In pratica il DPCM che resterà in vigore sino alla fine di novembre, ha assunto i provvedimenti più severi (pochi) tra quelli suggeriti dalle Regioni e vi ha affiancato quelli altrettanto stringenti del Governo. Conte ha accontentato i governatori lasciando libere le pratiche turistiche invernali, ha previsto indennizzi pressoché immediati, non ha posto limiti negli spostamenti, non andando oltre al consiglio di ridurli più possibile. Non ha, però fatto nemmeno mezzo passo indietro sulla spinosissima questione dei bar e ristoranti e si è rifiutato di rendere totalmente a distanza l’istruzione superiore. Siamo davanti a uno scontro ormai dichiarato, con gli orari della ristorazione diventati il simbolo. Tutti chiusi alle 18.

Per il settore rischia di essere un bagno di sangue, una prospettiva di fronte alla quale sarà ben difficile trovare disponibilità alla comprensione e alla pazienza semplicemente sulla scorta della promessa di un provvedimento immediato di aiuto economico. Gli intoppi e i ritardi dei mesi scorsi non depongono a favore della fiducia. Quindi stiamo assistendo a un suicidio politico o a una strategia coraggiosa, ma calcolata? È naturale chiederselo, perchè oltre ai punti di cui abbia parlato, il DPCM ha un impianto severissimo: stop a palestre e piscine, stop a cinema e teatri, stop a fiere, possibilità di chiusura di strade a piazze.

Lasciamo perdere le considerazioni di opportunità e legittimità sanitaria, e concentriamoci sull’impatto sociale. Le premesse per una protesta consistente ci sono quasi tutte e – diciamo la verità – a una politica che mette sul tavolo il carico da undici non siamo tanto abituati. Naturale immaginare un minimo di scenario.
Innanzi tutto siamo in una rara fase di pausa elettorale e dunque il rischio di ripercussioni delo malcontento è contenuto. Poi si avvicina il periodo natalizio: una stretta ora, con poi un allargamento delle maglie tra dicembre e gennaio, potrebbe costituire un compromesso alla fine accettato. Ma come sempre lo scenario comprende anche qualche indiscrezione che in questo caso chiamerebbe in causa i rapporti con l’Unione Europea. Una ricostruzione che gira nei corridoi della politica vorrebbe un Conte che nelle ultime settimane avrebbe intessuto rapporti con Bruxelles tesi a garantirgli un arrivo rapido di fondi e una tolleranza notevole su un prossimo ulteriore sforamento di bilancio. Al momento il premier lo ha escluso, ma un cambio di direzione nel nome del sostegno all’economia non susciterebbe disappunto. In questa visione, anche il lavori in corso per il ricollocamento del gruppo dei parlamentari europei del Movimento 5 Stelle in area socialista, se non addirittura popolare, troverebbe un significato.

Dunque l’ipotesi vedrebbe soldi in arrivo, con un forte potere consolatorio nei confronti dell’opinione pubblica e lo spuntamento delle armi di propaganda delle opposizioni. C’è anche chi si spinge più in là, bisbigliando che a quel punto Conte potrebbe voler far saltare il banco e assicurarsi la partita, con una crisi di governo pilotata. Tutto a patto che la condizione sanitaria migliori. E anche in fretta.

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