Era il 23 gennaio quando in Italia si cominciava ad avere la percezione della pericolosità di quel virus che si stava diffondendo in Cina, che era passato dagli animali all’uomo e che uccideva per insufficienza respiratoria. In molti iniziarono a guardare con sospetto tutte le persone con gli occhi a mandorla, vicine di casa e di negozio. Ci sembrava, in quei primi giorni, un problema comunque molto distante, rassicurati anche dal Governo italiano che sosteneva che il rischio di un’epidemia di Coronavirus era praticamente nullo.

A distanza di nove giorni da quella prima notizia, nella Gazzetta Ufficiale del primo febbraio, venne però pubblicata questa delibera: «… Viste le raccomandazioni alla comunità internazionale della Organizzazione mondiale della sanità circa la necessità di applicare misure adeguate; considerata l’attuale situazione di diffusa crisi internazionale determinata dalla insorgenza di rischi per la pubblica e privata incolumità connessi ad agenti virali trasmissibili, che stanno interessando anche l’Italia; ritenuto che tale contesto di rischio, soprattutto con riferimento alla necessità di realizzare una compiuta azione di previsione e prevenzione, impone l’assunzione immediata di iniziative di carattere straordinario ed urgente, per fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività presente sul territorio nazionale. Considerata la necessità di supportare l’attività in corso da parte del Ministero della salute e del Servizio sanitario nazionale, anche attraverso il potenziamento delle strutture sanitarie e di controllo alle frontiere aeree e terrestri;
Vista la nota del 31 gennaio 2020, con cui il Ministro della salute ha rappresentato la necessità di procedere alla dichiarazione dello stato di emergenza… Ritenuto, pertanto, necessario provvedere tempestivamente a porre in essere tutte le iniziative di carattere straordinario sia sul territorio nazionale che internazionale, finalizzate a fronteggiare la grave situazione internazionale determinatasi; Tenuto conto che detta situazione di emergenza, per intensità ed estensione, non è fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari; Su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri; Delibera: … è dichiarato, per 6 mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili… Per l’attuazione dei primi interventi, si provvede nel limite di euro 5.000.000,00 a valere sul Fondo per le emergenze nazionali…».

Palazzo Chigi

Quindi il Governo Conte aveva deciso di stanziare cinque milioni di euro per i primi interventi, certo che il virus prima o poi avrebbe bussato alle nostre porte e sarebbe entrato nelle nostre case. Non solo, il Consiglio dei Ministri prevedeva che per sei mesi a partire dalla data di quel provvedimento ci sarebbe stato lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso al Covid-19. 

Da un lato, dunque, dobbiamo prendere atto della quasi immediata presa di coscienza del problema da parte dei vertici italiani, dall’altro, però, anche del messaggio distorto lanciato alla popolazione da parte dei vari leader di destra e di sinistra che “aperitivavano” abbracciandosi, invitando la popolazione ad uscire e continuando, in poche parole, a sminuire la gravità del contagio e la sua letalità. Un comportamento non consono allo tsunami che stava per cadere sulle teste di noi tutti. A ciò si aggiunge che, nel frattempo, il personale sanitario di ospedali e i medici e i pediatri di base non venivano muniti di protezioni con mascherine adeguate, occhialini e vestizioni idonee. 

Il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia

Ci si chiede, dunque, perché dal primo febbraio non si sia fatto nulla per arginare il problema e, invece, si siano attesi che a Codogno e a Vo’ Euganeo partissero i focolai prima di agire. Nel paesino del padovano la prima vittima è spirata il 21 febbraio, lo stesso giorno in cui a Verona si festeggiava il Venerdì Gnocolar, con la città e la provincia accalcate nelle strade del centro, mentre domenica 23 il Carnevale di Venezia è stato annullato solo verso sera, quando ormai decine di migliaia di persone si trovavano già dalla mattina nella città lagunare. Il destino, poi, ha voluto che in terra scaligera il virus sia arrivato più tardi rispetto alle altre zone del Veneto e della Lombardia facendo abbassare pericolosamente la guardia e contribuendo al conseguente aumento esponenziale dei contagi riscontrato nel veronese negli ultimi giorni. 

E perché, ci si domanda ancora, a partire dal primo febbraio, vista la consapevolezza dell’imminente pandemia, almeno il personale sanitario non sia stato messo nelle condizioni di sicurezza, per loro e per i loro pazienti, con le adeguate protezioni? In questo modo non si sarebbe potuto contenere il contagio quantomeno negli ospedali e negli ambulatori? 

A oggi le misure prese inizialmente appaiono totalmente inadeguate e non tempestive. Si doveva, ma col senno di poi appare inevitabile dirlo, chiudere tutto fin da subito, come d’altronde dopo un po’ hanno fatto in Cina – e ora stiamo facendo anche qui –, e non percorrere la strada dei Decreti successivi che tentano, uno dopo l’altro, di arginare una situazione che si sta sempre più aggravando.