La palpata breve, se minore di 10 secondi non è considerata reato. Lo hanno stabilito i giudici della Quinta Sezione Penale del Tribunale di Roma, che hanno assolto in primo grado Antonio Avola, bidello 66enne di una scuola finito in un processo con l’accusa di violenza sessuale per aver toccato una studentessa 17enne nell’aprile del 2022.

Secondo i magistrati la palpata, durata tra i 5 e 10 secondi è avvenuta, ma è stata molto breve e “mancava la volontà da parte del bidello di molestare la minorenne”. Il collaboratore scolastico ha ammesso di aver toccato la ragazza, ma di averlo “fatto per scherzo”.

Ignazio La Russa, Presidente del Senato, ha difeso il figlio Leonardo accusato di violenza sessuale da una ex compagna del liceo al termine di una serata in discoteca questo 18 maggio dicendo: «L’ho interrogato, nulla di penalmente rilevante. Dubbi sulla ragazza, aveva preso cocaina». E poi ha continuato «Di sicuro lascia molti interrogativi una denuncia presentata dopo quaranta giorni.» Non spetta, però, alla seconda carica dello Stato stabilire se un elemento possa costituire o meno un reato. Questo è compito della magistratura.

C’è un filo che lega le notizie di questa seconda settimana di luglio, dalla ragazza toccata per scherzo dal bidello, alla giovane alterata e dubbiamente stuprata da un ragazzo per bene, ed è la violenza. Una violenza subdola troppo spesso giustificata per paura delle conseguenze. L’ultima trovata: una molestia cronometrabile, a cui si accodano la colpevolizzazione della vittima e la normalizzazione della violenza di genere, must have della rape-culture.

Cultura dello stupro

È un’espressione utilizzata dagli studi di genere e dai femminismi per descrivere una cultura che include tutti gli atteggiamenti che minimizzano e spesso incoraggiano alla violenza sulle donne in un modello educativo dove l’intraprendenza o addirittura l’aggressività sessuale maschile viene esaltata a prescindere. Sono gli uomini a decidere se e come esiste lo stupro, senza tenere conto del consenso.

E allora “sono solamente ragazzi”, “stavano giocando”, poi lei “indossava una gonna corta”, “era ubriaca”, e non possiamo negare che “se l’è cercata”. E cosi via. Sono tutte frasi atte a delegittimare la versione della donna, instillando nel discorso comune dubbi e pregiudizi che, invece di proteggere le vittime di abusi e violenze, tendono sempre a prendere le parti degli uomini.

Individui da difendere da atteggiamenti femminili ambigui e vittimistici a differenza delle donne che non di rado non vengono credute e devono affrontare umilianti indagini nel loro privato prima di essere prese in considerazione.

Il consenso

In queste due storie, come in tutte le storie di violenza, è presente un’assenza: quella del consenso. Un silenzio che ha diritto di essere ascoltato solo a posteriori. Quando le donne devono dimostrare di non essere state consenzienti davanti ai giudici. Non importa se nel momento hanno detto “no”, visto che “ha detto di no, ma di sicuro le sarà piaciuto”. Quel dissenso deve essere urlato davanti alle istituzioni che misurano la violenza sulle ecchimosi, il sanguinamento e, ad oggi, anche sui secondi. Letteralmente uno scherzo.

È violenza sessuale una condotta che prevarichi la sfera della integrità sessuale di una persona non solo in presenza della manifestazione di un suo chiaro dissenso, bensì anche in assenza di un suo consenso non espresso. Per la Cassazione, il consenso deve non solo esistere all’inizio, ma perdurare per tutto il rapporto e in ogni momento può essere revocato dal partner, o a causa di un ripensamento, o magari anche solo per la mancata condivisione di modi di consumare il rapporto. Eppure, la giurisprudenza non manca di diversi precedenti che ci ricordano quanto la cultura dello stupro si sia insinuata anche nelle istituzioni che dovrebbero combatterla.

Questo accade perché nessuno è esente dai preconcetti di una cultura patriarcale. Neppure le istituzioni. La Magistratura nello specifico, ma anche chi l’istituzione la rappresenta come il presidente del Senato Ignazio La Russa, padre libero di credere al proprio figlio, ma non di screditare una giovane ragazza con dichiarazioni pubbliche di un certo spessore mediatico.

Le sue parole hanno un peso che dipende dalla sua precisa posizione di potere. È forse meno vittima perché drogata e ubriaca? E magari un po’ più colpevole, perché se l’è cercata e l’ha provocato?

Victim blaming

Si parla di colpevolizzazione della vittima quando qualcuno ritiene che una vittima sia, almeno in parte, responsabile del torto subito.

Davanti a fenomeni di violenza sessuale si assiste spesso al processo di vittimizzazione secondaria: si tende a ricercare all’interno delle caratteristiche di personalità, comportamento e stile di vita della vittima tracce di una sua presunta responsabilità o corresponsabilità.

Così la vittima diviene un po’ carnefice e viceversa, quando a dire il vero, subisce violenza due volte.

L’assunzione di alcool o droga da parte della persona offesa non deve essere un’attenuante per l’accusato. Appellarsi all’etica difronte ad uno stupro oltre ad essere ridicolo è anche totalmente fuori luogo.

Inoltre, l’art. 61 n.5 c.p disciplina l’aggravante della minorata difesa, che ricorre ogniqualvolta l’autore del reato approfitta di “circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”. Questo vale anche nel caso in cui la persona offesa abbia assunto volontariamente alcool o droghe e tale circostanza determini una condizione di inferiorità psichica o fisica.

Le donne che subiscono violenza non devono essere colpevolizzate, ma vanno aiutate grazie ai mezzi della giustizia.

Denunciare sempre

Siamo state tutte molestate una volta nella vita. Ogni storia ha la sua dignità a prescindere dalla durata e dalle circostanze: non ci sono violenze più o meno meritevoli di essere considerate tali. Nessuna di noi deve sentirsi sbagliata, provocante o frivola perché la violenza è sempre una scelta che non dipende da chi la subisce. Per questo dobbiamo essere arrabbiate, alzare la voce e denunciare senza paura e senza vergogna.

La denuncia è un nostro diritto, non dimentichiamolo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA