Alla fine il risiko delle aggregazioni strategiche di AGSM è diventato un gioco “lose-lose” in cui hanno perso tutti, specchio fedele della situazione politicoamministrativa della città. Hanno perso il presidente uscente Daniele Finocchiaro e soprattutto il sindaco di Verona Federico Sboarina, che non sono riusciti ad imporre l’aggregazione con A2A, nonostante la clausola di “infungibilità”, prima introdotta per blindare l’accordo con il colosso lombardo poi velocemente ritirata. L’accordo di fusione con la ben più piccola AIM che si è perfezionato cambia poco le carte in tavola. La multiutility vicentina ha una taglia troppo piccola per dare al nuovo gruppo una dimensione tale da poter competere con i giganti che lo circondano e nella battaglia per portare a termine l’aggregazione con i lombardi, nonostante il dissenso di praticamente tutta la maggioranza che lo sostiene, Sboarina ha ulteriormente logorato il suo già limitato capitale politico, rendendo ancor più debole la sua posizione. Ma ha perso pure la Lega e tutti i partiti/movimenti che si sono opposti all’aggregazione senza riuscire (o volere) indicare un’alternativa ad essa.

La vittoria di Pirro ottenuta stoppando A2A, dietro alla quale si delinea chiaramente il malcelato desiderio della Lega di occupare la poltrona della presidenza della multiutility cittadina, non cambia la sostanza delle cose. AGSM è il classico vaso di coccio tra vasi di ferro. Hera, A2A, Dolomiti-Asperia hanno dimensioni tali renderle competitor micidiali in un mercato come quello dell’energia dove i margini dipendono dalle quantità, e a maggiori quantità trattate corrispondono prezzi inferiori alla fine della filiera. Chi, come alcuni esponenti politici locali mette ancora in discussione che per AGSM un’aggregazione sia necessaria, semplicemente non sa quel che dice. Del resto per decenni la politica veronese non ha voluto consapevolmente affrontare il tema delle alleanze industriali, preoccupata com’era di mantenere ben chiusa nel suo pollaio la gallina delle uova d’oro di lungadige Galtarossa, prodiga a distribuire assunzioni, sponsorizzazioni, lavori e all’occorrenza utilizzabile come bancomat. Ma il mondo è irreversibilmente cambiato, come si sono accorti pure in lungadige Cangrande. Le realtà “local” nel mondo globalizzato hanno davanti a loro due scelte: aggregarsi o perire. In realtà il vero tema sottotraccia allo scontro sulle alleanze strategiche industriali che deve tessere AGSM è lo stesso che già si è visto con il caso della trasformazione di Cattolica Assicurazioni da società cooperativa a  Spa, ovvero le tensioni tra le realtà aziendali locali, pubbliche e private che siano, la loro governance, politica ma non solo e il mercato.

L’era dei “caminetti” e delle consorterie che avevano la mission di “conservare piuttosto che innovare” è giunta al capolinea. Il sistema economico della città, costruito attorno a alcune realtà aziendali pubbliche e private –pensiamo a AGSM, alla Fiera, alla stessa Cattolica Assicurazioni o al Banco Popolare e così via – che veniva controllato da una consorteria composta da numero limitato di famiglie dell’altissima borghesia, dalla Curia cittadina e dalle varie aggregazioni politiche è crollato con la crisi del 2008/2009. “Il mondo di ieri” è finito, anche se non significa che non abbia ancora la forza per dare qualche colpo di coda, vedi la vicenda del riuso dell’ex seminario a San Massimo. La politica pare non essersene resa conto, e ancora ragiona come se il suo mondo iniziasse e finisse al cartello con scritto “VERONA”. Caso AGSM docet.

La realtà globale delle consorterie locali non sa che farsene e AGSM, giunta con un colpevole ritardo a discutere di aggregazioni e alleanze, ora può far una cosa sola: trattare le migliori condizioni di fusione che siano ottenibili. Ieri Banco Popolare, oggi AGSM e Cattolica assicurazioni, domani la Fiera. Piaccia o meno ai retori della narrazione dei “gioielli di famiglia” da conservare nei cassetti, l’orologio dell’economia “radicata sul territorio” ha scoccato la sua ultima ora. Quale lezione trarre altrimenti dal collasso delle popolari venete, il cui “crack” ha causato contraccolpi anche nel tessuto economico cittadino e in qualche sua importantissima azienda?  L’errore vero nel caso della vicenda AGSM, occorre dirlo con estrema chiarezza, è stato quello di non voler indire una trasparente gara pubblica per individuare il partner industriale, trincerandosi dietro la clausola dell’”infungibilità”, che poi si è rivelata essere una tigre di carta. Purtroppo questa vicenda, come dicevamo all’inizio, rappresenta lo specchio di come la politica veronese (e non solo la politica) interpreti le sue relazioni con il mondo dell’economia in generale. Non ci sono ragioni di produttività e trasparenza che tengano di fronte alle logiche della lottizzazione e del “particulare”. E chi è ingenuamente convinto che il Covid abbia “cambiato il mondo” si studi la storia. L’umanità non ha smesso di commerciare e stare in relazione nemmeno durante le epidemie di peste nera che spazzarono via un terzo degli europei. Se ne facciano una ragione.