Alla luce degli eventi che hanno toccato da vicino l’Ucraina nel corso delle ultime settimane, il mondo dello sport non è rimasto a guardare, schierandosi apertamente contro l’offensiva russa in difesa di quei valori comuni che andrebbero da tutti rispettati.

Una presa di posizione che ha visto i rappresentati delle principali manifestazioni sportive convergere sulla possibilità di non disputare alcun evento di caratura internazionale sul territorio russo, spinti anche dalle crescenti pressioni dell’opinione pubblica, la quale non ha perso l’occasione di far sentire la propria voce a favore del popolo ucraino in un momento storico così complicato.

Una situazione impossibile da ignorare, che ha spinto gli organizzatori delle competizioni più importanti a livello globale ad intervenire rapidamente con decisioni che, in passato, avevano trovato simili applicazioni solamente in contesti di assoluta gravità, come conflitti internazionali e il mancato rispetto dei diritti fondamentali.

Calcio: la Champions League cambia la sede della finale

Come conseguenza agli avvenimenti in Ucraina, le principali organizzazioni calcistiche hanno agito in maniera tempestiva per annullare gli eventi previsti sul suolo russo, imponendo anche pesanti limitazioni ai club appartenenti Federazione di Mosca.

La finale di Champions League, in programma originariamente a San Pietroburgo il prossimo 28 maggio, è stata spostata a Parigi allo Stade de France, come stabilito dalla UEFA in una riunione straordinaria del Comitato Esecutivo.

«Il Comitato Esecutivo UEFA ha tenuto oggi una riunione straordinaria a seguito della grave escalation della situazione della sicurezza in Europa. Il Comitato Esecutivo UEFA ha deciso di trasferire la finale della UEFA Men’s Champions League 2021/22 da San Pietroburgo allo Stade de France di Saint-Denis. La partita si giocherà come inizialmente previsto sabato 28 maggio alle 21:00 CET», recita parte del comunicato diffuso dalla più importante organizzazione calcistica a livello europeo.

Una decisione che ha trovato la netta opposizione da parte degli organi locali, i quali non hanno esitato a rimarcare la delusione sottolineando come il provvedimento adottato dalla UEFA fosse legato a questioni politiche, elemento che secondo Alexander Dyukovdovrebbe essere lasciato fuori dallo sport. «La decisione di spostare la sede della finale di Champions League sia stata dettata da ragioni politiche, non può essere una decisione che possiamo sostenere visto che abbiamo sempre aderito al calcio fuori dalla politica».

Le parole del Presidente della Federcalcio russa, tuttavia, non hanno riscosso il supporto necessario per riportare la finale di Champions League a San Pietroburgo e gli organizzatori dell’evento calcistico più famoso in Europa ora potrebbero anche rinunciare allo sponsor Gazprom, di cui Dyukov è amministratore delegato.

Ancor più severo è il provvedimento scelto dalla FIFA, la Federazione Internazionale che governa a livello globale lo sport del calcio, la quale attraverso un comunicato ha rotto il silenzio designando che nessuna competizione internazionale potrà prendere luogo sul territorio russo, mentre le partite originariamente previste in casa dovranno essere disputate su campo neutro e a porte chiuse, senza elementi che ne potrebbero richiamare la provenienza, come l’inno o la bandiera.

Decisione che non solo conferma quanto proposto precedentemente dalla UEFA, ma che andrà ad influenzare anche le partite di qualificazione ai prossimi mondiali di calcio, per cui la Russia dovrà obbligatoriamente passare attraverso una serie di sfide con altre nazioni al fine di ottenere l’accesso ai gironi del torneo più famoso al mondo.

Una situazione che, tuttavia, nelle prossime settimane potrebbe vedere ulteriori novità dato che la Polonia, squadra che avrebbe dovuto affrontare il prossimo 24 marzo proprio il team diretto dall’allenatore Valerij Karpinnegli spareggi di qualificazione, ha dichiarato di non voler prendere parte all’incontro a sostegno del popolo ucraino.

Motorsport: il Gran Premio di Russia è a rischio

Non solo il calcio, ma anche il mondo del motorsport è intervenuto per limitare gli eventi in Russia e arginare una possibile ripercussione d’immagine.

In prima linea su questo fronte si è schierata la Formula 1, con la squadra americana Haas che ha rinunciato ad esporre, quantomeno momentaneamente, lo sponsor russo Uralkali sulla propria vettura, girando con una livrea completamente bianca durante l’ultima giornata di test pare-stagionali a Barcellona.

Una presa di posizione a cui è seguita una comunicazione da parte di Liberty Media, società che gestisce i diritti del campionato automobilistico, nella quale veniva sottolineato come «la Formula 1, la FIA e i team hanno discusso la posizione dello sport, arrivando alla conclusione che sia impossibile correre il Gran Premio di Russia nelle circostanze attuali.»

Seppur siano parole che esprimono una condanna per quanto stia avvenendo nell’est Europa, allo stesso tempo non si tratta di una totale chiusura alla possibilità di disputare comunque l’evento a settembre come inizialmente previsto, rimanendo in attesa dell’evolversi della situazione per comprendere se vi siano eventuali margini di manovra che eviterebbero uno scontro sull’aspetto economico dei contratti.

CIO: suggerita l’esclusione degli atleti russi dalle competizioni

Ancor più netta è stata la posizione assunta dal CIO, il quale si occupa dell’organizzazione di eventi quali le Olimpiadi e della gestione degli atleti negli sport più rilevanti a livello mondiale.

Nonostante il Comitato Olimpico Internazionale non abbia imposto alcuna decisione vincolate per i singoli campionati, ha invitato tutte le Federazioni Sportive e gli organizzatori ad escludere qualsiasi partecipante russo dalle competizioni e, nel caso ciò non fosse possibile per una questione temporale o legale, fare quanto possibile per evitare che gli stessi prendano parte all’evento ma senza simboli nazionali, bandiere o inni che ne indichino la provenienza.

Proprio come nelle recenti Olimpiadi, quindi, potranno accedere agli eventi solamente come atleti o squadre neutrali, situazione già nota agli sportivi provenienti dalla Russia, la cui Federazione era stata squalificata dal CIO fino al termine del 2022 a causa del doping di Stato.

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