In soli tre mesi il nostro mondo è cambiato completamente e sono venute meno molte certezze che abbiamo dato per scontate per anni. Situazioni senza precedenti anche sotto il profilo economico, come fotografato dal Fondo Monetario Internazionale (IMF) nel suo ultimoWorld Economic Outlook, un bollettino trimestrale in cui tutto quanto previsto solo tre mesi fa è stato travolto dalla pandemia e dal blocco delle attività produttive e commerciali. La direttrice Kristalina Georgieva ammette che nessuno poteva immaginare gli effetti dell’epidemia a livello economico, in quanto si tratta di «una crisi che non conosce confini. Nell’ultimo trimestre 2019 prevedevamo una crescita per 160 paesi nel 2020; ora si è ribaltato lo scenario e ben 170 paesi avranno una crescita negativa».

Questa contingenza sarà diversa da tutte le altre. Le precedenti crisi (Lehman, Asia, ecc) furono in qualche modo trainate dall’errore umano, dalla cupidigia e dalla sfrontatezza finanziaria. Ora, invece, la recessione è provocata dalle stesse misure di contenimento necessarie a proteggere le nostre esistenze. Ci facciamo molto male nella speranza di sopravvivere.

Altra importante differenza è la globalizzazione della pandemia: quando la crisi colpiva una certa zona geografica aveva effetti anche sul resto del mondo, ma si è sempre profilato all’orizzonte uno o più Paesi “sani e forti” pronti ad aiutare quelli più colpiti, speculando talvolta sulla fragilità altrui, ma anche contribuendo a ristabilire l’equilibrio perduto. Niente di tutto questo è possibile oggi, quando tutte le nazioni del mondo si trovano con le stesse difficoltà e gli stessi, enormi costi sociali. Chiudere buona parte dell’economia nazionale si riflette sui partner commerciali e sulla catena di approvvigionamento globale; in questo modo, lo shock iniziale deborda sui mercati finanziari, sulla domanda di beni rifugio e la minor domanda porta al crollo dei prezzi: il petrolio ha perso il 65% e il gas quasi il 40. Crollano anche gli investimenti, le vendite al dettaglio e cresce il numero dei disoccupati, specie nei paesi che non hanno tutele per i lavoratori (negli USA il numero delle richieste di sussidio è passato da 250.000 a 22 milioni in 4 settimane).

Nelle previsioni IMF, nell’ipotesi che l’epidemia venga controllata entro la seconda metà dell’anno, la pandemia provocherà perdite per USD 9.000 miliardi nel 2020, più del prodotto interno lordo di Germania e Giappone; tale cifra si traduce in un calo del PIL globale del 3% (quando gli effetti cumulati del caso Lehman, ad esempio, produsse un -0,6% spalmato in tre anni). Come si può vedere dallo schema qui sotto, il danno più consistente sarà per i paesi sviluppati, con l’Europa prevista cedere il 7,5% e, al suo interno, Italia e Grecia come fanalino di coda (-9% e -10% rispettivamente).

Variazioni del PIL reale (fonte: IMF)

IMF prevede anche un parziale recupero già dal 2021 ma questo potrà avvenire soltanto sulla base dell’andamento dell’epidemia e della efficacia delle misure a supporto. Lockdown e isolamento permettono da un lato di rallentare la trasmissione del virus e dal modo ai sistemi sanitari di far fronte all’emergenza e dall’altro di guadagnare tempo prezioso per la preparazione di cura e vaccino. Sono quindi cruciali misure fiscali e monetarie che preservino l’infrastruttura economica della società, la relazione tra impresa e lavoratori, così come l’accesso al credito. Sono già molti i paesi che hanno adottato stimoli alla liquidità per prevenire un’ulteriore contrazione della domanda. Le banche centrali hanno agito prontamente, coordinando gli sforzi e anche creando linee di credito reciproche per facilitare il flusso di liquidità dove fosse di volta in volta più richiesto. La cooperazione sarà probabilmente la chiave: la rinuncia alle barriere iniziali per condividere attrezzature e materiali sanitari si sta dimostrando vincente sul fronte sanitario; lo stesso dovrà avvenire a livello economico, con il coinvolgimento diretto degli organismi multilaterali (come lo stesso IMF, ma anche la Banca Mondiale e le Banche Regionali di Sviluppo) a sostegno dei mercati finanziari e della ristrutturazione del debito, specialmente verso i paesi più poveri.

Appena ci saremo ripresi dall’enorme stupore (ma sta veramente succedendo questo!), andrà immaginata una rete di protezione per prevenire nuove situazioni simili, migliorando le infrastrutture sanitarie nel mondo, ma soprattutto creando una base dati condivisa e pronta a rilevare picchi insoliti di malattia e dare l’allarme tempestivamente. In questa direzione propongono di andare anche gli esperti coordinati dal noto virologo Roberto Burioni, che firmano una lettera aperta al Governo. Chiedono la creazione di una Struttura di Monitoraggio e Risposta Flessibile (MRF), dotata di mandato forte e autonomia decisionale, con le risorse per un alto numero di test virologici e sierologici sugli asintomatici, i cui risultati andranno trasferiti a un centro unico di meta-analisi, in collegamento con altri a livello internazionale. Viene inoltre suggerito di adottare sistemi di “intelligence”, che rilevino precocemente ogni segnale di accensione di focolai epidemici, nonché di condividere con i media le modalità di comunicazione per evitare i danni sia dell’allarmismo esagerato che del negazionismo. Propongono, in sostanza, di imparare dagli errori fatti con il Covid-19 e portare il sistema sanitario a un nuovo livello per poter fare vera prevenzione su possibili epidemie future.

Rispetto ai casi del passato, ci sono anche differenze positive, che inducono ad un cauto ottimismo, nonostante tutto. Il rallentamento dei nuovi casi, l’ottima risposta (quasi insperata) dei servizi sanitari, così come la rapidità con cui avanza la sperimentazione del vaccino sono tutti elementi nuovi. Man mano che le restrizioni verranno tolte, le risorse dei singoli paesi dovranno essere incanalate verso una maggior fiducia degli imprenditori e più ampie capacità di spesa nei consumatori. Sarà fondamentale spingere la crescita della domanda, vero motore di qualsiasi ripartenza. È evidente infatti che aziende operative al 100% ma che poi non trovassero acquirenti per i loro prodotti non farebbero altro che prolungare l’agonia economica. Si deve evitare il falso ottimismo del “riaprire tutto” e studiare forme di sussidio e bonus fiscali sugli acquisti, così come l’abbattimento delle barriere doganali e una riorganizzazione della catena globale del valore.

Luis Sepúlveda

I mercati tendono a ritornare autonomamente nel proprio equilibrio, sosteneva una famosa scuola economica; ma forse è arrivato il momento di provare ad applicare una teoria più complessa e adatta al segno dei tempi, che concili la libera iniziativa e il benessere dell’individuo con correzioni da parte dello stato centrale, a sua volta sostenuto da una globalità di Paesi che vanno tutti in una stessa direzione. Un capitalismo sociale e solidale, che sarebbe piaciuto anche a Sepúlveda (ci mancherai).