Mentre il femminicidio continua a occupare tristemente le cronache nazionali, vogliamo fare luce su una forma di abuso a sfondo sessuale poco conosciuto e che è importante conoscere, dato l’impatto sui ragazzini minorenni: la pornografia non consensuale, ovvero la diffusione di materiale intimo senza l’approvazione del soggetto ritratto in fotografia o nel video.

Reati dall’impatto devastante

La Polizia delle Comunicazioni riconosce in effetti molte tipologie di NCP (acronimo preso dall’inglese non-consensual porn), tra cui il più noto è forse il cosiddetto Revenge Porn, attuato tipicamente da un ex partner per vendicarsi infangando la reputazione della compagna che l’ha lasciato. Le immagini a sfondo erotico-sessuale possono essere linkate sui social della vittima oppure inviate a familiari, amici e colleghi tramite messaggi privati.

Le conseguenze di un simile comportamento finiscono troppo spesso nella cronaca nera, vista la facilità di degenerare in stalking, minacce, perfino omicidio. Un caso piuttosto recente è quello di una maestra d’asilo del torinese, messa alla gogna e costretta a dimettersi dopo che l’ex fidanzato aveva condiviso in una chat tra amici, i video intimi che lei gli aveva affidato. «Sono solo per te» aveva scritto lei, ma quei filmati erano passati di cellulare in cellulare fino a raggiungere la mamma di un’alunna che l’ha denunciata alla direzione. La donna viene colpita dallo stigma sociale verso la sessualità, umiliata e costretta a lasciare la scuola; fino a pochi giorni fa, quando un giudice ha condannato la dirigente e la mamma denunciante a 13 e 12 mesi rispettivamente, per violenza privata, diffamazione e violazione della privacy.

Vittime, femminile plurale

Per la vittima, la vergogna per il discredito sociale, cui si aggiunge – come in questo caso – la perdita del lavoro e degli affetti familiari, o addirittura la necessità di trasferirsi, porta quasi sempre a gravi forme depressive o anche al suicidio. Diffondere materiale ottenuto talvolta con l’inganno, tradire la fiducia di chi ha accettato di posare per amore o per gioco, sono comportamenti malati, di uomini (ma anche donne, seppur con altre e diverse implicazioni e risonanza) che non sanno accettare la fine di una storia e riducono il/la partner a oggetto sessuale, violabile da chiunque, un corpo offerto agli sguardi di tutti per azzerarne il valore.

Secondo il dossier di novembre 2020 del Servizio analisi della Direzione Centrale di Polizia Criminale (qui trovate il dossier) l’82% delle vittime sono donne, mentre il 18% è di sesso maschile. Tra le donne la stragrande maggioranza sono italiane maggiorenni. In Italia il fenomeno è in aumento e sta raggiungendo picchi preoccupanti, con due episodi di revenge porn segnalati al giorno, e una stima della Polizia Criminale di circa un migliaio di indagini in corso a fine 2020.

Web e adolescenti

Ci sono però altre forme più subdole da riconoscere e, anche per questo, molto più pericolose negli effetti a lungo termine. Da un lato, perché ne sono quasi sempre soggetti inconsapevoli ragazzi molto giovani e dall’altro perché la libertà assoluta del web offre a un pubblico affamato di contenuti scabrosi un campo di gioco senza regole e potenzialmente illimitato nello spazio. Stiamo parlando di quelle situazioni in cui il materiale intimo scambiato tra ragazzi finisce in rete senza un’evidente volontà di nuocere, a volte semplicemente per hacking di applicazioni poco protette, altre con la coscienza di fare qualcosa senza comprenderne appieno la portata. È una casistica che sembra soltanto meno violenta: anche in assenza di una crudeltà intenzionale, gli effetti sulla vittima, che spesso neanche sospetta la possibilità di un atto simile, sono ancora più pesanti.

I dati più aggiornati risalgono al 2018, in una ricerca del popolare portale per ragazzi Skuola.net, che ha coinvolto 6500 utenti tra i 13 e i 18 anni, e riportata sia dalla Polizia di Stato che dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza.

Il 6% dei giovanissimi fra gli 11 e i 13 anni invia abitualmente proprie immagini a sfondo sessuale per via telematica, con una prevalenza per le femmine, due terzi delle intervistate. Aumentando la fascia d’età (14-19 anni) la percentuale di chi invia, anche al solo partner, materiale intimo cresce al 19%.

Complessivamente, il 24% di loro dichiara di aver scambiato almeno una volta immagini intime in chat o social. Tra questi, il 15% ha subito la condivisione non consensuale del materiale. Sconcertante leggere come il “motivo” più comune (quasi la metà dei casi) sia uno scherzo, una leggerezza, così per ridere. Presenti anche il ricatto (11%) e la vendetta (7%). La reazione più diffusa sono il far finta di niente (53%) e il timore di essere giudicati (31%), soprattutto per le ragazze. Molti adolescenti maschi dichiarano di trovare “una cosa normale” filmarsi durante un rapporto sessuale e condividerlo con gli amici.

I ragazzi ammettono anche l’abitudine di diffondere materiale pornografico su siti e canali internet che si sono specializzati in materiale non professionale, giustificando tali azioni con una scrollata di spalle collettiva. Sembra più importante acquisire visibilità social, ottenere il riconoscimento dagli amici veri e virtuali, piuttosto che pensare per un momento alle persone che sono ritratte nel video, spesso totalmente ignare del fatto che loro immagini stiano raggiungendo l’intero mondo.

–> Leggi anche “Le colpe dei padri (e delle madri)” per approfondire i dati dell’Osservatorio nazionale adolescenti.

Il diritto alla rimozione spesso è un’utopia

Un’agghiacciante inchiesta di Nicholas Kristof (vincitore di due Pulitzer) per il “New York Times” racconta la  vita di ragazzi finiti inconsapevolmente su piattaforme come PornHub o Telegram, sottolineando come sia praticamente impossibile esercitare il diritto alla rimozione garantito dalle normative in materia di privacy. Sono piattaforme che non controllano la provenienza e non vietano di scaricare i contenuti e condividerli con altri. Anzi, tale comportamento viene sollecitato per aumentare la visibilità del sito (e ottenere inserzioni pubblicitarie) e incentivato con veri e propri “crediti” e graduatorie tra utenti.

PornHub è quel sito che si presenta come la faccia simpatica del proibito, un sito di pornografia spesso auto-prodotta, proposta in molte accattivanti categorie, ma al tempo stesso impegnato in attività benefiche, in donazioni agli enti per la lotta alle discriminazioni. All’inizio della crisi pandemica aveva regalato un anno Premium gratis agli utenti nell’intento di “sollevare gli animi dei single chiusi in casa”. Si stima che riceva ogni mese 3,5 miliardi di utenti, ben oltre Netflix o Amazon, collocandosi al decimo posto globale dei siti più visitati, sostenuto economicamente da qualcosa come 3 miliardi di inserzionisti.

PornHub è anche una delle controparti più refrattarie a collaborare con chi viene a scoprire l’illecito e pretende la rimozione dei contenuti. Nonostante la sede sia, per ragioni fiscali, in Lussemburgo e quindi teoricamente soggetta alla disciplina UE in tema di privacy e diritto all’oblio (il GDPR entrato in vigore nel 2018 per gli Stati membri), fino a poco tempo fa le richieste venivano rallentate in sfacciate pratiche ostruzioniste. Dopo il report del NYT, PornHub si è finalmente impegnato a interrompere l’utilizzo di video di donne che non avessero dato il consenso, a rafforzare gli adempimenti e le dichiarazioni per poter caricare video e infine ad aumentare il numero dei “moderatori” incaricati di verificare che non si siano commessi illeciti in upload. Basti pensare che attualmente sono 80 (contro gli oltre 15.000 di Facebook, per fare un parallelo).

La proprietà di PornHub risale a Mindgeek, un conglomerato pornografico privato che gestisce un centinaio di siti, compagnie di produzione e marchi come Youporn, Xtube, Redtube, per citarne qualcuno di noto. Esistono dei concorrenti, ma Mindgeek può essere definito come il vero gigante mondiale del porno. In uno studio di società digitali, è stato accreditato del terzo posto per il suo impatto sulla società nel 21mo secolo, dopo Facebook e Google, ma prima di Amazon o Apple.

Al di là della sede europea pro-forma, la società – che non dichiara i propri azionisti – viene gestita da due canadesi, da Montreal. Una nazione da cui non te lo aspetteresti, in effetti, con il primo ministro Trudeau così pubblicamente impegnato nel favorire la parità di genere, il femminismo e l’equità tra tutti gli esseri umani. Sarebbe un’interessante domanda da porgli, ma probabilmente la risposta non sarebbe soddisfacente.

Telegram, aumentano i “professionisti” del porno amatoriale

L’altro luogo virtuale in cui si compiono questi crimini, citato nell’inchiesta NYT come “inattaccabile dalle critiche e dalle denunce”, è la piattaforma di messaggistica con sede in Russia Telegram, dove sono in costante aumento i gruppi specializzati in materiale pornografico amatoriale. Già noto alle cronache per la sregolatezza dei suoi affiliati, in nome di un principio superiore di libertà assoluta e rifiuto di ogni forma di censura, Telegram semplicemente non risponde alle segnalazioni, sia che vengano dalle vittime, dalle associazioni che le tutelano o addirittura dalle autorità.

Sia su Pornhub che su Telegram sono moltissimi i canali che spudoratamente promettono sesso tra minori, sesso tra bambini o violenza sessuale. Sempre il NYT riporta che la ricerca “Girls14” (bambine fino a 14 anni) restituisce oltre 100.000 contenuti. Canali su cui finiscono i video che una ragazzina manda al fidanzato, oppure quelli estorti con ricatti sociali o anche prodotti con l’uso del deep fake, tecnica che sostituisce il viso di una pornostar con il volto di una ragazza ignara e che, al momento, sfugge a qualsiasi divieto legislativo.

Nessuna “goliardata”

In occasione della Giornata internazionale contro il bullismo, lo scorso 7 febbraio, sono stati divulgati i primi esiti di una ricerca dell’Osservatorio Indifesa, fatta su 6000 ragazzi tra i 13 e i 23 anni e riguardante i temi del cyberbullismo. Tra i peggiori incubi delle ragazze ci sono il revenge porn (52%), le molestie online (51%) e la perdita della privacy (44%), sintomo che sta crescendo la consapevolezza sui rischi e sulle conseguenze di certi comportamenti troppo leggeri.

Ancora molto resta da fare per accrescere nei ragazzi le conoscenze sia sul problema, troppo spesso derubricato a goliardata, sia sulle misure di prevenzione e di risoluzione delle casistiche più gravi, quando il materiale affidato in buona fede comincia a circolare senza controllo e soprattutto senza il consenso della persona ritratta.

Ne parliamo nel prossimo articolo su questo complesso e delicato tema, in uscita nei prossimi giorni.

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