.

Il Telefono aragosta (1938) è il «perfetto archetipo del manufatto surrealista, ottenuto mediante l’accostamento di oggetti che, di norma, non hanno alcuna correlazione» leggiamo nella scheda tecnica. Ne cattura la suggestione Elena Marrassini in Senza rete, per narrare la fine di un rapporto in cui il telefono è ancora l’indesiderato trait d’union fra coniugi, ma finirà anch’esso tra gli oggetti eliminati.

Salvador Dalì, L’enigma di Guglielmo Tell, 1933, Salvador Dali, Moderna Museet, Stockholm, foto di Richard Mortel, CC BY 2.0, Flickr 

Risulta quasi impossibile accennare a tutti i racconti senza scadere nella mera didascalia. Meglio incuriosire e invitare alla lettura di questo libro che, nelle intenzioni della curatrice, si configura come un viaggio nell’opera del geniale artista accompagnati dalle parole che ha ispirato. Una sapiente contaminazione che ogni lettore e lettrice farà sua cogliendone gli aspetti che più aggradano, quelli vicini alla propria esperienza, assimilati per formazione, o anche affini ai gusti e vicini ai sogni.

©RIPRODUZIONE RISERVATA