Boccia boccia l'autonomia del Veneto
Con il Governo rosso-giallo si apre un nuovo percorso per le autonomie, che somiglia parecchio a un binario morto.
Con il Governo rosso-giallo si apre un nuovo percorso per le autonomie, che somiglia parecchio a un binario morto.
L’avevamo già detto: la trasformazione della Lega da partito autonomista nella versione bossiana a partitone nazionale in salsa salviniana (ben analizzata da Luca Comper su questa testata) non prometteva nulla di buono per le autonomie di Veneto e Lombardia. I leghisti Luca Zaia e Attilio Fontana, loro presidenti, inutilmente hanno fatto pressione in questi mesi per ottenere un risultato tangibile: non si è nemmeno arrivati a un testo d’intesa di massima, ma solo a una bozza che girava carbonara tra i banchi del Parlamento, come segnalato.
Ed è proprio grazie al colpo di sole di Salvini che arriva agli Affari Regionali Francesco Boccia (PD) al posto di Erika Stefani. Zaia lo aspetta al varco, dopo aver chiamato il popolo veneto a una improbabile rivolta. E per avere l’autonomia forse questa è davvero l’unica via, dato che Boccia ha espressamente dichiarato che «Lombardia e Veneto tentano di smontare il Paese. A tutta la classe dirigente, soprattutto a quella del Sud, oggi dico: “evitiamo che si compia lo scempio finale, evitiamo di costruire un Paese basato sul portafogli, ricchi da una parte e poveri dall’altra”. I decreti della Stefani sono inaccettabili. Sarebbe una follia regionalizzare materie come l’edilizia scolastica, la ricerca, il Fondo unico per lo spettacolo o la cassa integrazione».
Francesco Boccia, per le autonomie delle regioni leghiste, sarà un osso durissimo. Intanto, da lui, consigliere economico di Letta e da ex presidente della V Commissione Bilancio e Tesoro, sarà molto difficile cercare di ottenere la tanto sospirata autonomia finanziaria, che porterebbe al Veneto 3,3 miliardi. A meno che prima non si affronti il nodo dei costi standard, sui quali – non a caso – Zaia e Fontana prendono tempo. Il nuovo ministro può, inoltre, contare sulla sponda di Confindustria che, per bocca del suo omonimo presidente Vincenzo Boccia, è piuttosto tiepida sul capitolo autonomie.
Se, dunque, Boccia metterà in un cassetto le proposte leghiste nella probabile damnatio memoriae che colpirà gli atti del precedente Governo (e Salvini, in fondo, tira un sospiro di sollievo: se prima attribuiva lo stop all’MS5, ora può incolpare il PD, poi si vedrà…), qualche spiraglio rimane per la proposta dell’Emilia-Romagna, approvata con una risoluzione il 18 settembre che, oltre a essere a guida PD con Stefano Bonaccini, non chiede risorse aggiuntive e vorrebbe un numero ridotto di competenze (15 su 23). Fuori, quindi, i nodi infrastrutture e tributi reclamati in forma hard dalle altre due regioni.
Un’autonomia light insomma, un accordo al ribasso che Zaia e Fontana hanno già dichiarato di non voler firmare. Ma soprattutto un guaio per il Veneto: come dicevamo, lo sganciamento dall’Italia rimane scelta fondamentale per sopravvivere alla prossima crisi economica (2021), specie ora che la Germania, il nostro primo partner commerciale, comincia prematuramente ad avvitarsi su se stessa per effetto della guerra commerciale Cina-USA.
Ma non è un male, alla fine, almeno non per loro. Anzi.
Perché Salvini potrà continuare a invocare l’autonomia del Veneto e della Lombardia, magari rispolverando il vecchio e caro “Roma ladrona” e, allo stesso tempo, continuare i suoi tour promozionali nel sud devenetizzato. Zaia e Fontana potranno cavalcare l’inverno del nostro scontento per molti altri anni.
Perché, in fondo, diciamocelo: se in Veneto la Lega ottenesse l’autonomia, quale ideale politico le resterebbe per continuare a esistere?