Massimo Gaggi, corrispondente per gli Stati Uniti del Corriere della Sera, è stato ospite pochi giorni fa dell’Associazione Italia Stati Uniti di Verona e di Heraldo, media partner dell’iniziativa. È stata un’occasione, alla presenza anche dei giovani studenti dell’Istituto Copernico-Pasoli nel cui forum si è svolto l’incontro, per cercare di comprendere cosa sta succedendo in questo periodo negli Stati Uniti.

L’incontro nasce in seguito all’uscita dell’ultimo libro del giornalista, “Crack America. La Verità sulla crisi degli Stati Uniti”, edito da Solferino.  Un titolo, come lo stesso autore evidenzia, che al momento dell’uscita poteva forse apparire molto provocatorio e invece, a distanza di qualche mese fotografa perfettamente la situazione degli USA: «Una gestione carente del coronavirus e una campagna elettorale deprimente – ha spiegato in quell’occasione Gaggi – Gli Stati Uniti attraversano una crisi, non tanto economica, ma strutturale e soprattutto culturale, che implica un doveroso ripensamento su sé stessi e sulla propria identità.»

È proprio a partire dall’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 che si impone una nuova riflessione, a partire da quella sul sistema sanitario e la concezione della salute in America. La sanità in Italia e in gran parte dell’Europa è ancora – per fortuna – un diritto collettivo, indipendentemente dalle disponibilità economiche del singolo cittadino. In America sappiamo, invece, che la sanità è considerata una libera scelta e una sorta di responsabilità individuale. Si viene curati se si ha stipulato un’assicurazione sanitaria. Come afferma lo stesso Gaggi, «se hai un’assicurazione che copre solo un ciclo di chemioterapia, il secondo ciclo lo fai solo se te lo puoi permettere.» Al di là degli aspetti etici e delle profonde differenze dal punto di vista ideologico sui valori della società americana, il Covid-19 ha mostrato una nuova dimensione dell’idea di Sanità: e cioè che se la persona risultata positiva non viene curata c’è la possibilità che il virus si diffonda. In altre parole, la mancata cura ha effetti negativi non più solo sul singolo individuo, ma sull’intera società. E non è un caso se le ultime  dichiarazioni del Presidente Trump (fra l’altro atteso dalle elezioni presidenziali il 3 novembre) sono state a favore di una distribuzione gratuita del farmaco Regeneron. 

In ogni caso, l’obiettivo dell’intervento di Gaggi, è stato quello  di andare più in profondità rispetto a quanto scritto quotidianamente sui giornali, magari anche da lui stesso. Raccontare, in altri termini, quella che possiamo considerare a tutti gli effetti un’involuzione di un Paese che rimane alla guida del mondo occidentale e che sta attraversando una sorta di limbo interlocutorio, caratterizzato da molteplici elementi, sia positivi sia negativi. Uno  è quello dell’indipendenza energetica. Anche grazie a innovative tecniche estrattive, gli USA sono diventati il primo produttore al mondo di combustibili fossili (petrolio, gas) e da tempo ormai non hanno più bisogno di importare energia, come ad esempio dall’Arabia Saudita, mentre dal punto di vista ambientale dispone di tecnologie all’avanguardia. E poi c’è il grande vantaggio del  dollaro, la valuta di riferimento a livello globale: «È vero che il Paese è in deficit, ma questo può essere anestetizzato attraverso una stampa ulteriore di banconote – spiega Gaggi – D’altronde il tasso di inflazione è sostanzialmente  sparito negli ultimi vent’anni anche grazie alla concorrenza cinese che ha abbassato di molto i prezzi al consumo e l’inflazione oggi non rappresenta un grande problema.»

Massimo Gaggi, intervistato da
Riccardo Giumelli,
durante l’incontro a Verona

Un altro elemento molto importante e riconosciuto è l’immutato spirito imprenditoriale, la dimensione individuale e quindi la meritocrazia.  Su questo tema è emersa una curiosità: Gaggi  racconta come nel 1972 l’ex presidente Richard Nixon, su suggerimento di Dick Cheney (che diventerà il vice presidente nell’era di George W. Bush all’inizio di questo secolo), propose una sorta di salario minimo, l’UBI (Universal Basic Income). Una sorta di “bestemmia” per i conservatori. A lasciare l’amaro in bocca, però, sono soprattutto le infrastrutture statunitensi, non certamente all’altezza della grandeur americana, come una rete ferroviaria inferiore a quella regionale italiana oppure una rete elettrica obsoleta, realizzata più di cento anni fa e mai veramente rinnovata, soggetta a guasti continui e spesso causa di incendi o disastrosi black out. Per non parlare, infine, della rete autostradale, costruita negli anni Cinquanta all’epoca del Presidente Eisenhower e mai più rinnovata, tanto che alcune strade rese mitiche anche dalla letteratura (basterebbe pensare alla Route 66 immortalata da Jack Kerouac nel suo “On the road) oggi sono per larghi tratti inutilizzabili per il dissesto del manto stradale.

Insomma, gli Stati Uniti vivono oggi molteplici contrasti che, possiamo immaginare, stanno lacerando il Paese che si appresta ad affrontare le incerte elezioni del prossimo mese. Per Gaggi è difficile al momento, malgrado i sondaggi (ritenuti inattendibili) diano in vantaggio lo sfidante Joe Biden, capire cosa accadrà. Visto quanto accaduto quattro anni fa con la sconfitta di Hillary Clinton, data per vincente fino all’ultimo da tutti gli esperti di politica internazionale e non, potrebbe davvero succedere di tutto. Se poi a ciò aggiungiamo il fatto che Trump pare non essere intenzionato a riconoscere la sua ipotetica sconfitta elettorale, la situazione si complica ancor di più.