La giornata internazionale dell’aborto sicuro, che ricorre oggi 28 settembre, arriva in un’Italia che sul tema ha fatto un ulteriore passo avanti, grazie all’introduzione, lo scorso agosto, delle nuove linee guida sull’aborto farmacologico. Un tassello importante nell’applicazione della legge 194/78 per le due novità sostanziali: il ricorso alla pillola Ru486 non prevede più l’obbligo di ricovero e se ne potrà fare uso fino alla nona settimana di gestazione. 

È utile quindi tornare al testo della legge sull’aborto, che esordisce dichiarando lo scopo primario dello Stato italiano: tutelare la vita e sostenere la procreazione responsabile, pur nel diritto per «la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute, alle condizioni economiche, sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito», di rivolgersi a una struttura pubblica per trovare assistenza nel decidere se interrompere la gravidanza.

Continua il calo degli aborti in Italia

La 194 fissa paletti precisi e dispone un iter informativo, divulgativo e di assistenza alla donna, che possa così raccogliere tutte le conoscenze per una decisione da cui è volutamente escluso il padre, in ottica di ulteriore protezione da ingerenze esterne sulla volontà della donna. La legge suggerisce inoltre alternative all’interruzione di gravidanza e nell’educare alla prevenzione, vero strumento per migliorare la condizione femminile in tutti gli strati sociali.

Analizzando la relazione trasmessa dal ministero della Salute al Parlamento lo scorso giugno, su dati 2018, che monitora l’andamento delle interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg), si nota infatti un drastico calo negli anni del numero di aborti, che nel 1984 furono 234mila e negli ultimi 5 anni sono sempre stati sotto quota 100mila, con una riduzione media del 5,7% annuo. Nel 2018 ci sono state 76.328 Ivg (e oltre 440.000 nuovi nati) e pare innegabile il ruolo dei consultori nella divulgazione dei metodi contraccettivi, anche di emergenza.

Scorrendo i dati, conforta poi notare una percentuale molto bassa di minorenni (il 2,6%, peraltro quasi sempre sostenute dai genitori) e la percentuale più bassa in Europa di aborti ripetuti (circa il 25%), segnale che funzionano anche i supporti successivi previsti dalla legge.

È ancora bassa la quota di Ivg effettuata con la somministrazione farmacologica (nota come pillola RU486), un 21% scarso che mal si confronta con il 100% dei paesi scandinavi o il 70-80% di molti Paesi europei. In Italia si è continuato a ricorrere alla pratica, più invasiva, dell’intervento chirurgico, sia perché i farmaci sono sicuri solo per breve tempo (fino alla decima settimana di gestazione, ben prima dell’ecografia morfologica, triste causa di molti aborti), sia per le criticità evidenziate nella relazione ministeriale.

Parliamo di un farmaco il cui uso è stato regolamentato in Italia nel 2009, sebbene già dal 2005 alcune regioni avessero adottato protocolli di prescrizione, mentre il primo Paese a introdurlo fu la Francia nel 1988, seguito tre anni dopo dalla Gran Bretagna.

Le Regioni, fino alla recente modifica sostenuta dal ministro della Salute Roberto Speranza, avevano quindi discrezionalità nel proporre e regolamentare i tempi di degenza per la Igv farmacologica e questo finiva per scoraggiare una procedura che, su base scientifica, si è dimostrata efficace, sicura e meno traumatica per la donna, con complicanze in meno del 5% dei casi. Il caso dell’Umbria, che lo scorso giugno aveva abrogato la delibera che permetteva il day hospital, è stata l’ultima goccia per una presa di posizione definitiva da parte del ministero.

Foto di Antonella Beccaria

Ricovero o day hospital

Le nuove direttive hanno immediatamente scatenato le reazioni delle parti politiche contrarie alla Ivg farmacologica e, molto spesso, all’aborto tout court. Le recriminazioni più comuni riguardano l’abbandono della donna ai rischi sanitari e alle complicazioni, difficilmente gestibili da casa, e il pericolo che l’aborto diventi più facile e “spensierato” (come è stato definito da alcuni oppositori).

L’assunzione del farmaco richiede una decisione concordata con il medico, il quale valuta la situazione fisica, economica e sociale della donna, la possibilità di avere assistenza a casa e la congruità del percorso psicologico effettuato, documentato dalla certificazione rilasciata dal consultorio o dal medico di fiducia. La nuova libertà di decidere per il ricovero o il day hospital si fonda anche sull’evidenza di quello che le donne già dimostrano di volere: dati alla mano, sono più del 90% (per tutte le forme di Ivg) le pazienti che restano in ospedale un giorno o meno, il 76% quelle che firmano per le dimissioni volontarie. Se vivere questo difficile momento nella serenità e tranquillità della propria casa, spesso aiutate dalle amiche o dal partner, è già la scelta di quasi tutte le donne, la modifica non fa che accogliere ancora una volta lo spirito di libera decisione che è il fondamento della legge.

Senza contare le molte situazioni specifiche di violenza o disagio sociale che, in caso di ricovero obbligatorio, indurrebbero le donne a rivolgersi alla pratica illegale, fenomeno purtroppo ancora diffuso e stimato, nella citata relazione, in 10-13mila aborti clandestini l’anno. Numeri stabili che però, se messi in rapporto con il calo costante delle Ivg legali, segnalano l’esistenza di un problema, ovvero della difficoltà di esercitare il diritto all’aborto come previsto dalla 194.

Laddove sia più complicato l’accesso alle strutture autorizzate, le Ivg clandestine aumentano di conseguenza, tanto da sospettare che il fenomeno sia sottostimato numericamente. La reperibilità del farmaco per vie informali e la sua sicurezza rendono di fatto più difficile una stima accurata, visto che le situazioni in cui sia necessario il ricovero d’emergenza sono sempre meno.

Alla ricerca dei non obiettori

Il Ministro Speranza solleva anche l’annosa e mai affrontata questione della obiezione di coscienza, una possibilità prevista e tutelata dalla 194 che però, alla luce degli oltre diecimila aborti clandestini, evidentemente concorre a ostacolare l’accesso a percorsi legali. Speranza scrive nella relazione che sussiste «disomogeneità territoriale nella disponibilità di non obiettori rispetto alla richiesta di Ivg» anche se, aggiunge, «non sembra essere il numero di obiettori di per sé a determinare criticità, ma probabilmente il modo in cui le strutture sanitarie applicano la legge, facendo emergere una responsabilità delle Regioni sulla tipologie di strutture autorizzate dove si esegue».

Su base nazionale, nel 2018 si sono dichiarati obiettori il 69% dei ginecologi, il 46% degli anestesisti e il 42% del personale non medico. Tali dati aumentano scendendo verso sud, con l’80% dei ginecologi, il 65% degli anestesisti e il 75% del personale non medico. Numeri elevatissimi, medici che esercitano un diritto ma impediscono alle donne di esercitarne uno altrettanto legittimo. Il ministro Speranza, forse per primo, sottolinea l’importanza del tema, che andrebbe senz’altro approfondito e affrontato con una regolamentazione che impedisca alle regioni individualismi molto pericolosi, come quelli finiti recentemente sui giornali. Ricordiamo che il referendum del 1981 contro la Legge 194 fu respinto dal 68% dei votanti, un voto decisamente trasversale alla società, tra cui furono numerosissime le persone di cultura e fede cattolica. Prevalse la libertà di scelta, al di là delle proprie convinzioni personali, e questo dovrebbe essere davvero l’unico principio che conta.