Sarà online ancora fino a domenica, su Facebook, “Quarantine House”, l’ultima opera horror del regista, attore e scrittore (oltre che musicista, performer e molto altro) Diego Carli, lanciata in streaming gratuito mercoledì scorso. Un’opera ispirata proprio dalla più stretta attualità legata al Covid-19 e in particolare dall’obbligo di rimanere in casa imposto dal lockdown, ma che ovviamente ha poi dei risvolti fantascientifici e horror di pura fiction.

Diego, innanzitutto com’è nata quest’idea?

«L’idea originale è arrivata dal mio aiuto alla regia e direttore della fotografia Michele Comerlati quando, ancora all’inizio della pandemia, un giorno mi chiese: “perché non facciamo un film ispirato all’esperienza che stiamo vivendo in questo periodo?”. Nel frattempo la stessa idea venne anche a Margherita Filetti, che alla fine è co-sceneggiatrice del progetto. Io, che sono notoriamente un diesel e stavo ancora maturando la cosa, a quel punto decisi di creare una sorta di esperimento.»

Quale esperimento?

«Non potendo essere fisicamente presenti per dirigere gli attori, abbiamo delegato a loro la possibilità, in base alla loro fantasia, di mettere in scena e filmare quelle che erano le nostre indicazioni di massima. Dopo una riunione con Michele e Margherita per ideare un soggetto, avevo poi scritto una sceneggiatura di base e inviata a una serie di attori che provengono da “Fare Cinema”, la scuola in cui insegno a San Giovanni Lupatoto (Verona), a cui si sono successivamente aggiunti alcuni altri attori più esperti. A questo team si è aggregato, infine, anche il regista marchigiano Paolo Tacchi che ci ha dato una grossa mano.»

Qual è il focus del film?

«Si parla proprio di un’epidemia fantascientifica, ispirata ovviamente all’attualità. Uno strano virus, che colpisce in maniera misteriosa in cinque parti del mondo, ci costringe inizialmente a casa e proprio com’è successo a noi, all’inizio c’è voglia di cucinare, di suonare sui balconi, di condividere quotidianamente sui social le nostre esperienze e via dicendo. Poi però, invece che andare verso la soluzione del problema – come per fortuna abbiamo fatto e stiamo ancora facendo noi -, nella fiction si va nella direzione opposta.»

Diego Carli, al centro

Quanto è durata la lavorazione del film?

«La prima riunione l’abbiamo avuta a fine marzo, poi abbiamo spedito le sceneggiature, abbiamo ricevuto le prime clip, abbiamo dato nuove indicazioni e così via, per quasi due mesi. Abbiamo finito di lavorare al montaggio, con suoni, effetti e tutto il resto soltanto tre giorni prima del lancio del film sul web (visibile sui canali social di Diego Carli). Ci sono state, ammetto, non poche difficoltà, anche perché lavorare a distanza, chiusi ognuno in casa propria, non è semplice. A questo proposito vorrei ringraziare Cristiano Tommasini e Gianluca Bianco che hanno lavorato senza sosta sul suono per un risultato finale davvero ottimo.»  

È stato anche un modo molto creativo per dare un senso a questo momento di forzata inattività?

«È un’esigenza per chi fa cinema, al di là del danno economico dovuto al blocco delle attività che c’è stato. L’inattività, per certi aspetti, rischia di chiuderti la mente e non farti sviluppare nuove idee. Fra l’altro quando è arrivato il lockdown noi avevamo un grosso progetto in ballo, finanziato in parte anche dal produttore padovano Massimo Bezzati, ed eravamo a buon punto, tanto che avremmo dovuto girare durante l’estate in Lessinia un corto-pilota, molto impegnativo sia a livello di scrittura sia di riprese. Ambientato nel XV secolo, racconta una storia di streghe e avrebbe poi dovuto fare da apripista per realizzare successivamente un lungometraggio con la stessa ambientazione e tematica. Ora penso che si dovrà inevitabilmente rimandare la lavorazione al 2021. Ma questo è un problema che hanno avuto anche molti altri registi.»

Un’immagine della Lessinia

Che influenza ha la montagna sul tuo lavoro?

«Ho scoperto la Lessinia tantissimi anni fa, quando mi sono trasferito qui a Verona e ho voluto conoscere bene il territorio scaligero. Devo dire che la Lessinia, per la durezza e al tempo stesso la bellezza di certi suoi scenari, soprattutto in autunno mi ispira storie che spaziano dal surreale al paranormale. Il mio cortometraggio lì ambientato, “Ogre”, ha girato anche negli Stati Uniti e gli americani sono impazziti solo a vedere l’immagine del Ponte di Veja presente in alcune sequenze. Talmente bella, insomma, che quasi inquieta.»

Streghe della Lessinia

Poi ci sono gli aspetti più storici e tradizionali…

«Ci sono un sacco di leggende che girano in Lessinia, un territorio talmente vasto e ricco di storia che sono fortunato a vivere alle sue pendici. Non c’è davvero un paesaggio migliore per descrivere un certo tipo di racconti. I prossimi progetti che vorrei realizzare parlano di stregoneria e di caccia alle streghe, una piaga che l’Europa ha avuto in passato, soprattutto nel vicino Alto Adige – Sudtirolo, dove nei secoli passati ci sono stati tanti processi della Santa Inquisizione. Qui, in un crocevia importante dal punto di vista geopolitico, a metà strada fra la Repubblica della Serenissima, il Vescovado di Trento, il nascente impero asburgico, vi sono stati tanti episodi di repressione da parte del clero e della Chiesa, che usavano il loro potere temporale per punire e governare attraverso la paura. Sono storie che oggi ci affascinano, ma che si sono svolte in un periodo conosciuto come Rinascimento, ma che in realtà era molto più buio del primo Medioevo, storicamente molto più aperto.»

Torniamo al linguaggio di “Quarantine house”. Qual è la principale novità?

«Per ovvie esigenze di budget abbiamo voluto e dovuto “giocare” con vari mezzi per girare, per lo più smartphone e tablet, e permettere agli attori di creare e intervenire con le loro idee all’interno del film. Michele ed io, in questo senso, più che registi siamo stati dei coordinatori, perché la regia e parte della sceneggiatura era di fatto lasciata ai singoli attori. Nel montaggio finale, poi, abbiamo cambiato alcune cose, anche perché le clip che ci sono arrivate sono state in qualche caso sorprendenti e in grado di dare un’impronta sempre diversa al film.»

Questo implica grande fiducia nei confronti del tuo cast…

«Si, anche perché si tratta di tutti attori e attrici che conosciamo molto bene, perché la maggior parte di loro avrebbero dovuto partecipare a “Two Sisters”, il film che, come accennavo prima, avremmo dovuto girare la prossima estate.»

Paolo Rozzi

Al progetto partecipa anche quello che possiamo considerare il tuo “attore feticcio”, Paolo Rozzi. Un sodalizio che continua…

«Già, Paolo non poteva assolutamente mancare. Ha partecipato di fatto a quasi tutti i miei film, se non come protagonista almeno come co-protagonista. Per un cortometraggio girato quasi per scherzo l’anno scorso ha ricevuto numerosi premi, in un caso battendo anche nientepopodimeno che Marina Massironi, e il suo apporto a questo lavoro è stato a dir poco fondamentale.»

Come al solito ti sei divertito con i vari registri, passando da momenti quasi comici ad altri, ovviamente, più horror. Cosa cerchi di ottenere, esattamente?

«Nei miei film horror c’è quasi sempre una latente componente comica, che a me piace inserire per destabilizzare lo spettatore. Il quale all’inizio magari ride, si rilassa e abbassa la tensione ed è in quel momento che diventa più vulnerabile e risulta più facile “colpirlo”. Alla fine di sicuro non ride più. Anche nel mio lungometraggio più celebre, “Il caso Anna Mancini”, ci sono delle parti del film che oserei definire addirittura rilassanti per il pubblico, anche se poi il film risulta carico di tensione.»

A proposito di “Anna Mancini”: quel film, presente sulla piattaforma Hodtv in streaming, ti sta dando molte soddisfazioni. Come ha cambiato quell’opera il tuo modo di lavorare?

«Forse ha cambiato un po’ il mio stile. Diciamo che dopo aver lavorato a quel film mi sono accorto di preferire comunque sempre, più che dare sfogo alla paura, al terrore, allo splatter, che dir si voglia, il risvolto più psicologico delle storie. Quello che cerco in tutti i film successivi a quello è proprio quest’aspetto più disturbante, in grado di colpire lo stomaco dello spettatore.»

Come fai a conciliare questo tuo “lato oscuro” con quello più votato alla comicità, che è l’altro lato della medaglia del tuo lavoro di attore teatrale, oltre che del tuo carattere?

«Con il terrore. Nel senso che ho un grande terrore di girare film comici. Lavoro nella comicità teatrale, come attore e regista ma anche con la scrittura. Sono un “battutologo”, ma non mi sono mai avventurato in un film comico, anche perché provengo da un’esperienza formativa teatrale, che mi permette di cambiare in corsa: se nel corso di un tour ti accorgi che uno spettacolo ha una parte un po’ fiacca o qualche battuta che non funziona, allo show successivo puoi fare degli aggiustamenti e correggere il tiro. Nel cinema, invece, quello che giri e monti poi rimane indelebilmente nel film. Se usi il linguaggio comico puoi scrivere delle battute che fanno ridere te, ma non sei mai sicuro, finché non lo provi con il pubblico, che facciano in effetti ridere anche gli altri. E io penso che o sei sicuro al 100% di quello che hai scritto o è meglio non uscire. Ci sono alcuni registi e sceneggiatori in Italia dedicati al linguaggio comico che funzionano sempre molto bene, ma devo dire che a me, in generale, quel genere cinematografico non fa impazzire, a parte qualche rara eccezione.»

Si, ma alla fine non mi hai spiegato come fai a conciliare queste due elementi così diversi e lontani fra loro, horror cinematografico e comicità teatrale…

«Dicono che i comici siano depressi, problematici e via dicendo. Probabilmente è vero. Io questo aspetto più oscuro lo vivo e lo trasmetto con il cinema, ma allo stesso tempo credo che la parte più luminosa di me possa vedere la vita da un punto di vista diverso e lo esprimo attraverso il teatro.»