Sembra quasi che per Paolo Berizzi, impareggiabile firma di Repubblica, il disastro accaduto a Verona sia capitato “perché hanno abbandonato il patto dell’Eterno” (Deuteronomio 29,25). Ovvero, la città dell’amore e soprattutto dell’odio (parafrasando un nostro articolo di qualche tempo fa sulla questione Balotelli) si ostina a non cacciare dalla città i suoi cittadini politicamente di destra, anche estrema (su quanto la vicenda abbia mosso reazioni “militanti” ha scritto anche Paolo Sacchi in un pezzo comparso poche ore fa sulla nostra testata, ndr).

Evidentemente, secondo questa logica a Verona manca un generoso Lot abbastanza radicalchic da convincere gli angeli del Signore a darci un’ultima possibilità. Forse perché Verona, invece, pullula e trabocca, come i suoi tombini intasati, di demoniaci odiatori seriali che, nel magnifico mondo di Berizzi, sono tutti quelli che non hanno colto la cristallina e intima bontà del suo messaggio.
Siamo intimamente malvagi, ammettiamolo.

Il fatto è che Verona se l’è cercata, inutile nasconderselo. Perché “la città della destra più estrema che si può, con il sindaco iperconservatore che flirta con le frange degli ultrà più scatenati, è tra le città in cui meno ci si preoccupa, almeno al momento del voto, dei cambiamenti climatici” – come ha twittato Giuseppe Civati -, non può certo sperare di ottenere una qualche forma di pietà. Colpe terribili ci macchiano: siamo ricchi (ahia), vogliamo l’autonomia (doppio ahia!) e non ci accorgiamo che “Padroni in casa nostra, certo, finché il tetto non vola via”.

Un frammento del post comparso oggi
sul blog di Giuseppe Civati, www.ciwati.it

Per Civati, Verona è la città dei Bolsonaro, il presidente brasiliano che nega il Coronavirus e sotto il quale accelera la deforestazione dell’Amazzonia. Verona ha il primato nella cementificazione in Italia, insieme al Veneto come Regione. Ecco: non abbiamo ascoltato la parola di Greta Thunberg e, quindi, come per il Faraone sordo alle intimazioni del suo profeta Mosè, Verona paga per tutti e a noi toccano le sette piaghe (non è un caso che Verona sia la città del risotto con le rane). Siamo sordi agli ordini del Signore, ammettiamolo.

Certo, c’è da tener conto della distorsione dei social che si rimbalzano notizie, fatti e indignazione quasi che si sia acceso un gran dibattito. Ma la verità è che Verona non esiste. Alle 15.00 su Repubblica.it, Corriere.it, Ilfattoquotidiano.it la notizia è a mezza pagina, dopo la visita ad Amatrice di Conte, dopo la questione Referendum, dopo la storia di Gioele e Viviana, dopo il mercato della Juventus, dopo il contest per dare il nome a due cuccioli di antilope. Il governatore Luca Zaia oggi è venuto in visita alla città e ha dichiarato lo stato di emergenza, almeno lui.

Come per la vicenda calcistica di Mario Balotelli, Verona si riscopre sola, senza una voce, senza un rappresentante civile o politico. “L’essere odiati fa odiare” diceva Pasolini.
Ora, che nell’immaginario del sud siamo la città di “Giulietta è ‘na zoccola” e che per giornalisti e politici siamo quasi un tumore nazifascista negazionista, c’è solo da sperare che Verona non si isoli definitivamente e finisca, come la curva sud dell’Hellas, per decidere che “noi odiamo tutti”.