Correva l’anno domini 1995 e mentre nel resto del mondo i due telescopi Keck permettevano di scoprire la galassia più distante tuttora conosciuta, a Sunnyvale in California veniva creata la prima interfaccia di Yahoo, Dialog Telekom lanciava in Sri Lanka il primo telefono cellulare e a Parigi veniva formalizzato l’accordo di Dayton che poneva ufficialmente fine all’ultima delle guerre jugoslave in Bosnia ed Erzegovina, l’amministrazione locale a Verona sembrava preda di un’unica, assillante, penosa ossessione: il sesso.

Verona Pride 2015, foto di Corrado Benanzioli

Ma facciamo un passo indietro. Dal 1994 al 2002 a Verona c’è una sindaca – Michela Sironi Mariotti, di Forza Italia – a capo di una giunta in cui si fanno notare soprattutto tre assessori di Alleanza Nazionale: Luca Bajona, Massimo Mariotti e Fabio Gamba.

Luca Bajona, il vicesindaco, era stato arrestato nel 1981 per aver partecipato a un’aggressione contro alcuni militanti della FGCI, l’organizzazione giovanile del PCI.

Fabio Gamba, assessore alla Sicurezza e attuale direttore generale del Comune con il sindaco Federico Sboarina, diventa invece famoso per aver dotato la polizia municipale delle cosiddette “mazzette di segnalazione”, ovvero i manganelli, e per aver difeso il sequestro delle coperte di alcuni senzatetto che dormivano in Piazza Isolo facendo poi bagnare la pavimentazione con acqua gelata perché ghiacciasse e nessuno potesse sdraiarsi di nuovo.

Massimo Mariotti, infine, esponente della destra sociale che ha ricoperto negli anni vari incarichi politici e che è stato nominato alla presidenza di molte aziende municipalizzate, avrà invece i suoi 15 minuti di warholiana notorietà quando utilizza l’indirizzo email del Comune per spedire inviti a feste ed eventi in cui è «gradita la camicia nera».

C’è un’aria nostalgica dunque a Verona in quegli anni, che si posa sulla città tutt’altro che rarefatta e con la benedizione della Curia locale.

Verona diventa così la capitale del tradizionalismo cattolico per numero di associazioni che hanno da sempre stretti legami con le frange della destra più radicale. Spesso chi milita da una parte sta anche dall’altra. L’obiettivo comune è tornare all’ordine perduto con l’imposizione della ben collaudata triade Dio-patria-famiglia. Ma c’è un ostacolo al ritorno dei bei tempi andati, quell’unica variabile impazzita nella storia dell’umanità, l’attributo che rende ogni specie unica e potenzialmente perpetua: il sesso, appunto. E così, per gli impavidi amministratori, la sfida diventa ossessione: con chi farà l’amore il popolo? E perché? E quante volte al giorno? E vorranno sposarsi? E se no, perché no? E se sì, perché sì? Domande inquietanti, dai pericolosi contorni bui dell’imprevedibile che angosciano notte e giorno la sindaca e i suoi.

Verona Pride 2015, foto di Corrado Benanzioli

Così, nel 14 luglio del 1995, in seduta consiliare viene approvata la mozione n.336 che impegna l’amministrazione a non parificare i diritti di coppie omosessuali e coppie eterosessuali. Per gli esangui amministratori non sarebbe più stato necessario nemmeno porsele quelle angoscianti domande che per tanto tempo li avevano logorati. Il nesso logico che portò all’approvazione della mozione è di tale immediatezza, infatti, che chi scrive non ritiene di doverne spiegare l’evidenza al sagace lettore.

E non importa se questa mozione respingeva tutte le direttive UE in materia di diritti civili e pari opportunità: le feroci critiche non furono altro che malcelata invidia politica per una mossa da maestro che tutto il mondo avrebbe dovuto invece imitare.

Al contrario, l’entusiasmo dei politici locali per la folgorante illuminazione fu tale che, di lì in poi, non mancarono fan accaniti di quella prima, unica e tanto criticata mozione n. 336 nelle giunte che si avvicendarono a Palazzo Barbieri: l’ultimo in ordine di tempo è il consigliere Andrea Bacciga, primo firmatario della mozione n. 1527 che vorrebbe impegnare l’attuale amministrazione ad allinearsi alla CEI (la Conferenza Episcopale Italiana) e alla sua presa di posizione contro la proposta di legge contro l’omofobia in esame alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati e presentata dai deputati Zan e Scalfarotto.

Sì, perché come tutte le idee strabilianti, anche la mozione n. 336 e le sue dirette discendenti hanno avuto nel corso della storia nemici e avversari: già subito dopo l’approvazione quel 14 luglio di 25 anni fa, 7 militanti LGBT – veronesi e non – occuparono per alcuni minuti una strada adiacente al municipio, vennero denunciati (e successivamente assolti) per manifestazione non autorizzata, interruzione di pubblico servizio e blocco del traffico e da lì nacque il Comitato Alziamo la testa, che il 30 settembre di quell’anno organizzò la prima grande manifestazione Lgbt a Verona.

Venticinque anni dopo quel Comitato è ancora qui, vivo e vegeto, e sabato 18 luglio sarà in piazza per manifestare contro la 336 e tutte le altre mozioni simili approvate negli anni dal Comune di Verona, che qualcuno sostiene addirittura assumere i contorni di posizioni omofobe, integraliste e fuori dal tempo e dalla Storia.

Come Emanuele Del Medico, attivista e studioso dell’ex centro culturale di documentazione anarchica di Verona “La Pecora Nera”, che nel 2004 ha pubblicato il libro All’estrema destra del padre. Tradizionalismo cattolico e destra radicale e che insinua come «una lunga cronologia di eventi in città mostri come integralismo cattolico, estrema destra e amministrazioni locali si siano trovate fianco a fianco in diverse occasioni: dai convegni omo-bi-transfobici alle messe di riparazione fino alle mozioni contro il gender portate avanti da un ex consigliere comunale per la Lista Tosi, Alberto Zelger, che ora è in consiglio comunale con Sboarina».

Davvero una triste storia, insomma, quella dell’eterna incompresa mozione n. 336. 

Foto di copertina di Corrado Benanzioli