Secondo l’art. 30 della Costituzione “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire, educare i figli. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”. Da questa premessa parte, quindi, la scelta di un numero crescente (quasi raddoppiato durante il lockdown) di famiglie di non mandare i figli a scuola preferendo l’istruzione familiare (o homeschooling), anche a fronte della convivenza forzata, delle limitazioni e delle paure per l’epidemia Covid.  

Di cosa stiamo parlando? Si tratta di sostituire alla scuola classica (pubblica o privata) un modello di istruzione in cui è la famiglia a provvedere direttamente all’educazione dei figli: per fare questo, i genitori devono rilasciare al dirigente scolastico della scuola più vicina un’apposita dichiarazione, da rinnovare anno per anno, circa il possesso della capacità tecnica o economica per provvedere all’insegnamento parentale; questi studenti sostengono annualmente l’esame di idoneità per il passaggio alla classe successiva in qualità di candidati esterni presso una scuola statale o paritaria, fino all’assolvimento dell’obbligo di istruzione.

Erika Di Martino
(immagine da Facebook)

In un’intervista sul tema, Erika Di Martino, attivista sociale e fondatrice di un affermato network istruzione familiare, metteva in risalto i vantaggi: ogni famiglia può modulare i propri impegni in autonomia, i ragazzi non sono vincolati né negli spazi né nei tempi; sottolinea poi il concetto di responsabilità (pulizia e gestione anche da parte dei bambini degli ambienti, ovvero della casa) anche tra fratelli (anche se, in famiglie con uno o massimo due figli, questo risulta non funzionale). Questo certo è uno dei punti su cui si insiste più spesso, ovvero che la scuola “tradizionale” non sembra a misura di bambino: “pochissimo spazio per il gioco, per le attività all’aperto, per l’esercizio fisico, per la creatività, per la ricerca personale di sé…” afferma in questo senso un blog tematico insieme a un altro punto importante, la scelta di riconquistare un diritto e non delegare più la scuola per l’istruzione.

In genere, a condividere questo modello sono famiglie molto numerose (almeno nelle intenzioni), che preferiscono partorire in casa, che hanno un forte senso della sostenibilità ambientale nelle scelte di vita, alimentazione compresa; che hanno, insomma, in mente un progetto complessivo e alternativo di vita. Ci sono poi altre realtà, specie di ispirazione religiosa, che vedono questa possibilità educativa come luogo anche per l’insegnamento familiare, per esempio, del sacerdozio e che, in generale, hanno bisogno di un sistema educativo “chiuso”.

L’istruzione familiare è certamente una scelta che rafforza di molto il rapporto tra i componenti della famiglia, che innesca dinamiche di autotutela tra fratelli e autoresponsabilizzazione, che porta i bambini spesso a contatto con un sapere pratico ed esperienziale rispetto a quello sempre più teorico della scuola italiana, che preferisce a un sapere individualizzato uno standard di apprendimento dell’istruzione per classi di età.

Tuttavia, come per ogni scelta, c’è un ma. Queste famiglie, come nelle bande umane agli albori della civiltà, si prendono cura dei propri figli in modo diretto e fanno rete tra di loro: ma il contatto dei figli con altri che non siano parte di questa rete, ovvero la socialità della scuola statale o privata, è ridotto o assente; i ragazzi, quindi, conosceranno solo parte del mondo reale, quello filtrato dai genitori. Daniele Novara, pedagogista, segnala poi il rischio che gli aspetti emotivi diventino prevalenti rispetto la sfera dell’apprendimento, il che non è un bene visto che la scuola “deve essere un luogo neutro dal punto di vista emotivo”.

C’è poi l’aspetto genitoriale: è evidente che in famiglia un genitore (indoviniamo chi) dovrà o rinunciare al lavoro o alla carriera o costruirsi una professione nei ritagli di tempo. Nulla di male, ma non è detto che siano tutti disponibili e nemmeno che ogni genitore sia un buon insegnante.

Infine, l’aspetto dell’indottrinamento. L’istruzione familiare di fatto permette di costruire, come spesso accade nei USA, una sorta di bolla, di isolamento ideale per gruppi religiosi o famiglie con ideali particolari o settari, con il rischio potenziale di un’educazione senza contraddittorio e la crescita di ragazzi alienanti. Non che l’indottrinamento non ci sia nella scuola ordinaria, anzi, ma è il cemento sociale necessario a puntellare uno spirito nazionale e di comunità già instabile di suo.

“L’istruzione è l’arma più potente che abbiamo per cambiare il mondo” affermava Nelson Mandela: crescere a casa i propri figli può forse essere una rivoluzione per alcuni bambini fortunati che potranno crescere con i loro tempi e con valori forti ma, allo stesso tempo, una maledizione per i ragazzi con genitori non all’altezza o addirittura invasati. Un cambiamento di paradigma, insomma, che invece di creare attraverso le nuove generazioni un’alternativa sostenibile e consapevole al sistema potrebbe perdersi in tanti piccoli nuclei autonomi e settari.